giovedì 26 maggio 2016

CENTRALE MONTEMARTINI

Uno dei musei più originali e belli che abbia mai visto, non solo a Roma, davvero non credevo che una visita a questo museo potesse risultare così bella. Del resto è in linea con la mia strana teoria che se ci si imbarca in qualcosa, che già in partenza ha scarse prospettive di riuscita, il risultato è quasi sempre migliore delle aspettative.
La centrale Montemartini era la prima centrale elettrica pubblica di Roma, inaugurata nel 1912 e rimasta attiva fino al 1953. Il complesso si trova sulla via ostiense, ovvero l'arteria che collega la capitale con Ostia. Siamo alla Garbatella, quartiere popolare nato per ospitare la forza lavoro che avrebbe dovuto scavare un nuovo canale navigabile parallelo al Tevere, per collegare meglio Roma al mare. Il canale però non fu mai realizzato perché ritenuto superfluo, allo stesso tempo la zona è destinata a diventare il nuovo polo industriale della nuova Roma.
Già dal 1907 nascono i famosi Gazometri, i mercati generali e il mattatoio, nonché la centrale elettrica Montemartini.
Dopo la sua dismissione, questa enorme struttura viene lasciata morire in modo pietoso, diventando ricovero di sbandati e senza tetto. Solo negli anni '80 si inizia a riqualificare gli edifici che, da metà degli anni '90, diventeranno centri culturali per convegni e mostre temporanee.


Nel 1995, a seguito di un'infiltrazione d'acqua in alcune sale dei musei capitolini, si decide di trasportare le collezioni che vi erano contenute. Doveva essere una situazione temporanea, difatti nel 2005 i lavori di ristrutturazione finirono, ma l'allestimento era talmente bello, unico e azzeccato, che si decise di lasciarlo permanentemente. Ai musei capitolini invece sono stati esposti altri oggetti e reperti che altrimenti, essendo tenuti nei magazzini per mancanza di spazi, non avremmo mai potuto ammirare.
Subito all'interno, si inizia a notare il contrasto tra archeologia classica e industriale: davanti ad un macchinario della centrale è stata posta una statua acefala, che probabilmente era il modello della statua di venere utilizzata per il tempio che Cesare fece costruire nel suo Foro.
Camminando nei grandi spazi, oggi imbiancati e ristrutturati, rimangono comunque testimonianze della vecchia centrale, parti di macchinari e vetrinette con le originali e gigantesche chiavi inglesi usate dagli operai.
Volgendo lo sguardo verso l'alto, non si possono non notare delle tramogge: le bocche che restituivano le scorie di carbone residue dei forni accesi per produrre l'energia. Queste venivano caricate su dei carrelli per essere poi imbarcati su dei camion e distribuiti dal servizio giardini di Roma, che li usava come materiale drenante per le aiuole. Quando si dice che una volta non si buttava via nulla.
In queste prime sale sono stati raccolti i reperti ritrovati nella zona del quartiere Esquilino, uno dei sette colli di Roma. Ancora oggi, se si dovesse scavare sotto quel quartiere, si troverebbe un'immensa necropoli databile dall'800 a c fino alla tarda repubblica, quindi poco il 20 a c.
Dato che nella fase imperiale la Roma repubblicana è stata praticamente distrutta e rifatta, questa è una delle rarissime fonti di informazione che sono rimaste di quel periodo.
Da qui si inizia a capire la particolarità di questo museo, che ha organizzato le stanze per ambiente: ovvero tutto quello che è stato ritrovato in uno scavo è stato esposto in un unico ambiente, così da cercare di rendere l'idea di quello che era la città in quello specifico momento storico del passato.
L'archeologa ci mostra uno dei più antichi affreschi romani, datato attorno al terzo/quarto secolo a c. Staccato da una tomba a camera appartenente ad un'importante famiglia che ebbe a che fare con le guerre sannitiche. Probabilmente era una tomba dei Fabi. Il dipinto non è solo uno dei più antichi affreschi romani, ma è tra i primi che raffigurano il popolo romano vittorioso in battaglia, in questo caso con scene delle guerre sannitiche.
Spostandoci nella seconda stanza vediamo un urna che ha delle caratteristiche Greche, quindi più orientali rispetto ai romani. L’urna dovrebbe risalire tra il terzo e il quinto secolo a c, ma dato che la Grecia fu conquistata dai romani nel 146 a c, significa che per allora vi erano già state delle influenze greche sui romani, tanto che arrivarono fino ad erigere le proprie tombe in stile greco e con ricche decorazioni. Ciò fino a che non furono emanate leggi che vietarono il lusso nelle tombe, ma certe usanze però non si persero. Già da allora sembra che si dicesse “Fatta la legge, fatto l’inganno”. Così l’urna in marmo pregiato che vediamo qui esposta non sarebbe stata consentita, se non fosse stata inserita, e quindi nascosta, in un’altra urna in tufo peperino, molto più povero. Ne vediamo altre, alcune perfino in alabastro.
Passiamo in altre stanze dove ci sono ambienti dedicati non più alle tombe, ma all’interno delle domus. Qui ci sono dei mosaici di una domus ritrovata nei pressi della stazione Termini. Si tratta di mosaici policromi di una casa molto ricca in cui si vedono dei pesci rappresentati con una certa influenza ellenistica, con tessere grandi all’esterno che diventano sempre più piccole mano a mano ci si avvicina al centro del disegno. Per crearlo è stata usata una tecnica difficilissima e antichissima: viene realizzato prima un disegno con degli speciali attrezzi, quindi, su un manto di malta vengono messe le tessere ricavate da delle bacchette.
Lasciamo la sfera funebre e privata della tarda repubblica, per arrivare al passaggio tra la repubblica e l’impero con una serie di oggetti provenienti da sepolcri di quel periodo. I reperti provengono dalla zona di via Statilia e riguardano gruppi di liberti, ex schiavi che una volta liberati potevano anche fare carriera e diventare molto ricchi.

