giovedì 21 luglio 2016

Sedicesimo giorno - Puno - Pukara' - Passo la Raya - Raqchi - Checacupe - Andahuaylillas – Cusco


Oggi lasciamo il lago Titikaka e finalmente ci muoviamo verso Cusco, la capitale Inca. Partiamo presto perché, tanto per cambiare, il viaggio è lungo ma stavolta usufruiamo di un bus turistico con una guida a bordo. Confronto agli spostamenti che abbiamo fatto fin'ora, con pulmini, furgoni sgangherati e fuoristrada, anche se siamo su un pullman normalissimo questo ci appare di gran lusso, mi sembra quasi di viaggiare sulle nuvole. Quasi non si sentono nemmeno i soliti grandi dossi che spezzano il viaggio in modo irritante.
La prima tappa è il paesino di Pukarà, dove un piccolo museo ci spiega che Pukarà era una civiltà del 400 a. C. che, in seguito ad anni di siccità, emigrò nell'altipiano boliviano dove creò la civiltà Tiwanacu che abbiamo visto ieri. In paese oltre al museo ci sono ancora le rovine di una grande piramide tronca a terrazze, simile proprio a quella del sito di Tiwanacu.

La seconda tappa è il passo La Ray, a 4500 metri. Siamo sulle Ande. la più grande catena montuosa del mondo, circa 8500 chilometri e anche se siamo già stati a queste altezze, anzi le abbiamo superate e anche di molto, oggi sento ancora quella sensazione che mi fa sentire la testa piena di elio. Per fortuna è giusto una pausa fotografica, perché non avremmo il tempo necessario per riacclimatarci.

A pranzo in un self service con una vetrata che dà sulle montagne della valle di Cuzco, fantastico, soprattutto perché anche io e Cassandra riusciamo a trovare di che mangiare in abbondanza. Tutto innaffiato con molta muña e accompagnato dalla solita canzone Pacha Mama cantata da due ragazzi del luogo.

Riprendiamo il cammino, che ci porterà al primo piccolo sito Inca, la città di Raqchi.
Siamo ancora lontani di Cuzco ma ormai ne siamo entrati nel territorio e si vede. Le vallate sono molto più verdi e quasi ovunque si vedono crescere Eucalipti. Ovviamente non sono piante originarie di questa terra, ma trovo che ci stiano bene. La guida ci fa notare che purtroppo sono piante che necessitano di molta acqua e non lasciano spazio alle altre specie, per cui in futuro potrebbero diventare un problema molto serio per questa vallata.
La città di Raqchi è il luogo dove ci sono i resti del maestoso tempio di Viracocha, il Dio degli dei Inca. Qui c'era la sua statua che gli spagnoli hanno distrutto e la cui testa è stata portata a Madrid. Parte del corpo invece è a Cuzco, nel museo del Qorikancha.
Cassandra ne approfitta per acquistare un piccola piramide energetica di Serpentina, la tipica pietra di Machu Picchu e poi, a seguire il corso dell'Urubamba, il fiume segreto di Cuzco, il più lungo del mondo. La guida ci racconta che questo fiume nasce nell'Amazonia meridionale e va ad aggiungersi al Rio delle amazzoni, superando così di 45 chilometri il Nilo.
Mentre ci muoviamo sulle strade è facile vedere molte case su cui è stato adagiato il grande mais bianco, dal nome Paracay. Io l'ho assaggiato bollito e devo dire che è ottimo, i suoi chicchi sono così grandi e compatti che sembra di mangiare fagioli.

La penultima tappa della giornata è la ricostruzione di un ponte di corda Inca. Mentre lo si attraversa non è tanto l'altezza il problema, quanto che il ponte si muove sotto i nostri passi ed ondeggia, nulla di invalicabile eh, solo qualche emozione per l'insolito passaggio rievocativo.
L'ultima tappa invece è la cosiddetta cappella sistina del sud America. E' una chiesa con la volta affrescata, ma da qui a paragonarla alla cappella sistina, non me ne vogliano i peruviani eh.
Il sole è calato e finalmente proseguiamo per Cuzco, dove veniamo scaricati all'albergo.
Stavolta commetto un errore imperdonabile che pagherò molto caro: decido incautamente che Cuzco essendo una meta turistica è anche recettiva alle esigenze dei vegetariani.
Usciamo per la cena tutti assieme e non fatichiamo a trovare un locale con il menù fisso, sia vegetariano che non. Sembra che vada bene a tutti così ci sediamo.
La proprietaria sembra che sia anche cameriera e madre di un bambino sui cinque anni che gironzola per il piccolo locale in cerca di qualcosa da fare. Mentre ordiniamo iniziamo a capire che qualcosa non va, la signora sembra impacciata e impreparata a gestire un gruppo di quattordici persone, evidentemente non vede molti clienti e già poteva essere un campanello d'allarme. Di primo ordino la pannocchia di Paracay e Cassandra avocado con verdure, di secondo Papas alla Rellana, patata ripiena e Cassandra Taco vegetariano.
Le ordinazioni iniziano ad arrivare ma solo un tavolo alla volta. Noi siamo il quarto tavolo da servire per cui mangeremo tardi. Quando finalmente tocca a noi iniziano i problemi:
Il mio choclo, la pannocchia di paracay, viene affidato alle tremolanti mani del bambino che su un piatto piano deve scendere una ripida scala a chiocciola senza far rotolare la pannocchia per terra. Lo spettacolo ricorda molto una puntata di giochi senza frontiere, quando il Belgio, che era la squadra più debole, cercava di portare a termine un gioco simile.
Incredibilmente il bambino giunge a terra senza far cadere la pannocchia, ma poi sbaglia e si dirige verso un altro tavolo. Il notaio lo vede, gli fischia contro e lui si spaventa facendo cadere la pannocchia. Prontamente il bambino raccoglie la pannocchia da terra e la rimette nel piatto proclamando: ”Joco il Jolly!”
La madre che fa anche da giudice squalifica lui e la pannocchia riportando entrambi in cucina.
Qualche minuto più tardi quella stessa pannocchia mi viene rimessa fumante sul tavolo. Altro segnale che dovevo alzarmi a andare via. E' una serata divertente dai, mangiamo sta pannocchia che tanto è stata sterilizzata. Difatti era buona. Il bello però doveva ancora arrivare.
Pochi minuti dopo, mentre gli altri tavoli reclamavano perché non avevano ancora ricevuto nulla da bere, a noi viene portato il secondo.
Cassandra assaggia e il suo piatto pare buono, così mi lancio anche io, affamato come un giaguaro.
Al primo boccone sento già che c'è qualcosa di strano. Esaminando meglio il ripieno scopro il fattaccio, ma prima chiedo conferma a Vittorio che di professione era pasticcere. Non centra nulla, ma almeno ha lavorato in cucina.
Vittorio mi conferma il delitto: nella mia patata ci hanno messo della carne.
Chiamo subito la cameriera chiedendole:
Questa è papas a la rellena?”
Si, si, papas buona”
Ma c'è carne nella papas?”
Si, si, carne buona”
Mi sento un po' male. Senza aprire ulteriormente bocca prendo il menù e le mostro che il piatto faceva parte del menù vegetariano.
La cameriera non capisce e anche Cassandra, un po' adirata, un po' nauseata, smette di mangiare.
Aspettiamo che tutti abbiano finito e poi ce ne andiamo, ovviamente senza pagare la mia parte, ma da qui alla fine della vacanza sarà difficile che mi vedano in un ristorante che non sa la differenza tra menù vegetariano e di carne.

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