Oggi
lasciamo il lago Titikaka e finalmente ci muoviamo verso Cusco, la
capitale Inca. Partiamo presto perché, tanto per cambiare, il
viaggio è lungo ma stavolta usufruiamo di un bus turistico con una
guida a bordo. Confronto agli spostamenti che abbiamo fatto fin'ora,
con pulmini, furgoni sgangherati e fuoristrada, anche se siamo su un
pullman normalissimo questo ci appare di gran lusso, mi sembra quasi
di viaggiare sulle nuvole. Quasi non si sentono nemmeno i soliti
grandi dossi che spezzano il viaggio in modo irritante.
La
prima tappa è il paesino di Pukarà, dove un piccolo museo ci spiega
che Pukarà era una civiltà del 400 a. C. che, in seguito ad anni di
siccità, emigrò nell'altipiano boliviano dove creò la civiltà
Tiwanacu che abbiamo visto ieri. In paese oltre al museo ci sono
ancora le rovine di una grande piramide tronca a terrazze, simile
proprio a quella del sito di Tiwanacu.
La
seconda tappa è il passo La Ray, a 4500 metri. Siamo sulle Ande. la
più grande catena montuosa del mondo, circa 8500 chilometri e anche
se siamo già stati a queste altezze, anzi le abbiamo superate e
anche di molto, oggi sento ancora quella sensazione che mi fa sentire
la testa piena di elio. Per fortuna è giusto una pausa fotografica,
perché non avremmo il tempo necessario per riacclimatarci.
A
pranzo in un self service con una vetrata che dà sulle montagne
della valle di Cuzco, fantastico, soprattutto perché anche io e
Cassandra riusciamo a trovare di che mangiare in abbondanza. Tutto
innaffiato con molta muña e accompagnato dalla solita canzone Pacha
Mama cantata da due ragazzi del luogo.
Riprendiamo
il cammino, che ci porterà al primo piccolo sito Inca, la città di
Raqchi.
Siamo
ancora lontani di Cuzco ma ormai ne siamo entrati nel territorio e si
vede. Le vallate sono molto più verdi e quasi ovunque si vedono
crescere Eucalipti. Ovviamente non sono piante originarie di questa
terra, ma trovo che ci stiano bene. La guida ci fa notare che
purtroppo sono piante che necessitano di molta acqua e non lasciano
spazio alle altre specie, per cui in futuro potrebbero diventare un
problema molto serio per questa vallata.
La
città di Raqchi è il luogo dove ci sono i resti del maestoso tempio
di Viracocha, il Dio degli dei Inca. Qui c'era la sua statua che gli
spagnoli hanno distrutto e la cui testa è stata portata a Madrid.
Parte del corpo invece è a Cuzco, nel museo del Qorikancha.
Cassandra
ne approfitta per acquistare un piccola piramide energetica di
Serpentina, la tipica pietra di Machu Picchu e poi, a seguire il
corso dell'Urubamba, il fiume segreto di Cuzco, il più lungo del
mondo. La guida ci racconta che questo fiume nasce nell'Amazonia
meridionale e va ad aggiungersi al Rio delle amazzoni, superando così
di 45 chilometri il Nilo.
Mentre
ci muoviamo sulle strade è facile vedere molte case su cui è stato
adagiato il grande mais bianco, dal nome Paracay. Io l'ho assaggiato
bollito e devo dire che è ottimo, i suoi chicchi sono così grandi e
compatti che sembra di mangiare fagioli.
La
penultima tappa della giornata è la ricostruzione di un ponte di
corda Inca. Mentre lo si attraversa non è tanto l'altezza il
problema, quanto che il ponte si muove sotto i nostri passi ed
ondeggia, nulla di invalicabile eh, solo qualche emozione per
l'insolito passaggio rievocativo.