Ci sono delle statue rappresentate con una realisticità tipica romana: i volti delle statue avevano le rughe, a cui si attribuiva il significato di saggezza e virtù. Vediamo statue di uomini con la toga, mentre le donne invece indossano la tunica.
Altri tre personaggi sono scolpiti così bene, rughe comprese, che le loro espressioni li fanno sembrare vivi.
Uno dei pezzi più importanti di queste sale è il togato Barberini. Tra il '700 e l’800 era uso comune andare a cercare reperti antichi da poter aggiungere alla propria collezione e questo ha la particolarità di venir scoperto senza la testa. Oggi lo vediamo intero, ma solo perché gli venne aggiunta una testa non sua, cosa che si faceva pur di avere una statua completa, che pare risalga al primo secolo a c.

Nelle domus c’era di solito un atrio dal quale passavano tutti gli ospiti. In quest’atrio si teneva un armadio in cui venivano conservati i ritratti, in cera, bronzo o marmo dei propri antenati. Queste venivano utilizzate, facendole indossare ad altre persone, durante i funerali, per far si che i propri cari estinti potessero partecipare alla funzione funebre.
La toga era obbligatorio indossarla quando si usciva e si partecipava alla vita pubblica perché elemento che contraddistingueva i cittadini romani dagli stranieri.
Tra le statue presenti non poteva mancare quella di Ottaviano Augusto, il primo imperatore di Roma. Questi non era un bell’uomo, non era capace a livello militare, ma sapeva mettere la persona giusta al posto giusto, cosa che gli permise di diventare uno dei più grandi imperatori romani. Il suo modo di fare politica era attraverso la propaganda, ovvero attraverso le immagini. Ottaviano infatti si faceva rappresentare in tre quarti, come Alessandro Magno. Nei luoghi pubblici c’era sempre un’immagine di Ottaviano, che non era rappresentato ne troppo vecchio ne troppo giovane.
Vediamo anche una statua di Agrippa, il generale comandante dell’esercito che sposò la figlia di Ottaviano.
Dopo tutto questo ben di Dio ci rendiamo conto che siamo solo a metà del percorso, forse meno, manca infatti il secondo piano del museo.
Saliamo le scale che partono dalla base di due immense macchine, che una volta affacciati al piano superiore, scopriamo i motori diesel della ditta Franco Tosi di Legnano. Inaugurati nel 1933 alla presenza di Mussolini, furono dismessi nel 1963. I motori oggi sono stati restaurati e lasciati qui come cornice di questa spettacolare sala che arricchita dai reperti antichi, crea una effetto estremamente suggestivo.
Vediamo subito la statua della dea Atena, che mai i greci quando la scolpirono, avrebbero potuto immaginare dove sarebbe stata esposta circa duemila anni più tardi.
In questa stanza sono state inserite varie copie di statue originali greche del V secolo a c fatte dai romani qualche secolo dopo, quindi comunque molto antiche. Dopo la conquista della Grecia infatti, quasi tutti i romani volevano avere in casa almeno un pezzo di Grecia, solo che non c’erano abbastanza originali per tutti i romani e così venivano fatte delle copie. Un po’ come noi oggi che appendiamo in casa i poster dei nostri pittori preferiti.
