Nonostante
la sveglia fosse puntata alle 6:45 ci svegliamo alle 6 a causa di un
gallosauro che inizia a urlare da quell'ora.
Facciamo
colazione in terrazza con vista sul mare, assediati da un gatto che
miagola sotto il tavolo per ricevere qualche pezzo di pane e
marmellata. Il posto è molto carino anche se dà quasi l'impressione
di essere sul mediterraneo.
Prima
di partire ho il primo contatto ravvicinato con la popolazione locale
mentre cerco di acquistare una semplice bottiglia d'acqua. Nonostante
tenga l'acqua con una mano e la banconota con l'altra, il gestore del
chiosco non mi si fila di pezza. E' tutto intento a terminare un paio
di panini con la Palta, ovvero l'avocado. Gli altri mi aspettano per
andare al porto e io non so più cosa inventarmi per farmi notare,
anche i numeri da giocoliere con palline e clave sono inutili.
Probabilmente sono solo io che sono abituato in altro modo, comunque
alla fine, dopo che tutti i panini sono finiti, riesco a pagare.
Verso
le otto saliamo sul motoscafo che ci porta a vedere le isole
Ballestas. Prima però ci fermiamo ad ammirare il famoso candelabro
disegnato sulla sabbia. Pare che sia lì da quasi 500 anni e ancora
non si è capito chi lo abbia fatto, né perché. Alcune ipotesi
dicono che fosse un segnale lasciato da pirati, altre che un'antica
civiltà abbia disegnato dei cactus. L'unica cosa certa è che il
disegno resiste perché qui non piove mai e grazie alla particolare
composizione minerale della sabbia.
Riprendiamo
il mare con destinazione Ballestas. Sono isole su cui è vietato
scendere, sono completamente ricoperte da colonie di uccelli che
producono guano. Venduto a peso d'oro, viene raccolto e spedito in
tutto il mondo come uno tra i migliori fertilizzanti.
Tra
le varie specie che vivono qui ci sono Cormorani, Pellicani,
Marangone, Sule e poi anche Pinguini di Humboldt e qualche colonia di
otarie. Le acque sono ricchissime di fitoplancton che attira molti
pesci, ecco perché ci sono così tanti uccelli.
Nonostante
il cattivo odore è un posto magico, sembra di stare in un
documentario, anzi, ancora meglio, sembra che stiamo girando un
documentario. Lentamente ci muoviamo attorno alle isole e agli scogli
emergenti che sono tutti tempestati di volatili e, di tanto in tanto,
anche qualche simpatico pinguino.
Anche
le otarie, o leoni di mare, alzano appena la testa per darci un
occhiata poco interessata. Se ne stanno spaparanzati sugli scogli a
digerire chissà quanti chili di pesce.
Quando
passiamo in mezzo a due delle isole più grandi, si vede volteggiare
in aria un flusso continuo di uccelli che va da un piccolo pontile
all'altro, usati per raccogliere il guano. L'effetto visivo crea un
ponte sospeso che ondeggia sui colpi d'ala dei volatili.
Mentre
navighiamo a volte spunta dall'acqua la capoccetta di un otaria,
mentre sugli scogli grossi granchi rossi si arrampicano lentamente.
Quando
è il momento di tornare sulla terraferma ci spiace dover lasciare i
nostri amici, ma mentre il motoscafo aumenta la velocità fino a far
volare i capelli (quelli degli altri), sembra che vogliano
accompagnarci in volo fino a quando ci superano e tornano ad unirsi
al loro stormo.
Non
è nemmeno mezzogiorno quando scendiamo dal pulmino che è giunto
alla tappa successiva, l'oasi di Huacacina.
Le
dune del deserto le avevo viste solo nei film o nei documentari, non
sapevo che effetto mi avrebbero fatto dal vivo. Per scoprirlo, al
fianco di una Cassandra urlante per gli scossoni e le picchiate,
siamo saliti sulle cime a tutta velocità con un dune buggy, uno
vero. Blu con capottina gialla. Scalando i pendii scoscesi di queste
montagne di sabbia, che viste dal basso non sembravano poi tanto
alte, al momento di invertire la marcia sobbalzando peggio delle
montagne russe, molto peggio, si realizza che questi cumuli di
polvere sono altissimi. Soprattutto se si scendono senza quasi
toccare i freni. Fantastico e da brividi, anche se a metà del giro
non sentivo più le mani talmente stringevo forte la barra metallica
davanti a me. Cassandra urlava e rideva, ma non sono certo che si sia
divertita così tanto.
Dopo
una decina di minuti di montagne russo-peruviane, facciamo una sosta
panoramica per qualche foto e poi il guidatore tira fuori una tavola
da snowboard, ma per la sabbia. Andrea il Sultano ci prova e non va
benissimo, Daniele pure, poi mi butto io. Non sapendo nemmeno sciare
scelgo lo stile Fantozzi: a pelle di leone. Non va male, anzi è
molto divertente. Andrea il gladiatore segue il mio esempio ma poi
nessun altro si butta più.
Risultato
di questa sciata sabbiosa: due macchine fotografiche bloccate per la
sabbia.
Risaliamo
sul buggy e riprendiamo la pazza corsa sulle dune. Ormai siamo più
esperti e meno impressionabili, così le dune e la velocità
diventano sempre più alte. Bellissimo, ma sempre con qualche
brivido.
Scendiamo
meno sconvolti di quello che pensavo, anche Cassandra mi sembra
tranquilla e contenta.
