La
nottata è stata faticosa, scale da fare e soprattutto coperte da
sollevare e tirare. Erano fisicamente pesanti, tanto che per un
mingherlino come me è stata una dura sessione di pesi.
Alle
cinque suona la sveglia e la colazione è pronta quindici minuti
dopo: pancake, marmellata e muña. Abbiamo giusto il tempo di andare
in bagno, anzi nemmeno quello perché subito ci mettiamo in cammino
per il porticciolo, cercando di stare dietro a Carmencita. La
silenziosa signora, con i suoi sandali, sempre rigorosamente senza
calze, sgambetta nel freddo mattino illuminato solo dal bagliore del
sole che deve ancora sorgere. Noi, dietro e tutti intabarrati per il
freddo, fatichiamo a tenere il suo passo.
Al
porto c'è giusto il tempo di scambiare un abbraccio e un sorriso con
Carmencita e saltiamo in barca, ammirando un'alba mozzafiato che ci
ripaga di tutte le sofferenze notturne patite.
Dopo
circa tre ore di navigazione sbarchiamo alle isole Uros, tappa di cui
avrei fatto volentieri a meno, mi spiego meglio. Sbarchiamo su un
isolotto dove ci accolgono delle donne con un saluto nella lingua
aymara. Noi rispondiamo come ci hanno insegnato, le guide quindi le
signore ci fanno fare un giro della piccola isola galleggiante
mostrandoci l'interno delle loro casette. Ci spiegano che qui vivono
ben cinque famiglie e al momento gli uomini sono sul lago a pescare,
mentre le donne si occupano di accogliere turisti, creare
l'artigianato, cucinare e fare manutenzione dell'isola. Questa è
fatta con grossi blocchi di torba galleggiante tenuti assieme da
corde di nylon, su cui successivamente vengono adagiati strati e
strati di giunchi.
Ci
mostrano anche la loro grande barca a forma di babbuccia chiedendoci
se vogliamo farvi un giro sul lago, nessuno però è dell'avviso.
Fini
qui tutto bene, poi ci mostrano i loro lavori di artigianato e mi si
accende il primo campanello d'allarme. I prezzi, già in dollari, mi
sembrano altini. I manufatti sono carini e sono tentato di prenderne
uno, ma Cassandra ha una premonizione e mi fa cambiare idea, cosa che
a molti altri non riesce.
Proprio
mentre stiamo per andarcene viene fatta una domanda alla guida che
smonta tutto il castello di carte: a che epoca risalgono le isole
Uros? Risposta: al 1986. In pratica prima di allora c'era qualcuno
che viveva sulla torba che cresceva attorno alle isole, poi
l'innalzamento del livello delle acque del lago ha provocato il
distaccamento e conseguente galleggiamento della torba, dando così
origine all'idea di ancorare davanti a Puno queste isole.
Inoltre
il pilota della barca, tale Lazzaro, ci rivela che ogni sera gli
abitanti delle isole saltano in barca e tornano alle loro case sulla
terra ferma.
Una
bella presa in giro per turisti mi pare.
A
saperlo avrei preferito vedere il sito archeologico di Sillustani, a
cui abbiamo dovuto rinunciare per mancanza di tempo.
Tornati
a Puno ci rechiamo in tutta fretta alla stazione dei Pullman: oggi
abbiamo in programma di sconfinare in un'altra nazione, la Bolivia.
Purtroppo di questo stato non so praticamente nulla, se non che vi
sono stati ammazzati Butch Cassidy ed Ernesto Cheghevara.
Il
vecchio torpedone blu che ci accompagna impiegherà circa due ore per
fare il giro del lago e portarci al confine. Al vaglio dei passaporti
tutto bene tranne che per Cassandra. Il funzionario dell'immigrazione
sembra confonderla con una della banda Baader-Meinhof, e solo dopo
alcuni accertamenti la lasciano passare. Pesa sulla sua decisione che
alla TV accesa lì accanto stava per iniziare una nuova puntata della
telenovela boliviana “Los Pioneros".
Arriviamo
a Copacabana, omonima boliviana della più famosa brasiliana, che qui
sorge sulle rive del lago.
Troviamo
quasi subito il minivan che ci porterà alla capitale La Paz, piccolo
e appena sufficiente a trasportare quattordici passeggeri, caricando
tutte le valigie tetto.
Appena
ci incastriamo e la porta viene chiusa togliendoci ogni possibilità
di fuga, l'autista ci svela che ci vorranno quattro o cinque ore di
viaggio per arrivare a destinazione.
Nel
piccolo abitacolo inizia a mancare l'aria, poi il pilota parte e,
appena fuori Copacabana, ingrana la quarta e si mette a correre come
un pazzo sulle strade di montagna che ci separano dalla capitale.
Dopo
circa due ore di brividi arriviamo alla parte più stretta del lago,
dove le due sponde sono separate da soli 600 metri. Scendiamo tutti
dal minivan e lo guardiamo mentre viene caricato su di una chiatta di
legno per attraversare lo stretto. Noi invece lo faremo a bordo di un
piccolo barchino a motore per la modica cifra di due boliviani, circa
trenta centesimi di euro.
Reimbarcati
non siamo minimamente preparati a quello che ci aspetta. Il viaggio
verso La Paz è tranquillo finché non arriviamo nei pressi
dell'interland: un delirio di strade interrotte per lavori in corso,
buche, smog e banchi di polvere fitti come nebbia padana. Ci sono poi
bande di cani che presidiano il territorio, pronte a sbranare
qualunque tipo di spazzatura possano recuperare.
Sembra
di essere finiti in una città dopo un bombardamento o un violento
terremoto. In giro non si vedono persone, solo oscuri veicoli e
grossi cani. Tutto questo caos è causato dalla costruzione ancora in
corso della nuova autostrada. Pare che i committenti abbiano
appaltato il progetto agli stessi che stanno seguendo i lavori della
Salerno-Reggio Calabria.
Come
se non bastasse, quando riusciamo ad uscire dal caos arriviamo e a La
Paz, il nostro autista non sa dove sia l'hotel. E' una città molto
grande e chiedendo un po' in giro ci arriviamo che sono le dieci di
sera, affamati come i cani randagi di prima.
Ciliegina
sulla torta: soroche. Oltre ad un mal di testa feroce, ho iniziato a
perdere sangue dal naso. Anche se non sono stato l'unico ad avere
questo problema, da oggi fino alla fine del viaggio sarò torturato
da queste perdite fastidiose, in alcuni casi dolorose. La causa
probabilmente è l'aria, oltre ad essere secca, è inquinata e
polverosa, specie qui in Bolivia.
Sapendo
che saremmo arrivati tardi, l'hotel ha preventivamente chiamato un
ristorante per tenere aperto per noi è così riusciamo a cenare. Ci
va pure bene sul menù: sopa de chuno, una patata nera molto gustosa,
più il buffet di insalate e verdure. Cassandra si butta a piombo su
tutto il buffet vegetale che risulta anche buono, seppur freddo.
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