venerdì 8 luglio 2016

Terzo giorno - Isole Ballestas - Dune – Nazca



Nonostante la sveglia fosse puntata alle 6:45 ci svegliamo alle 6 a causa di un gallosauro che inizia a urlare da quell'ora.

Facciamo colazione in terrazza con vista sul mare, assediati da un gatto che miagola sotto il tavolo per ricevere qualche pezzo di pane e marmellata. Il posto è molto carino anche se dà quasi l'impressione di essere sul mediterraneo.

Prima di partire ho il primo contatto ravvicinato con la popolazione locale mentre cerco di acquistare una semplice bottiglia d'acqua. Nonostante tenga l'acqua con una mano e la banconota con l'altra, il gestore del chiosco non mi si fila di pezza. E' tutto intento a terminare un paio di panini con la Palta, ovvero l'avocado. Gli altri mi aspettano per andare al porto e io non so più cosa inventarmi per farmi notare, anche i numeri da giocoliere con palline e clave sono inutili. Probabilmente sono solo io che sono abituato in altro modo, comunque alla fine, dopo che tutti i panini sono finiti, riesco a pagare.




Verso le otto saliamo sul motoscafo che ci porta a vedere le isole Ballestas. Prima però ci fermiamo ad ammirare il famoso candelabro disegnato sulla sabbia. Pare che sia lì da quasi 500 anni e ancora non si è capito chi lo abbia fatto, né perché. Alcune ipotesi dicono che fosse un segnale lasciato da pirati, altre che un'antica civiltà abbia disegnato dei cactus. L'unica cosa certa è che il disegno resiste perché qui non piove mai e grazie alla particolare composizione minerale della sabbia.



Riprendiamo il mare con destinazione Ballestas. Sono isole su cui è vietato scendere, sono completamente ricoperte da colonie di uccelli che producono guano. Venduto a peso d'oro, viene raccolto e spedito in tutto il mondo come uno tra i migliori fertilizzanti.

Tra le varie specie che vivono qui ci sono Cormorani, Pellicani, Marangone, Sule e poi anche Pinguini di Humboldt e qualche colonia di otarie. Le acque sono ricchissime di fitoplancton che attira molti pesci, ecco perché ci sono così tanti uccelli.



Nonostante il cattivo odore è un posto magico, sembra di stare in un documentario, anzi, ancora meglio, sembra che stiamo girando un documentario. Lentamente ci muoviamo attorno alle isole e agli scogli emergenti che sono tutti tempestati di volatili e, di tanto in tanto, anche qualche simpatico pinguino.

Anche le otarie, o leoni di mare, alzano appena la testa per darci un occhiata poco interessata. Se ne stanno spaparanzati sugli scogli a digerire chissà quanti chili di pesce. 
 

Quando passiamo in mezzo a due delle isole più grandi, si vede volteggiare in aria un flusso continuo di uccelli che va da un piccolo pontile all'altro, usati per raccogliere il guano. L'effetto visivo crea un ponte sospeso che ondeggia sui colpi d'ala dei volatili.

Mentre navighiamo a volte spunta dall'acqua la capoccetta di un otaria, mentre sugli scogli grossi granchi rossi si arrampicano lentamente.

Quando è il momento di tornare sulla terraferma ci spiace dover lasciare i nostri amici, ma mentre il motoscafo aumenta la velocità fino a far volare i capelli (quelli degli altri), sembra che vogliano accompagnarci in volo fino a quando ci superano e tornano ad unirsi al loro stormo.

Non è nemmeno mezzogiorno quando scendiamo dal pulmino che è giunto alla tappa successiva, l'oasi di Huacacina.

Le dune del deserto le avevo viste solo nei film o nei documentari, non sapevo che effetto mi avrebbero fatto dal vivo. Per scoprirlo, al fianco di una Cassandra urlante per gli scossoni e le picchiate, siamo saliti sulle cime a tutta velocità con un dune buggy, uno vero. Blu con capottina gialla. Scalando i pendii scoscesi di queste montagne di sabbia, che viste dal basso non sembravano poi tanto alte, al momento di invertire la marcia sobbalzando peggio delle montagne russe, molto peggio, si realizza che questi cumuli di polvere sono altissimi. Soprattutto se si scendono senza quasi toccare i freni. Fantastico e da brividi, anche se a metà del giro non sentivo più le mani talmente stringevo forte la barra metallica davanti a me. Cassandra urlava e rideva, ma non sono certo che si sia divertita così tanto.



Dopo una decina di minuti di montagne russo-peruviane, facciamo una sosta panoramica per qualche foto e poi il guidatore tira fuori una tavola da snowboard, ma per la sabbia. Andrea il Sultano ci prova e non va benissimo, Daniele pure, poi mi butto io. Non sapendo nemmeno sciare scelgo lo stile Fantozzi: a pelle di leone. Non va male, anzi è molto divertente. Andrea il gladiatore segue il mio esempio ma poi nessun altro si butta più.

Risultato di questa sciata sabbiosa: due macchine fotografiche bloccate per la sabbia.

Risaliamo sul buggy e riprendiamo la pazza corsa sulle dune. Ormai siamo più esperti e meno impressionabili, così le dune e la velocità diventano sempre più alte. Bellissimo, ma sempre con qualche brivido.

