La
Paz a 3600 metri è la capitale boliviana e ci vivono un milione di
abitanti. Qui si parla il castillano e l'aymara.
Con
un pullman tutto nostro partiamo per la scalata del Chakaltay, quella
che una volta era la pista da sci più alta del mondo, 5400 metri.
Sulla
sgangherata strada che porta al rifugio, da cui tenteremo la scalata,
il pullman sembra passarci per un soffio. I fortunati che si trovano
sul lato del burrone rischiano l'infarto ad ogni ondeggiamento o
sussulto del pullman.
Non
si può fare a meno di pensare alle strade più pericolose del mondo,
dove cadono pullman come il nostro un giorno si e l'altro no. Nessuno
lo dice, ma tutti sperano che ne sia caduto uno ieri.
Mentre
saliamo i metri della montagna, anche il panorama diventa sempre più
mozzafiato e colorato. Il terreno si tinge di ruggine e giallo, così
come i laghetti che vanno dall'azzurro al verde e, in netto contrasto
con la luce che abbaglia il blu del cielo, ce ne è uno addirittura
rosso. Mentre ci avviciniamo a quota 5000 metri e non so se i brividi
che sento pizzicarmi la pelle siano dati dall'altitudine, dalla paura
per certi movimenti del bus o dal panorama.
Rabbrividendo
e sudando arriviamo al rifugio, da cui tenteremo la scalata alla
cima. Partiamo
piano, l'ossigeno è poco e il fiato è subito corto. Del resto siamo
già più in alto del monte bianco e non siamo scalatori
professionisti, a parte Massimo.
Passo
dopo passo, sosta dopo sosta, avanziamo verso la vetta che
raggiungiamo quasi increduli. Siamo saliti fino a quota 5435 metri. I
nostri primi 5000.
Dopo
le foto per testimoniare la conquista della vetta, scendiamo agili e
allegri come caprioli, solo finché non ci ricordiamo che per
scendere dovremo salire sul bus e riaffrontare la strada da brividi.
In
realtà non risulta poi peggio di prima, anzi è meglio. Sarà la
mancanza di ossigeno patita in cima.
Dopo
un veloce pranzo dalla sorella della viscida guida che propina al
gruppo una porchetta boliviana mentre noi consumiamo il nostro
muscolo di grano, andiamo a vedere la famosa Valle della Luna. Questa
è un area protetta di calanchi formati dalla stagione delle piogge
che ogni anno le modifiche e le plasma. È un posto strano che per
certi aspetti ricorda davvero la Luna, ma a me fa pensare più a
strani canyon in miniatura di qualche film western dimenticato.
Tornati
in hotel abbiamo per la prima volta un pochino di tempo libero per
girare la città e proprio a due passi da dove dormiamo c'è il
famoso mercato delle streghe, dove pare si possano trovare pozioni di
ogni genere. Visitandolo scopriamo che in realtà di stregoneria c'è
ben poco. La maggior parte dei negozi vende i soliti cappelli,
sciarpe, poncho e guanti in lana. Ci sono perfino gli stessi
manufatti dell'isola di Uros, a prezzi molto più vantaggiosi
ovviamente. I pochi negozi di pozioni sembrano per lo più
erboristerie esotiche con qualche feticcio. Enza, appassionata di
esoterismo ci si perde, io e Cassandra non subiamo lo stesso fascino
e andiamo a visitare un altro angolo di città. Purtroppo come ci
giriamo troviamo solo smog e bruttezza. La Paz non ci piace proprio.
A
sera torniamo a mangiare al ristorante di ieri e io cedo alla
tentazione dell'hamburgher di soya (quando mi ricapita in Bolivia?),
mentre Cassandra saccheggerà il buffet vegetariano.
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