L'ultima
tappa invece è la cosiddetta cappella sistina del sud America. E'
una chiesa con la volta affrescata, ma da qui a paragonarla alla
cappella sistina, non me ne vogliano i peruviani eh.
Il
sole è calato e finalmente proseguiamo per Cuzco, dove veniamo
scaricati all'albergo.
Stavolta
commetto un errore imperdonabile che pagherò molto caro: decido
incautamente che Cuzco essendo una meta turistica è anche recettiva
alle esigenze dei vegetariani.
Usciamo
per la cena tutti assieme e non fatichiamo a trovare un locale con il
menù fisso, sia vegetariano che non. Sembra che vada bene a tutti
così ci sediamo.
La
proprietaria sembra che sia anche cameriera e madre di un bambino sui
cinque anni che gironzola per il piccolo locale in cerca di qualcosa
da fare. Mentre ordiniamo iniziamo a capire che qualcosa non va, la
signora sembra impacciata e impreparata a gestire un gruppo di
quattordici persone, evidentemente non vede molti clienti e già
poteva essere un campanello d'allarme. Di primo ordino la pannocchia
di Paracay e Cassandra avocado con verdure, di secondo Papas alla
Rellana, patata ripiena e Cassandra Taco vegetariano.
Le
ordinazioni iniziano ad arrivare ma solo un tavolo alla volta. Noi
siamo il quarto tavolo da servire per cui mangeremo tardi. Quando
finalmente tocca a noi iniziano i problemi:
Il
mio choclo, la pannocchia di paracay, viene affidato alle tremolanti
mani del bambino che su un piatto piano deve scendere una ripida
scala a chiocciola senza far rotolare la pannocchia per terra. Lo
spettacolo ricorda molto una puntata di giochi senza frontiere,
quando il Belgio, che era la squadra più debole, cercava di portare
a termine un gioco simile.
Incredibilmente
il bambino giunge a terra senza far cadere la pannocchia, ma poi
sbaglia e si dirige verso un altro tavolo. Il notaio lo vede, gli
fischia contro e lui si spaventa facendo cadere la pannocchia.
Prontamente il bambino raccoglie la pannocchia da terra e la rimette
nel piatto proclamando: ”Joco il Jolly!”
La
madre che fa anche da giudice squalifica lui e la pannocchia
riportando entrambi in cucina.
Qualche
minuto più tardi quella stessa pannocchia mi viene rimessa fumante
sul tavolo. Altro segnale che dovevo alzarmi a andare via. E' una
serata divertente dai, mangiamo sta pannocchia che tanto è stata
sterilizzata. Difatti era buona. Il bello però doveva ancora
arrivare.
Pochi
minuti dopo, mentre gli altri tavoli reclamavano perché non avevano
ancora ricevuto nulla da bere, a noi viene portato il secondo.
Cassandra
assaggia e il suo piatto pare buono, così mi lancio anche io,
affamato come un giaguaro.
Al
primo boccone sento già che c'è qualcosa di strano. Esaminando
meglio il ripieno scopro il fattaccio, ma prima chiedo conferma a
Vittorio che di professione era pasticcere. Non centra nulla, ma
almeno ha lavorato in cucina.
Vittorio
mi conferma il delitto: nella mia patata ci hanno messo della carne.
Chiamo
subito la cameriera chiedendole:
“Questa
è papas a la rellena?”
“Si,
si, papas buona”
“Ma
c'è carne nella papas?”
“Si,
si, carne buona”
Mi
sento un po' male. Senza aprire ulteriormente bocca prendo il menù e
le mostro che il piatto faceva parte del menù vegetariano.
La
cameriera non capisce e anche Cassandra, un po' adirata, un po'
nauseata, smette di mangiare.
Aspettiamo
che tutti abbiano finito e poi ce ne andiamo, ovviamente senza pagare
la mia parte, ma da qui alla fine della vacanza sarà difficile che
mi vedano in un ristorante che non sa la differenza tra menù
vegetariano e di carne.
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