giovedì 7 luglio 2016

Secondo giorno – Lima - Plaza de Armas – Huaca Pucllana – Museo dell'oro - Paracas

Ci svegliamo riposati, anche se un po' intontiti. Il fatto di essere rimasti svegli fino alla sera precedente ci ha messo al riparo dal problema del fuso orario di sette ore posticipato rispetto a quello di casa.
Avendo la mattinata libera ci mettiamo d'accordo con alcuni del gruppo per andare a vedere la vicina Plaza de Armas, il centro della città. In Perù tutte le piazze principali cittadine si chiamano Plaza de Armas, ma questa dovrebbe essere la più importante perché vi si affaccia il palazzo del governo dove ogni giorno viene fatta la cerimonia del cambio della guardia.
Oltre al palazzo del governo, sulla piazza ci sono anche altri importanti edifici storici, che però scopriamo essere stati ricostruiti più volte anche di recente, a causa dei frequenti terremoti. Entriamo a visitare la cattedrale e il Palazzo Arcivescovile. Dal mio punto di vista sono un po' deludenti, per lo meno pensavo che nel cuore della capitale ci fosse qualcosa di più interessante, ma forse sono io che essendo all'inizio del viaggio sono troppo carico di aspettative.
Quello che invece non mi aspettavo di trovare, addirittura nella cattedrale, è la sontuosa cappella di Francisco Pizarro. Nonostante tutto quello che ha fatto, dettagliatamente riportato sulla tomba, per lo meno sotto ci potevano scrivere “Mortacci tua!”.
Usciamo e percorriamo una via pedonale di negozi che porta ad un'altra piazza, ma l'atmosfera non cambia molto il nostro umore, cupo come il cielo. C'è chi ha definito questa città come la più triste del mondo a causa del suo eterno grigiore. Lima è perennemente ricoperta da una coltre di nubi che filtra la luce del sole non lasciandola passare, togliendo così colore a tutto. Aggiungiamo tutto quello smog che peggiora la situazione, soprattutto perché qui non piove mai. Va detto però che tra le grigie vie sono nascosti gioielli tutti da scoprire come certi musei. Essendo noi di passaggio siamo riusciti appena a sollevare questo velo di tristezza per vedere cosa c'è sotto.

