mercoledì 16 marzo 2016

Sant'Ivo alla sapienza


La visita guidata di oggi è un pochino differente dalle solite: sarà più incentrata sulla storia dell’architettura che sull’archeologia romana. Abbiamo visitato infatti sant’Ivo alla sapienza, un piccolo gioiello realizzato da niente meno che il Borromini.
Entrando nel cortile della vecchia università, ci troviamo di fronte alla facciata di una piccola cappella, fatta erigere da Leone X. Questa fu la prima cappella universitaria inserita nel contesto della prima università di Roma, la Sapienza.
Quello che vediamo oggi però è solo l'ultimo degli interventi che sono stati fatti nei secoli, e lo si deve all'architetto Giacomo Dellaporta: un palazzo unico concepito attorno ad un cortile con un grande porticato al pian terreno, mentre al primo piano c'è un loggiato continuo su tutti e tre i lati.
Fu lo stesso architetto a decidere che il quarto lato doveva già essere ad esedra, in modo da poter realizzare in seguito la nuova cappella universitaria.
L'architetto continuò i lavori del palazzo, che doveva ospitare le facoltà di teologia e di giurisprudenza, fino alla morte, senza concludere la sua opera. I lavori continueranno anche dopo quando, nel seicento inoltrato, si aggiungeranno anche le facoltà di medicina e di matematica.
Il papa che diede inizio ai lavori fu Gregorio XIII Boncompagni, ma i lavori di costruzione proseguirono anche durante i pontificati di Sisto V, Paolo V Borghese, Urbano VIII Barberini e Alessandro VII Chigi.
Fu Urbano VIII ad affidare i lavori al Borromini per la costruzione della nuova cappella universitaria, che venne così dedicata a Sant'Ivo, patrono degli avvocati.
Stando nel cortile e volgendo lo sguardo verso l’alto, si possono scorgere molto bene i segni lasciati da tutti questi papi, ovvero i simboli delle loro casate: il drago della famiglia Boncompagni, il Leone di Sisto V, le aquile della famiglia Borghese. Poi ci sono i colli sormontati da una stella, simbolo dei Chigi. In ultimo ci sono le api dei Barberini.
Sarà Borromini a portare a termine la costruzione del palazzo della Sapienza, il cui nome in realtà sarebbe Studium urbe, ovvero studio dell'urbe.
L'università pontificia rimarrà poi in uso fino ad un epoca modernissima, il 1936, quando Mussolini fece trasferire in questa sede l'archivio di stato, spostando l'università a Castro pretorio.
L'interno di Sant'Ivo, contrariamente a quanto possa sembrare, ha dimensioni molto ridotte, essendo vincolato dal palazzo universitario che lo contiene.


La pianta non è circolare, ma il Borromini, partendo da un triangolo, lo sovrappone ad un altro triangolo rovesciato, e va a realizzare la forma di un ape, simbolo dei Barberini. Studioso dei simbolismi, l’architetto sa molto bene che il triangolo è anche il simbolo della trinità.
La forma composita si ritrova alla fine delle pareti, dove si vedono delle rientranze e delle sporgenze che aggettano su quella che è la cornice, escludendo così per motivi di spazio la trabeazione, ovvero il punto di unione tra le pareti e le cupole.
In questo modo Borromini unisce le pareti con la copertura, la cupola, che non è rotonda, vuole ridisegnare il cerchio perfetto, come nel Pantheon, e dare l'idea della salita infinita. Per farlo apre un cerchio alla fine della cupola che è l'inizio di un ulteriore salita, quella della lanterna che si vede all'esterno.
L'idea della salita infinita pare sia nata da Costantino come idea di progressione, una sorta di pellegrinaggio che dall'esterno, il mondo terreno, entra nella casa di Dio e compie il percorso verso l'altare. Non essendoci qui molto spazio, il percorso viene sfruttato in verticale, salendo verso il cielo.
Lungo le pareti ci sono finti pilastri, rimarcati con dei capitelli, che però negli angoli rientrano, forzando a seguire la salita, restringendosi verso il piccolo cerchio perfetto e vuoto. All'interno infatti sale ancora grazie a delle colonnine che alzano lo spazio verso l'alto.
Tutta la chiesa è bianca, così come le decorazioni. Nella cupola ci sono rappresentate delle stelle che, grandi vicine al cornicione, diventano più piccole man mano che si sale. Ce ne sono cento undici, altro simbolo della trinità: uno più uno più uno.
A questo punto la guida ci racconta chi era Borromini. L’architetto nasce nel canton ticino, ed inizia a lavorare come scalpellino alla fabbrica del Duomo di Milano, venendo così influenzato dall'architettura gotica. Da qui nasce l'idea della risalita gotica, che a Roma manca del tutto prima del suo arrivo.
Borromini si stabilisce a Roma nemmeno ventenne andando a vivere dallo zio Carlo Maderno, colui che era a capo della fabbrica di San Pietro.
Già ottimo scalpellino inizia a lavorare con lo zio e quando questi muore è abbastanza convinto di subentrargli. Purtroppo per lui gli viene preferito il Bernini, il quale non lo caccia ma, conoscendone il grande talento, se lo tiene vicino per affidargli parte di grandi lavori come il baldacchino di San Pietro e in seguito palazzo Barberini.
Usciamo all'esterno per osservare la facciata ad esedra dove si notano i simboli di Alessandro VII Chigi.

La cupola ha la sua parte più complessa in alto, sopra il tamburo che sostiene la lanterna. Qui si riesce a vedere la spirale e le finestrelle, circondate da sporgenze, colonnine e cornicioni. Ci sono anche delle gugliette che in realtà sono fiamme, tutto a cercare sempre la salita infinita. Sopra le fiamme infatti c'è una gabbia in ferro che va verso una sfera, il globo, sopra al quale c'è una colomba con la croce.
L'idea della lanterna il Borromini la prende non solo dal Duomo di Milano, ma anche dal faro di Alessandria, che indicava la strada da seguire alle navi. In questo caso la luce lanterna voleva orientare il fedele verso il divino.
Mai sazio di simbologia il Borromini si ispirò anche alla Torre di Babele, in genere rappresentata con quella forma a spirale, che in questo caso vuole simboleggiare anche le tante culture, le tante lingue, quindi la Sapienza.

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