Ci
svegliamo riposati, anche se un po' intontiti. Il fatto di essere
rimasti svegli fino alla sera precedente ci ha messo al riparo dal
problema del fuso orario di sette ore posticipato rispetto a quello
di casa.
Avendo
la mattinata libera ci mettiamo d'accordo con alcuni del gruppo per
andare a vedere la vicina Plaza de Armas, il centro della città. In
Perù tutte le piazze principali cittadine si chiamano Plaza de
Armas, ma questa dovrebbe essere la più importante perché vi si
affaccia il palazzo del governo dove ogni giorno viene fatta la
cerimonia del cambio della guardia.
Oltre
al palazzo del governo, sulla piazza ci sono anche altri importanti
edifici storici, che però scopriamo essere stati ricostruiti più
volte anche di recente, a causa dei frequenti terremoti. Entriamo a
visitare la cattedrale e il Palazzo Arcivescovile. Dal
mio punto di vista sono un po' deludenti, per lo meno pensavo che nel
cuore della capitale ci fosse qualcosa di più interessante, ma forse
sono io che essendo all'inizio del viaggio sono troppo carico di
aspettative.
Quello
che invece non mi aspettavo di trovare, addirittura nella cattedrale, è la
sontuosa cappella di Francisco Pizarro. Nonostante tutto quello che
ha fatto, dettagliatamente riportato sulla tomba, per lo meno sotto ci potevano
scrivere “Mortacci tua!”.
Usciamo e percorriamo una via
pedonale di negozi che porta ad un'altra piazza, ma l'atmosfera non
cambia molto il nostro umore, cupo come il cielo. C'è chi ha
definito questa città come la più triste del mondo a causa del suo
eterno grigiore. Lima è perennemente ricoperta da una coltre di nubi
che filtra la luce del sole non lasciandola passare, togliendo così
colore a tutto. Aggiungiamo tutto quello smog che peggiora la
situazione, soprattutto perché qui non piove mai. Va detto però che
tra le grigie vie sono nascosti gioielli tutti da scoprire come certi
musei. Essendo noi di passaggio siamo riusciti appena a sollevare
questo velo di tristezza per vedere cosa c'è sotto.
Nel
quartiere di mira flores per esempio, più esclusivo e tranquillo,
nonché molto meno inquinato, sorge un mastodontico sito
archeologico. E' una montagna fatta di milioni di mattoni di fango
che resiste da quasi duemila anni.
In
questo luogo la civiltà Lima creò l'immenso santuario che ci
apprestiamo a visitare. In cima alla collinetta vi era un tempio e
tutto attorno le abitazioni di questo antico popolo.
Dopo
qualche secolo i Lima vennero sostituiti da un'altra civiltà, i
Wari, che a loro volta vennero poi assorbiti nell'impero Inca.
Il
sito in realtà era un complesso grandissimo, probabilmente tutto
colorato dal giallo ricavato da un minerale che si chiama limonite.
Ecco svelata l'origine del nome della città la cui radice parte
proprio da qui.
Seguendo
la guida in spagnolo, che per fortuna si capisce abbastanza bene e
quando non si capisce interviene il nostro amico Matteo,
attraversiamo la piazza grande dove si facevano anche sacrifici
umani.
Saliamo
sulla collina di mattoni, che in realtà scopriamo essere una
piramide senza punta. Tutto qui è costruito con i mattoni messi in
verticale come se fosse una libreria infinita. Sembra un idiozia ma è
antisismica: lasciando infatti lo spazio ai mattoni di muoversi
durante le scosse, questi al massimo ondeggiano, non si rompono e
quindi non crollano.
In
cima alla piramide incontriamo una tomba dei Wari, la civiltà che
soppiantò i Lima. Nella tomba ci sono le mummie di un uomo, una
donna e tre bambini. Furono sacrificati perché gli Wari pensavano
che esistesse una vita dopo la morte.
Scendiamo
dalla piramide e la guida ci parla di un'altra civiltà arrivati dopo
gli Wari che aveva il culto dei terremoti. Il Perù infatti è sulla
cintura di fuoco ed i terremoti sono molto frequenti.
Camminando
in mezzo a tutti questi mattoni di fango ci viene spontaneo chiederci
come abbiano potuto resistere per secoli fino ad oggi senza
sciogliersi sotto la pioggia, del resto sono sempre fatti di semplice
terra. La guida ci racconta che a Lima non piove mai. Lei è nata a
Lima e da bambina non ha mai lasciato la capitale. Quando a dodici
anni si è recata a Cuzco, per la prima volta ha visto la pioggia.