Seduti
sulla riva molto turistica dell'oasi, consumiamo un rapido pasto,
quindi ripartiamo alla volta di Nazca e delle sue linee.
Per
altre due ore attraversiamo un diverso tipo di deserto, meno sabbioso
e ricco di sassi e rocce, percorrendo la famosa Panamericana sur, la
strada che taglia tutto il sud America.
Cerchiamo
di riposare un pochino ma quando siamo a circa ottanta chilometri da
Nazca iniziamo a vedere le famose linee un po' ovunque.
Sarà
la suggestione ma ad un certo punto ho creduto di vedere il disegno
di Rat man.
Quando
in fine ci arriviamo, con la strada che attraversa letteralmente le
linee, purtroppo come era ovvio non riusciamo a vedere nulla. Sarà
necessario servirsi di un piccolo aereo plano per vederle.
Andiamo
prima in hotel a lasciare i bagagli e poi di corsa su un altro
pulmino verso il piccolo aeroporto turistico dove, dopo aver pagato
le tasse aeroportuali ci pesano e ci passano sotto il metal detector.
Saliamo
in cinque sul mini aereo come quello guidato da Bud Spencer in molti
dei suoi film. Assieme ai due piloti siamo sette: Io, Cassandra,
Alberto, Federico e Andrea il gladiatore. Partiamo fiduciosi,
soprattutto dopo aver vissuto il dune buggy, di superare indenni la
prova del volteggio che, leggendo su internet, si dica sia provante
per lo stomaco.
Decolliamo
indossando le grosse e calde cuffie con cui il copilota ci indicherà
dove guardare in basso e in un paio di minuti siamo in cielo sopra le
linee. La prima che vediamo, anche se un po' a fatica, è la balena,
poi l'aereo piega dall'altra parte e via così per ogni disegno. I
trapezi, la scimmia, il Colibrì, il Condor, le mani, l'albero, il
cane, il ragno, il pappagallo. Già al terzo inclinamento inizio a
sentire qualcosa che non va. Avevo letto che per non star male si
doveva guardare avanti così ci provo.
Le
linee sono molto belle e riesco a vederle tutte, solo il ragno tenta
di sfuggirmi ma alla fine, anche se non riesco a immortalarlo, lo
vedo. Mi sento molto soddisfatto, ma poi mentre ci incliniamo sulle
ultime figure, mi accorgo di essere immerso in un bagno di sudore
freddo.
Atterriamo
proprio sul filo del rasoio, ancora tre o quattro virate e avrei
colorato gli interni dell'aeroplanino di un vivace color trasu' de
ciuc (viola vomito).
Mentre
cerco di riprendere fiato e colore, scopriamo che le famose linee di
Nazca non sono le uniche: nella zona di Paracas infatti ce ne sono
molte altre più complesse, definite e perfino più antiche.
Queste
di Nazka sono le più famose perché sono state le prime ad essere
trovate e anche per come sono state scoperte. Mentre torniamo in
hotel, ancora un po' provati, la guida ci spiega che ci sono tante
teorie su chi abbia fatto le linee e perché, ma nessuna ha a che
fare con gli ufo, alla faccia di Voyager.
Le
linee furono scoperte nel 1927 da un americano che le vide per la
prima volta in volo dopo averne notato alcune passandovi accanto. Non
vide i famosi disegni ma solo linee, che attribuì ad una antica
civiltà che secondo lui le aveva usate come canali di irrigazione.
Nel 1940 invece fu un altro americano a scoprire i disegni, anch'esso
sorvolando la piana in aereo. Fu però la scienziata tedesca Maria
Reiche a salvare le linee: nel 1941 infatti il governo peruviano
sembrava intenzionato a voler irrigare tutta la piana per poterla
coltivare.
Maria
Reiche allora sorvolò la zona e fotografò tutti i disegni
portandoli all'attenzione del governo, il quale abbandonò
immediatamente il progetto di irrigazione.
La
Reiche dedicò tutta la sua vita allo studio delle linee e dei
disegni di Nazka che riuscì ad interpretare con dei significati
astronomici. I disegni in pratica erano sì rivolti verso l'alto e
quindi visibili solo da una certa altezza, e lo scopo era per
ringraziare gli dei.
In
realtà esiste davvero un mistero legato a questo luogo: i disegni
hanno una profondità tra i cinque ed i sette centimetri e basterebbe
un po' di pioggia per farli scomparire per sempre. Il bello è che
qui non piove mai. Tutto attorno a questa zona piove, ma non qui.
Perfino quando venne El niño che portò dieci ore ininterrotte di
pioggia torrenziale, sulla piana di Nazka piovve solo venti minuti, e
neanche forte.
Inoltre
basterebbe poca sabbia per ricoprire i disegni, sabbia di questo
deserto che effettivamente si deposita durante il giorno. Di notte
però dei piccoli mulinelli di vento che passano sulla piana aspirano
quella sabbia e la lasciano cadere sulle montagne che stanno tutto
attorno.
In
serata vorremmo visitare la città ma non c'è molto da vedere, così
decidiamo di unirci per la prima volta alla cena con gli altri. Nel
gruppo c'è un'altra vegetariana e sembra che fino ad ora sia
riuscita a trovare sempre qualcosa di commestibile anche per lei.
Purtroppo le indicazioni della receptionist dell'hotel sono sbagliate
e ci fanno girare a vuoto per un'ora, così ce ne torniamo in camera
a consumare la nostra gavetta.
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