La
visita guidata di oggi è un pochino differente dalle solite: sarà
più incentrata sulla storia dell’architettura che sull’archeologia
romana. Abbiamo visitato infatti sant’Ivo alla sapienza, un piccolo
gioiello realizzato da niente meno che il Borromini.
Entrando
nel cortile della vecchia università, ci troviamo di fronte alla
facciata di una piccola cappella, fatta erigere da Leone X. Questa fu
la prima cappella universitaria inserita nel contesto della prima
università di Roma, la Sapienza.
Quello
che vediamo oggi però è solo l'ultimo degli interventi che sono
stati fatti nei secoli, e lo si deve all'architetto Giacomo
Dellaporta: un palazzo unico concepito attorno ad un cortile con un
grande porticato al pian terreno, mentre al primo piano c'è un
loggiato continuo su tutti e tre i lati.
Fu
lo stesso architetto a decidere che il quarto lato doveva già essere
ad esedra, in modo da poter realizzare in seguito la nuova cappella
universitaria.
L'architetto
continuò i lavori del palazzo, che doveva ospitare le facoltà di
teologia e di giurisprudenza, fino alla morte, senza concludere la
sua opera. I lavori continueranno anche dopo quando, nel seicento
inoltrato, si aggiungeranno anche le facoltà di medicina e di
matematica.
Il
papa che diede inizio ai lavori fu Gregorio XIII Boncompagni, ma i
lavori di costruzione proseguirono anche durante i pontificati di
Sisto V, Paolo V Borghese, Urbano VIII Barberini e Alessandro VII
Chigi.
Fu
Urbano VIII ad affidare i lavori al Borromini per la costruzione
della nuova cappella universitaria, che venne così dedicata a
Sant'Ivo, patrono degli avvocati.
Stando
nel cortile e volgendo lo sguardo verso l’alto, si possono scorgere
molto bene i segni lasciati da tutti questi papi, ovvero i simboli
delle loro casate: il drago della famiglia Boncompagni, il Leone di
Sisto V, le aquile della famiglia Borghese. Poi ci sono i colli
sormontati da una stella, simbolo dei Chigi. In ultimo ci sono le api
dei Barberini.
Sarà
Borromini a portare a termine la costruzione del palazzo della
Sapienza, il cui nome in realtà sarebbe Studium urbe, ovvero studio
dell'urbe.
L'università
pontificia rimarrà poi in uso fino ad un epoca modernissima, il
1936, quando Mussolini fece trasferire in questa sede l'archivio di
stato, spostando l'università a Castro pretorio.
L'interno
di Sant'Ivo, contrariamente a quanto possa sembrare, ha dimensioni
molto ridotte, essendo vincolato dal palazzo universitario che lo
contiene.
La
pianta non è circolare, ma il Borromini, partendo da un triangolo,
lo sovrappone ad un altro triangolo rovesciato, e va a realizzare la
forma di un ape, simbolo dei Barberini. Studioso dei simbolismi,
l’architetto sa molto bene che il triangolo è anche il simbolo
della trinità.
La
forma composita si ritrova alla fine delle pareti, dove si vedono
delle rientranze e delle sporgenze che aggettano su quella che è la
cornice, escludendo così per motivi di spazio la trabeazione, ovvero
il punto di unione tra le pareti e le cupole.
In
questo modo Borromini unisce le pareti con la copertura, la cupola,
che non è rotonda, vuole ridisegnare il cerchio perfetto, come nel
Pantheon, e dare l'idea della salita infinita. Per farlo apre un
cerchio alla fine della cupola che è l'inizio di un ulteriore
salita, quella della lanterna che si vede all'esterno.
L'idea
della salita infinita pare sia nata da Costantino come idea di
progressione, una sorta di pellegrinaggio che dall'esterno, il mondo
terreno, entra nella casa di Dio e compie il percorso verso l'altare.
Non essendoci qui molto spazio, il percorso viene sfruttato in
verticale, salendo verso il cielo.
Lungo
le pareti ci sono finti pilastri, rimarcati con dei capitelli, che
però negli angoli rientrano, forzando a seguire la salita,
restringendosi verso il piccolo cerchio perfetto e vuoto. All'interno
infatti sale ancora grazie a delle colonnine che alzano lo spazio
verso l'alto.
Tutta
la chiesa è bianca, così come le decorazioni. Nella cupola ci sono
rappresentate delle stelle che, grandi vicine al cornicione,
diventano più piccole man mano che si sale. Ce ne sono cento undici,
altro simbolo della trinità: uno più uno più uno.
A
questo punto la guida ci racconta chi era Borromini. L’architetto
nasce nel canton ticino, ed inizia a lavorare come scalpellino alla
fabbrica del Duomo di Milano, venendo così influenzato
dall'architettura gotica. Da qui nasce l'idea della risalita gotica,
che a Roma manca del tutto prima del suo arrivo.
Borromini
si stabilisce a Roma nemmeno ventenne andando a vivere dallo zio
Carlo Maderno, colui che era a capo della fabbrica di San Pietro.
Già
ottimo scalpellino inizia a lavorare con lo zio e quando questi muore
è abbastanza convinto di subentrargli. Purtroppo per lui gli viene
preferito il Bernini, il quale non lo caccia ma, conoscendone il
grande talento, se lo tiene vicino per affidargli parte di grandi
lavori come il baldacchino di San Pietro e in seguito palazzo
Barberini.
Usciamo
all'esterno per osservare la facciata ad esedra dove si notano i
simboli di Alessandro VII Chigi.
La
cupola ha la sua parte più complessa in alto, sopra il tamburo che
sostiene la lanterna. Qui si riesce a vedere la spirale e le
finestrelle, circondate da sporgenze, colonnine e cornicioni. Ci sono
anche delle gugliette che in realtà sono fiamme, tutto a cercare
sempre la salita infinita. Sopra le fiamme infatti c'è una gabbia in
ferro che va verso una sfera, il globo, sopra al quale c'è una
colomba con la croce.
L'idea
della lanterna il Borromini la prende non solo dal Duomo di Milano,
ma anche dal faro di Alessandria, che indicava la strada da seguire
alle navi. In questo caso la luce lanterna voleva orientare il fedele
verso il divino.
Mai
sazio di simbologia il Borromini si ispirò anche alla Torre di
Babele, in genere rappresentata con quella forma a spirale, che in
questo caso vuole simboleggiare anche le tante culture, le tante
lingue, quindi la Sapienza.
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