Degli originali Greci sopravvissuti fino ad oggi, molti sono rimasti in patria e alcuni sono arrivati a Roma, mentre la stragrande maggioranza delle statue greche sparse per i vari musei del mondo, sono copie romane in marmo di statue greche in bronzo.
In questo primo ambiente del secondo piano, si è voluto rappresentare una disposizione di come poteva essere il cortile di una domus con le varie divinità del pantheon greco: Giove, Minerva, Eracle, Venere ecc...
Ci sono però anche Alessandro Magno e Cleopatra. Quest'ultima è particolarmente bella, anche se in realtà non si sa se sia proprio la regina egizia, ma dall’acconciatura tipica gli si è voluto questo nome.
Cleopatra ultima regina d'Egitto, fu odiata dai romani che la dipinsero nel modo peggiore possibile: meretrice senza scrupoli. In realtà pare fosse una donna di una cultura smisurata che parlava svariate lingue. Visse a Roma per due anni come compagna di Giulio Cesare, poi fu amante di Marcantonio e cercando infine di salvare la sua patria, tentò di avvicinare anche Ottaviano,. che però non ne volle sapere e le preferì la conquista dell'Egitto.
Fatto sta che in questo breve periodo tutte le donne romane cercavano di imitarne il trucco, l'acconciatura e tutto quello che era la moda egiziana.
Altro esempio che indica anche in questo caso, come in un certo senso sia stato l'Egitto a conquistare il cuore dei romani.
Pochi metri più avanti c'è una meravigliosa statua di Artemide, la dea della caccia. Sorella gemella di Apollo, era anche dea della verginità e del parto. Questo perché il mito racconta che nata subito prima del fratello gemello aiutò la madre a far nascere Apollo.
Essa è l'unica dea ad essere rappresentata con il corto chitone, il gonnellino che mostrava le gambe, ma solo perché doveva correre nei boschi quando cacciava. Altra statua importante è quella di Agrippina, la madre di Nerone, ritrovata sul Celio nei pressi del tempio di Claudio, suo marito, è in marmo nero e mostra quale fosse lo stile delle donne di quel tempo, con il capo velato.

Passiamo poi oltre dove ci sono una serie di teste ritrovate sul campidoglio, dove c'era il tempio di Giove e quello di Giunone moneta, ovvero che ammonisce. Sul colle, accanto a quest'ultimo tempio, c'era anche la zecca ed è proprio da qui che nasce il termine moneta.
In un'area un po' più riparata del museo troviamo diversi reperti provenienti dal tempio di Apollo sosiano. Ci sono delle colonne e una edicola. Poi, quasi messe in disparte, spuntano la testa, un piede ed un braccio di una colossale statua che doveva essere alta almeno otto metri. Databile al secondo secolo a c, fu rinvenuta all'inizio del 1900 durante gli scavi dell'area sacra di torre Argentina, dove sono presenti quattro templi circondati da un recinto. Questa statua arriva da uno di quei templi in cui però i romani non entravano mai. Solo i sacerdoti e le sacerdotesse potevano accedervi. Gli altri rimanevano fuori dove c'era un altare per le offerte. Dentro il tempio vi era la statua del dio al cospetto del quale solo i sacerdoti vi si potevano trovare.
Questa statua viene definita di tipo criselefantino: come quelle greche avevano le parti nude in marmo, mentre le parti vestite con altri materiali come il bronzo, l'oro, l'argento. Facile capire perché non si sono trovati altri resti. Questa statua rappresenta la fortuna del giorno presente.

