domenica 17 luglio 2016

Dodicesimo giorno - Uyuni - Cimitero dei treni - Conchany - Museo del sale in mezzo al Salar - isola Inchausy - Ostello di sale


La nottata è stata un po' movimentata. Anche se i sedili erano spaziosi e reclinabili, non sono riuscito quasi a dormire. Come se non bastasse l'autobus è arrivato con quasi un'ora di anticipo e ci ha scaricato sulle strade gelate di Uyuni, dove le guide con i loro fuoristrada avrebbero dovuto aspettarci. Ovviamente non c'era nessuno, così dopo circa venti minuti di attesa veniamo recuperati da uno dei tanti procacciatori di turisti ghiacciati e portati nella sua caffetteria per berci qualcosa di caldo. Quando finalmente arrivano le guide si uniscono a noi per fare colazione e trovo l'occasione di parlare con Cristina, la cuciniera che ci preparerà da mangiare per i prossimi tre giorni.

Quando le dico che io e Cassandra, ma anche Enza, siamo vegetariani, tutte le guide fanno una faccia strana e una chiede “mangiate pollo?”.

Cristina lo guarda male come se non si rendesse conto della castroneria che ha detto, quindi senza perdere tempo nel spiegargli che il pollo è carne, mi dice: “Va bene, se vuoi posso fare piatti con carne cruda!”

Ovviamente mi prendeva in giro, spero.



Dopo colazione ci muoviamo solo per pochissima strada, infatti il cimitero dei treni è proprio appena fuori Uyuni. E' un deserto di ferro e sabbia, in cui vecchi treni, anche dell'800 sono stati spogliati di tutto ciò che poteva essere utile e abbandonati ad affondare lentamente nella sabbia.



L'atmosfera dell'alba è quasi irreale, i vecchi locomotori, anche se ridotti a scheletri, sono blocchi di acciaio brunito ancora solidi in grado di affascinare, nonché di incutere un certo rispetto.

I binari che si perdono nel nulla del deserto arrivano fino alla costa, ma in questo paesaggio desolato è difficile credere che siano ancora usati un giorno alla settimana.

Mi perdo tra gli antichi locomotori, come se fossi in un negozio di modellismo, perso nell'irreale sogno di vederli ripartire e risorgere dalle sabbie.



Troppo presto vengo svegliato dal mio sogno ad occhi aperti, che come sempre accade, sembra sia durato un battito di ali.

Veniamo riportati ad Uyuni e lasciati a girovagare per le strade per almeno mezz'ora, scelta incomprensibile, assurda. Potevamo starcene tra i treni invece che vegetare sulle strade ancora assonnate di questa fredda città.



Quando risaliamo in auto, io, Cassandra, Roberto, Enza e Vittorio, sentiamo subito che il nostro autista, Fredi, ha qualcosa che non va. Tossisce in continuazione ed ha una voce bassissima. E' malato. Allora anche loro lo sentono il freddo!

In ogni caso è in grado di guidare e non vuole medicinali, al massimo qualche caramella per la gola.

Finiamo a Colchany, un deserto paesino con i soliti negozietti ed un piccolo museo di sculture fatte con i blocchi di sale del Salar. Dopo un'altra mezz'ora sprecata a scapito dei treni, riprendiamo posto per iniziare ad addentrarci nel Salar, questa immensa distesa di sale che in questo periodo è completamente asciutta. Durante la stagione delle piogge invece, da Dicembre a Marzo, nella parte più profonda c'è quasi un metro d'acqua.



Fredi ci racconta che dal Salar parte la nuova Dakar, solo che la prima volta che si è tenuta c'era ancora l'acqua sul lago e col calore delle auto e dei camion, il sale si scioglieva e andava infilarsi nei motori distruggendoli. Se non ho capito male ora la Dakar fa il giro tutto attorno al Salar.

Prima di entrare nella distesa vera e propria ci fermiamo a vedere alcune pozze colorate, dove l'acqua bolle fino in superficie. Qui il sale non è proprio bianco, ma striato di grigio e arancione, per cui ci muoviamo verso il centro del lago.



Più andiamo avanti e più il bianco aumenta, fino a diventare quasi accecante. Ero già stato su un lago salato, in Turchia, ma qui la separazione tra l'azzurro senza nuvole del cielo e il bianco del sale senza fine, dà l'impressione di essere in prossimità dei confini di due mondi che laggiù, dove la vista non può arrivare, vanno a fondersi in un unica cosa.


Dopo diversi minuti di marcia sul sale arriviamo a quello che un tempo era un hotel, fatto tutto con blocchi di sale. Ora è un museo e non ci si può più dormire, ma l'interno è rimasto ancora come quando era funzionante. Le sedie, i letti, i tavoli, tutto è fatto di inamovibili blocchi di sale. Chissà che freddo la notte.




Ci rimettiamo in marcia e arriviamo all'isola Inkausi, che significa casa dell'Inca. E' una piccola formazione rocciosa ricoperta da giganteschi e splendidi cactus che spunta in mezzo al mare di sale. Giusto il tempo di girarci attorno e il pranzo è pronto: oggi panini con verdure e palta, almeno per noi vegetariani, gli altri farciscono il loro anche con salumi e formaggio.

Dopo mangiato saliamo, lentamente a causa dell'altitudine, sulla cima dell'isola. Mentre passiamo attraverso i cactus e le rocce, noto che alcune rocce sembrano avere il guscio. Solo sulla cima mi rendo conto che ogni cosa qui è stata ricoperta dal corallo. L'isola è un enorme fossile di corallo, probabilmente risalente a quando qui c'era il mare che ricopriva tutto.

Dopo aver esplorato la cima e le grotte ripartiamo verso la destinazione finale per questa lunga giornata. In circa un ora siamo a destinazione, un altro hotel di sale, ma che poggia le fondamenta, e quindi le tubature inquinanti, sulla terra ferma.
A tutti sembra troppo presto per fermarci, ma siamo in inverno e la luce scompare in fretta, per cui abbiamo giusto il tempo di rilassarci con un po' di mate e biscotti, e chi vuole di fare perfino una doccia calda, a pagamento però.

Per cena, servita su tavoli e sedie di sale, oltre alla sopa di verdure che quella Trita di Cassandra rifiuterà come suo solito, la cuoca ci farà trovare la prima pasta quasi buona. Diciamo che dopo l'astinenza che stavamo sperimentando non è il caso di sottilizzare, e difatti non era male. Anche il sugo vegetariano era buono, leggermente pesante ma buono. 


Andiamo a letto abbastanza presto, ma considerando la scorsa nottata sul pullman non ci sono obiezioni in merito. Solo Enza e Andrea il gladiatore tentano una sortita sul salar in cerca di qualche segnale. Qualcosa vedono, perfino Andrea lo ammette, ma a causa di un gruppo di cani sono costretti a tornare dentro e così non si saprà mai cosa hanno visto veramente. 
Luci? Non so, io non c'ero.




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