Uno
dei musei più originali e belli che abbia mai visto, non solo a
Roma, davvero non credevo che una visita a questo museo potesse
risultare così bella. Del resto è in linea con la mia strana teoria
che se ci si imbarca in qualcosa, che già in partenza ha scarse
prospettive di riuscita, il risultato è quasi sempre migliore delle
aspettative.
La
centrale Montemartini era la prima centrale elettrica pubblica di
Roma, inaugurata nel 1912 e rimasta attiva fino al 1953. Il complesso
si trova sulla via ostiense, ovvero l'arteria che collega la capitale
con Ostia. Siamo alla Garbatella, quartiere popolare nato per
ospitare la forza lavoro che avrebbe dovuto scavare un nuovo canale
navigabile parallelo al Tevere, per collegare meglio Roma al mare. Il
canale però non fu mai realizzato perché ritenuto superfluo, allo
stesso tempo la zona è destinata a diventare il nuovo polo
industriale della nuova Roma.
Già
dal 1907 nascono i famosi Gazometri, i mercati generali e il
mattatoio, nonché la centrale elettrica Montemartini.
Dopo
la sua dismissione, questa enorme struttura viene lasciata morire in
modo pietoso, diventando ricovero di sbandati e senza tetto. Solo
negli anni '80 si inizia a riqualificare gli edifici che, da metà
degli anni '90, diventeranno centri culturali per convegni e mostre
temporanee.
Nel
1995, a seguito di un'infiltrazione d'acqua in alcune sale dei musei
capitolini, si decide di trasportare le collezioni che vi erano
contenute. Doveva essere una situazione temporanea, difatti nel 2005
i lavori di ristrutturazione finirono, ma l'allestimento era talmente
bello, unico e azzeccato, che si decise di lasciarlo permanentemente.
Ai musei capitolini invece sono stati esposti altri oggetti e reperti
che altrimenti, essendo tenuti nei magazzini per mancanza di spazi,
non avremmo mai potuto ammirare.
Subito
all'interno, si inizia a notare il contrasto tra archeologia classica
e industriale: davanti ad un macchinario della centrale è stata
posta una statua acefala, che probabilmente era il modello della
statua di venere utilizzata per il tempio che Cesare fece costruire
nel suo Foro.
Camminando
nei grandi spazi, oggi imbiancati e ristrutturati, rimangono comunque
testimonianze della vecchia centrale, parti di macchinari e
vetrinette con le originali e gigantesche chiavi inglesi usate dagli
operai.
Volgendo
lo sguardo verso l'alto, non si possono non notare delle tramogge: le
bocche che restituivano le scorie di carbone residue dei forni accesi
per produrre l'energia. Queste venivano caricate su dei carrelli per
essere poi imbarcati su dei camion e distribuiti dal servizio
giardini di Roma, che li usava come materiale drenante per le aiuole.
Quando si dice che una volta non si buttava via nulla.
In
queste prime sale sono stati raccolti i reperti ritrovati nella zona
del quartiere Esquilino, uno dei sette colli di Roma. Ancora oggi, se
si dovesse scavare sotto quel quartiere, si troverebbe un'immensa
necropoli databile dall'800 a c fino alla tarda repubblica, quindi
poco il 20 a c.
Dato
che nella fase imperiale la Roma repubblicana è stata praticamente
distrutta e rifatta, questa è una delle rarissime fonti di
informazione che sono rimaste di quel periodo.
Da
qui si inizia a capire la particolarità di questo museo, che ha
organizzato le stanze per ambiente: ovvero tutto quello che è stato
ritrovato in uno scavo è stato esposto in un unico ambiente, così
da cercare di rendere l'idea di quello che era la città in quello
specifico momento storico del passato.
L'archeologa
ci mostra uno dei più antichi affreschi romani, datato attorno al
terzo/quarto secolo a c. Staccato da una tomba a camera appartenente
ad un'importante famiglia che ebbe a che fare con le guerre
sannitiche. Probabilmente era una tomba dei Fabi. Il dipinto non
è solo uno dei più antichi affreschi romani, ma è tra i primi che
raffigurano il popolo romano vittorioso in battaglia, in questo caso
con scene delle guerre sannitiche.
Spostandoci
nella seconda stanza vediamo un urna che ha delle caratteristiche
Greche, quindi più orientali rispetto ai romani. L’urna dovrebbe
risalire tra il terzo e il quinto secolo a c, ma dato che la Grecia
fu conquistata dai romani nel 146 a c, significa che per allora vi
erano già state delle influenze greche sui romani, tanto che
arrivarono fino ad erigere le proprie tombe in stile greco e con
ricche decorazioni. Ciò fino a che non furono emanate leggi che
vietarono il lusso nelle tombe, ma certe usanze però non si persero.
Già da allora sembra che si dicesse “Fatta la legge, fatto
l’inganno”. Così l’urna in marmo pregiato che vediamo qui
esposta non sarebbe stata consentita, se non fosse stata inserita, e
quindi nascosta, in un’altra urna in tufo peperino, molto più
povero. Ne vediamo altre, alcune perfino in alabastro.
Passiamo
in altre stanze dove ci sono ambienti dedicati non più alle tombe,
ma all’interno delle domus. Qui ci sono dei mosaici di una domus
ritrovata nei pressi della stazione Termini. Si tratta di mosaici
policromi di una casa molto ricca in cui si vedono dei pesci
rappresentati con una certa influenza ellenistica, con tessere grandi
all’esterno che diventano sempre più piccole mano a mano ci si
avvicina al centro del disegno. Per crearlo è stata usata una
tecnica difficilissima e antichissima: viene realizzato prima un
disegno con degli speciali attrezzi, quindi, su un manto di malta
vengono messe le tessere ricavate da delle bacchette.