Il cuore del museo però è un gruppo di statue originali greche risalenti a 2500 anni fa. Pare che siano perfino state realizzate dalla stessa bottega che fece il Partenone di Atene. Queste statue, prese in Grecia dai romani e messe sul frontone del tempio di Apollo sosiano, rappresentano l'amazzonimachia: una delle fatiche di Ercole, la nona, che era quella di rubare un preziosissima cintura indossata dalla regina Ippolita, capo delle amazzoni.
Per riuscire nell'impresa Ercole fa scoppiare una guerra.
Questo era uno dei miti greci in cui si voleva dimostrare la supremazia dell'uomo sulle donne.
Al centro c'è Atena, a fianco è accompagnata dalla dea della vittoria Nike con l'eroe Teseo che sta uccidendo ciò che potrebbe essere un'amazzone.
Dall'altro lato dovrebbe esserci il busto di Ercole, anche se ne rimane poco. Ercole che combatte contro la regina Ippolita.
Ci sono poi altre scene di combattimento, ma sempre più piccole, ciò perché era pensata come composizione che doveva avere al centro Atena in grande e poi le altre figure sempre più piccole.
Prima di passare all'ultima sala, ci imbattiamo in una statua in marmo nero, la Nike dei Simmaci risalente quarto secolo d c. I Simmaci erano una potente famiglia romana pagana che fece una lotta furibonda con sant'Ambrogio per mantenere questa statua all'interno della curia. In questo edificio infatti si riunivano i politici e all'inizio del loro mandato dovevano giurare fedeltà alla statua della dea della vittoria Nike.
La spuntò sant'Ambrogio.
Entriamo nella sala caldaie, il cuore della centrale dove veniva generata l'energia elettrica. Questi immensi macchinari sono stati smontati, ma ne rimane ancora una delle quattro che vennero utilizzate fino all'avvento del diesel. Dopo essere stata restaurata, la possiamo ammirare in fondo alla che occupa uno spazio grandissimo.

Al posto delle altre caldaie sono stati disposti i reperti ritrovati nelle zone degli horti, che non erano come oggi dei terreni utilizzati per coltivare insalate, zucchine e pomodori, bensì erano dei meravigliosi giardini che circondavano le ville dei grandi personaggi della storia romana. Pare che tutto intorno a Roma vi fossero una marea di horti curatissimi con piante provenienti da ogni parte dell'impero, con animali esotici, statue, fontane e giochi d'acqua. Negli horti i padroni amavano trascorrere il loro tempo libero, il famoso ozium romano, ovvero ci si dedicava al riposo ma soprattutto all'arte e allo studio.
C'erano diversi horti famosi: quelli di Vitullo sul Pincio, quelli di Cesare sul Gianicolo, quelli di Mecenate nella zona dell'Esquilino, di Licinio in zona Termini, di Sallustio nell'attuale quartiere Ludovisi.

Una delle nove ninfe del corteo di Apollo è forse una delle statue più belle ed originali che abbia mai visto. Non è la classica statua in posa plastica, pare quasi una scultura moderna talmente è fuori dalle classiche rappresentazioni, almeno per quella che è la mia scarsissima cultura.
Passeggiando ammiriamo i resti di un tempio di Apollo, alcuni reperti funebri della necropoli di San Paolo, oggetti di alcune Domus e due statue dei Simmaci, rappresentati nell'atto di dare l'avvio ai giochi nel circo massimo lasciando cadere uno straccetto.

L'ultimo tassello, è proprio il caso di dirlo, è un grandissimo mosaico proveniente dagli horti di Licinio e risalenti al terzo secolo d c. Rappresenta le venationes: i giochi che si facevano all'interno del Colosseo in cui si scontravano gladiatori con le bestie feroci. Prima di questo però vengono anche raffigurati i cacciatori che vanno a catturare le belve per portarle al Colosseo. Cinghiali, tigri, leoni, orsi, ogni sorta di fiera proveniente da tutte le province, venivano portati al Colosseo per essere semplicemente massacrati.
I romani non erano perfetti, per lo meno oggi non lo fanno più, dai.




Nessun commento:

Posta un commento