Scendiamo meno sconvolti di quello che pensavo, anche Cassandra mi sembra tranquilla e contenta.




Seduti sulla riva molto turistica dell'oasi, consumiamo un rapido pasto, quindi ripartiamo alla volta di Nazca e delle sue linee.

Per altre due ore attraversiamo un diverso tipo di deserto, meno sabbioso e ricco di sassi e rocce, percorrendo la famosa Panamericana sur, la strada che taglia tutto il sud America.

Cerchiamo di riposare un pochino ma quando siamo a circa ottanta chilometri da Nazca iniziamo a vedere le famose linee un po' ovunque.

Sarà la suggestione ma ad un certo punto ho creduto di vedere il disegno di Rat man.

Quando in fine ci arriviamo, con la strada che attraversa letteralmente le linee, purtroppo come era ovvio non riusciamo a vedere nulla. Sarà necessario servirsi di un piccolo aereo plano per vederle.

Andiamo prima in hotel a lasciare i bagagli e poi di corsa su un altro pulmino verso il piccolo aeroporto turistico dove, dopo aver pagato le tasse aeroportuali ci pesano e ci passano sotto il metal detector.



Saliamo in cinque sul mini aereo come quello guidato da Bud Spencer in molti dei suoi film. Assieme ai due piloti siamo sette: Io, Cassandra, Alberto, Federico e Andrea il gladiatore. Partiamo fiduciosi, soprattutto dopo aver vissuto il dune buggy, di superare indenni la prova del volteggio che, leggendo su internet, si dica sia provante per lo stomaco.

Decolliamo indossando le grosse e calde cuffie con cui il copilota ci indicherà dove guardare in basso e in un paio di minuti siamo in cielo sopra le linee. La prima che vediamo, anche se un po' a fatica, è la balena, poi l'aereo piega dall'altra parte e via così per ogni disegno. I trapezi, la scimmia, il Colibrì, il Condor, le mani, l'albero, il cane, il ragno, il pappagallo. Già al terzo inclinamento inizio a sentire qualcosa che non va. Avevo letto che per non star male si doveva guardare avanti così ci provo.






Le linee sono molto belle e riesco a vederle tutte, solo il ragno tenta di sfuggirmi ma alla fine, anche se non riesco a immortalarlo, lo vedo. Mi sento molto soddisfatto, ma poi mentre ci incliniamo sulle ultime figure, mi accorgo di essere immerso in un bagno di sudore freddo.



Atterriamo proprio sul filo del rasoio, ancora tre o quattro virate e avrei colorato gli interni dell'aeroplanino di un vivace color trasu' de ciuc (viola vomito).

Mentre cerco di riprendere fiato e colore, scopriamo che le famose linee di Nazca non sono le uniche: nella zona di Paracas infatti ce ne sono molte altre più complesse, definite e perfino più antiche.





Queste di Nazka sono le più famose perché sono state le prime ad essere trovate e anche per come sono state scoperte. Mentre torniamo in hotel, ancora un po' provati, la guida ci spiega che ci sono tante teorie su chi abbia fatto le linee e perché, ma nessuna ha a che fare con gli ufo, alla faccia di Voyager. Le linee furono scoperte nel 1927 da un americano che le vide per la prima volta in volo dopo averne notato alcune passandovi accanto. Non vide i famosi disegni ma solo linee, che attribuì ad una antica civiltà che secondo lui le aveva usate come canali di irrigazione. Nel 1940 invece fu un altro americano a scoprire i disegni, anch'esso sorvolando la piana in aereo. Fu però la scienziata tedesca Maria Reiche a salvare le linee: nel 1941 infatti il governo peruviano sembrava intenzionato a voler irrigare tutta la piana per poterla coltivare.





Maria Reiche allora sorvolò la zona e fotografò tutti i disegni portandoli all'attenzione del governo, il quale abbandonò immediatamente il progetto di irrigazione.


La Reiche dedicò tutta la sua vita allo studio delle linee e dei disegni di Nazka che riuscì ad interpretare con dei significati astronomici. I disegni in pratica erano sì rivolti verso l'alto e quindi visibili solo da una certa altezza, e lo scopo era per ringraziare gli dei. 
 

In realtà esiste davvero un mistero legato a questo luogo: i disegni hanno una profondità tra i cinque ed i sette centimetri e basterebbe un po' di pioggia per farli scomparire per sempre. Il bello è che qui non piove mai. Tutto attorno a questa zona piove, ma non qui. Perfino quando venne El niño che portò dieci ore ininterrotte di pioggia torrenziale, sulla piana di Nazka piovve solo venti minuti, e neanche forte.





Inoltre basterebbe poca sabbia per ricoprire i disegni, sabbia di questo deserto che effettivamente si deposita durante il giorno. Di notte però dei piccoli mulinelli di vento che passano sulla piana aspirano quella sabbia e la lasciano cadere sulle montagne che stanno tutto attorno.  
 

In serata vorremmo visitare la città ma non c'è molto da vedere, così decidiamo di unirci per la prima volta alla cena con gli altri. Nel gruppo c'è un'altra vegetariana e sembra che fino ad ora sia riuscita a trovare sempre qualcosa di commestibile anche per lei. Purtroppo le indicazioni della receptionist dell'hotel sono sbagliate e ci fanno girare a vuoto per un'ora, così ce ne torniamo in camera a consumare la nostra gavetta.

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