Nel quartiere di mira flores per esempio, più esclusivo e tranquillo, nonché molto meno inquinato, sorge un mastodontico sito archeologico. E' una montagna fatta di milioni di mattoni di fango che resiste da quasi duemila anni.
In questo luogo la civiltà Lima creò l'immenso santuario che ci apprestiamo a visitare. In cima alla collinetta vi era un tempio e tutto attorno le abitazioni di questo antico popolo.
Dopo qualche secolo i Lima vennero sostituiti da un'altra civiltà, i Wari, che a loro volta vennero poi assorbiti nell'impero Inca.
Il sito in realtà era un complesso grandissimo, probabilmente tutto colorato dal giallo ricavato da un minerale che si chiama limonite. Ecco svelata l'origine del nome della città la cui radice parte proprio da qui.
Seguendo la guida in spagnolo, che per fortuna si capisce abbastanza bene e quando non si capisce interviene il nostro amico Matteo, attraversiamo la piazza grande dove si facevano anche sacrifici umani.
Saliamo sulla collina di mattoni, che in realtà scopriamo essere una piramide senza punta. Tutto qui è costruito con i mattoni messi in verticale come se fosse una libreria infinita. Sembra un idiozia ma è antisismica: lasciando infatti lo spazio ai mattoni di muoversi durante le scosse, questi al massimo ondeggiano, non si rompono e quindi non crollano.
In cima alla piramide incontriamo una tomba dei Wari, la civiltà che soppiantò i Lima. Nella tomba ci sono le mummie di un uomo, una donna e tre bambini. Furono sacrificati perché gli Wari pensavano che esistesse una vita dopo la morte.
Scendiamo dalla piramide e la guida ci parla di un'altra civiltà arrivati dopo gli Wari che aveva il culto dei terremoti. Il Perù infatti è sulla cintura di fuoco ed i terremoti sono molto frequenti.
Camminando in mezzo a tutti questi mattoni di fango ci viene spontaneo chiederci come abbiano potuto resistere per secoli fino ad oggi senza sciogliersi sotto la pioggia, del resto sono sempre fatti di semplice terra. La guida ci racconta che a Lima non piove mai. Lei è nata a Lima e da bambina non ha mai lasciato la capitale. Quando a dodici anni si è recata a Cuzco, per la prima volta ha visto la pioggia.
Il tempo è tiranno e la strada da fare entro sera ancora lunga, per cui siamo costretti a tagliare la visita per recarci al famoso museo dell'oro.
Qualche anno fa sono stato a Brescia a vedere un museo itinerante sugli Inca, molto bello, ma non paragonabile a questo.
Il museo è la collezione privata di un uomo che raccolse tutto e poi lo donò per farne un museo pubblico.
È impressionante, davvero ricco e vario, ma per il momento sto parlando solo del primo piano che riguarda le armi. Ci sono armi di ogni epoca e luogo del mondo. Una cosa mai vista: armi e armature spagnole, spade, sciabole e poi le pistole di ogni epoca. Dal Far West alla seconda guerra mondiale, passando per fucili, pistole spagnole a polvere, archibugi, spingarde, mitra, spade e armature giapponesi, completi arabi con lame ricurve e seghettate dalle forme più spaventose. Tutto disposto in modo impeccabile, anche se con pochissime, per non dire nulle, targhette esplicative. Pare ci sia perfino una pistola appartenuta a Fidel Castro, ma in mezzo a questa indigestione armigera non sono riuscito a scorgerla.
Dopo questa scorpacciata di armi scendiamo finalmente a vedere l'oro degli Inca. Quando gli spagnoli arrivarono qui, rimasero talmente esterrefatti dalla quantità di oro che gli Inca possedevano che persero completamente la testa. Gli Inca lo utilizzavano per qualsiasi cosa: piatti, pentole, posate, vasi, nonché indumenti e ornamenti. Nel museo ne vediamo solo una piccolissima parte, ma non avevo mai visto tanto oro in vita mia, pezzi così grandi e lavorati, tutto in una volta. Dopo solo un ora e mezza di ubriacatura da metalli e oggetti preziosi, dobbiamo uscire per tornare sul bus, la strada e il traffico qui non perdonano i ritardatari.
Appena fuori Lima il panorama assume l'aspetto di un deserto grigio, collinoso e privato. Da ogni lato della strada ci sono chilometri e chilometri di distese sabbiose recintate con tanto di torrette di guardia. La stranezza è che all'interno di questi recinti, oltre alla sabbia non c'è nessuno. Le persone camminano e sostano tranquillamente sui bordi delle grandi e trafficate strade, incuranti della polvere che respirano.
Prendiamo l'autostrada e il panorama non cambia, come continuano ad esserci persone che passeggiano sui lati delle carreggiate, mentre di tanto in tanto spuntano chioschi in legno e case private. Proprio così, in autostrada ci sono i vialetti privati di molte abitazioni.
Alla fine della giornata ne conterò tantissime di queste case.
Mentre corriamo sulle strade trafficate in mezzo al deserto non è difficile notare che siamo in periodo elettorale. Fra pochi giorni in Perù ci sarà il ballottaggio decisivo per eleggere il nuovo presidente e i due candidati in lizza Pablo Kuczynski e la figlia dell'ex dittatore Fujimori, condannato per corruzione e violazione dei diritti umani.
Su quasi ogni muro sono dipinti slogan elettorali inneggianti quasi esclusivamente alla Fujimori. Chilometri di slogan che chissà per quanto tempo resteranno ad imbrattare i già poveri muri peruviani.
Io non conosco la storia politica di questo paese, ma oltre al traffico e alle buche sulle strade, ora ci surclassano anche sulla questione cartellopoli. Speriamo che la prossima giunta romana non venga mai qui, altrimenti penserebbe che nella nostra capitale si sta fin troppo bene.
Finalmente, verso sera arriviamo sul mare, nei pressi di Paracas. 

 
Forse a Lima non li avevo notati perché troppo piccoli, ma qui è tutto un proliferare di mini taxi che sfrecciano in ogni direzione. Sono tutti Apecar coloratissimi, pieni di adesivi di ogni tipo, carrozzatissimi con alettoni, luci e tettucci apribili. Sono così strani che tra i più bizzarri ci sono i taxi di Batman, di Naruto e di Dragon Ball.
Dopo aver preso possesso della camera, anche per questa sera decidiamo di ripiegare sulle nostre scorte di muscolo di grano. Essendo stati previdenti ci siamo portati così tanto cibo che difficilmente riusciremo a finirlo tutto prima di tornare a casa.

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