Il
tempo è tiranno e la strada da fare entro sera ancora lunga, per cui
siamo costretti a tagliare la visita per recarci al famoso museo
dell'oro.
Qualche
anno fa sono stato a Brescia a vedere un museo itinerante sugli Inca,
molto bello, ma non paragonabile a questo.
Il
museo è la collezione privata di un uomo che raccolse tutto e poi lo
donò per farne un museo pubblico.
È
impressionante, davvero ricco e vario, ma per il momento sto parlando
solo del primo piano che riguarda le armi. Ci sono armi di ogni epoca
e luogo del mondo. Una cosa mai vista: armi e armature spagnole,
spade, sciabole e poi le pistole di ogni epoca. Dal Far West alla
seconda guerra mondiale, passando per fucili, pistole spagnole a
polvere, archibugi, spingarde, mitra, spade e armature giapponesi,
completi arabi con lame ricurve e seghettate dalle forme più
spaventose. Tutto disposto in modo impeccabile, anche se con
pochissime, per non dire nulle, targhette esplicative. Pare ci sia
perfino una pistola appartenuta a Fidel Castro, ma in mezzo a questa
indigestione armigera non sono riuscito a scorgerla.
Dopo
questa scorpacciata di armi scendiamo finalmente a vedere l'oro degli
Inca. Quando gli spagnoli arrivarono qui, rimasero talmente
esterrefatti dalla quantità di oro che gli Inca possedevano che
persero completamente la testa. Gli Inca lo utilizzavano per
qualsiasi cosa: piatti, pentole, posate, vasi, nonché indumenti e
ornamenti. Nel museo ne vediamo solo una piccolissima parte, ma non
avevo mai visto tanto oro in vita mia, pezzi così grandi e lavorati,
tutto in una volta. Dopo solo un ora e mezza di ubriacatura da
metalli e oggetti preziosi, dobbiamo uscire per tornare sul bus, la
strada e il traffico qui non perdonano i ritardatari.
Appena
fuori Lima il panorama assume l'aspetto di un deserto grigio,
collinoso e privato. Da ogni lato della strada ci sono chilometri e
chilometri di distese sabbiose recintate con tanto di torrette di
guardia. La stranezza è che all'interno di questi recinti, oltre
alla sabbia non c'è nessuno. Le persone camminano e sostano
tranquillamente sui bordi delle grandi e trafficate strade, incuranti
della polvere che respirano.
Prendiamo
l'autostrada e il panorama non cambia, come continuano ad esserci
persone che passeggiano sui lati delle carreggiate, mentre di tanto
in tanto spuntano chioschi in legno e case private. Proprio così, in
autostrada ci sono i vialetti privati di molte abitazioni.
Alla
fine della giornata ne conterò tantissime di queste case.
Mentre
corriamo sulle strade trafficate in mezzo al deserto non è difficile
notare che siamo in periodo elettorale. Fra pochi giorni in Perù ci
sarà il ballottaggio decisivo per eleggere il nuovo presidente e i
due candidati in lizza Pablo Kuczynski
e la figlia dell'ex dittatore Fujimori, condannato per corruzione e
violazione dei diritti umani.
Su
quasi ogni muro sono dipinti slogan elettorali inneggianti quasi
esclusivamente alla Fujimori. Chilometri di slogan che chissà per
quanto tempo resteranno ad imbrattare i già poveri muri peruviani.
Io
non conosco la storia politica di questo paese, ma oltre al traffico
e alle buche sulle strade, ora ci surclassano anche sulla questione
cartellopoli. Speriamo che la prossima giunta romana non venga mai
qui, altrimenti penserebbe che nella nostra capitale si sta fin
troppo bene.
Finalmente,
verso sera arriviamo sul mare, nei pressi di Paracas.
Forse
a Lima non li avevo notati perché troppo piccoli, ma qui è tutto un
proliferare di mini taxi che sfrecciano in ogni direzione. Sono tutti
Apecar coloratissimi, pieni di adesivi di ogni tipo, carrozzatissimi
con alettoni, luci e tettucci apribili. Sono così strani che tra i
più bizzarri ci sono i taxi di Batman, di Naruto e di Dragon Ball.
Dopo
aver preso possesso della camera, anche per questa sera decidiamo di
ripiegare sulle nostre scorte di muscolo di grano. Essendo stati
previdenti ci siamo portati così tanto cibo che difficilmente
riusciremo a finirlo tutto prima di tornare a casa.
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