Lasciamo
la sfera funebre e privata della tarda repubblica, per arrivare al
passaggio tra la repubblica e l’impero con una serie di oggetti
provenienti da sepolcri di quel periodo. I reperti provengono dalla
zona di via Statilia e riguardano gruppi di liberti, ex schiavi che
una volta liberati potevano anche fare carriera e diventare molto
ricchi.
Ci
sono delle statue rappresentate con una realisticità tipica romana:
i volti delle statue avevano le rughe, a cui si attribuiva il
significato di saggezza e virtù. Vediamo statue di uomini con la
toga, mentre le donne invece indossano la tunica.
Altri
tre personaggi sono scolpiti così bene, rughe comprese, che le loro
espressioni li fanno sembrare vivi.
Uno
dei pezzi più importanti di queste sale è il togato Barberini. Tra
il '700 e l’800 era uso comune andare a cercare reperti antichi da
poter aggiungere alla propria collezione e questo ha la particolarità
di venir scoperto senza la testa. Oggi lo vediamo intero, ma solo
perché gli venne aggiunta una testa non sua, cosa che si faceva pur
di avere una statua completa, che pare risalga al primo secolo a c.
Nelle
domus c’era di solito un atrio dal quale passavano tutti gli
ospiti. In quest’atrio si teneva un armadio in cui venivano
conservati i ritratti, in cera, bronzo o marmo dei propri antenati.
Queste venivano utilizzate, facendole indossare ad altre persone,
durante i funerali, per far si che i propri cari estinti potessero
partecipare alla funzione funebre.
La
toga era obbligatorio indossarla quando si usciva e si partecipava
alla vita pubblica perché elemento che contraddistingueva i
cittadini romani dagli stranieri.
Tra
le statue presenti non poteva mancare quella di Ottaviano Augusto, il
primo imperatore di Roma. Questi non era un bell’uomo, non era
capace a livello militare, ma sapeva mettere la persona giusta al
posto giusto, cosa che gli permise di diventare uno dei più grandi
imperatori romani. Il suo modo di fare politica era attraverso la
propaganda, ovvero attraverso le immagini. Ottaviano infatti si
faceva rappresentare in tre quarti, come Alessandro Magno. Nei luoghi
pubblici c’era sempre un’immagine di Ottaviano, che non era
rappresentato ne troppo vecchio ne troppo giovane.
Vediamo
anche una statua di Agrippa, il generale comandante dell’esercito
che sposò la figlia di Ottaviano.
Dopo
tutto questo ben di Dio ci rendiamo conto che siamo solo a metà del
percorso, forse meno, manca infatti il secondo piano del museo.
Saliamo
le scale che partono dalla base di due immense macchine, che una
volta affacciati al piano superiore, scopriamo i motori diesel della
ditta Franco Tosi di Legnano. Inaugurati nel 1933 alla presenza di
Mussolini, furono dismessi nel 1963. I motori oggi sono stati
restaurati e lasciati qui come cornice di questa spettacolare sala
che arricchita dai reperti antichi, crea una effetto estremamente
suggestivo.
Vediamo
subito la statua della dea Atena, che mai i greci quando la
scolpirono, avrebbero potuto immaginare dove sarebbe stata esposta
circa duemila anni più tardi.
In
questa stanza sono state inserite varie copie di statue originali
greche del V secolo a c fatte dai romani qualche secolo dopo, quindi
comunque molto antiche. Dopo la conquista della Grecia infatti, quasi
tutti i romani volevano avere in casa almeno un pezzo di Grecia, solo
che non c’erano abbastanza originali per tutti i romani e così
venivano fatte delle copie. Un po’ come noi oggi che appendiamo in
casa i poster dei nostri pittori preferiti.
Degli
originali Greci sopravvissuti fino ad oggi, molti sono rimasti in
patria e alcuni sono arrivati a Roma, mentre la stragrande
maggioranza delle statue greche sparse per i vari musei del mondo,
sono copie romane in marmo di statue greche in bronzo.
In
questo primo ambiente del secondo piano, si è voluto rappresentare
una disposizione di come poteva essere il cortile di una domus con le
varie divinità del pantheon greco: Giove, Minerva, Eracle, Venere
ecc...
Ci
sono però anche Alessandro Magno e Cleopatra. Quest'ultima è
particolarmente bella, anche se in realtà non si sa se sia proprio
la regina egizia, ma dall’acconciatura tipica gli si è voluto
questo nome.
Cleopatra
ultima regina d'Egitto, fu odiata dai romani che la dipinsero nel
modo peggiore possibile: meretrice senza scrupoli. In realtà pare
fosse una donna di una cultura smisurata che parlava svariate lingue.
Visse a Roma per due anni come compagna di Giulio Cesare, poi fu
amante di Marcantonio e cercando infine di salvare la sua patria,
tentò di avvicinare anche Ottaviano,. che però non ne volle sapere
e le preferì la conquista dell'Egitto.
Fatto
sta che in questo breve periodo tutte le donne romane cercavano di
imitarne il trucco, l'acconciatura e tutto quello che era la moda
egiziana.
Altro
esempio che indica anche in questo caso, come in un certo senso sia
stato l'Egitto a conquistare il cuore dei romani.
Pochi
metri più avanti c'è una meravigliosa statua di Artemide, la dea
della caccia. Sorella gemella di Apollo, era anche dea della
verginità e del parto. Questo perché il mito racconta che nata
subito prima del fratello gemello aiutò la madre a far nascere
Apollo.
Essa
è l'unica dea ad essere rappresentata con il corto chitone, il
gonnellino che mostrava le gambe, ma solo perché doveva correre nei
boschi quando cacciava. Altra statua importante è quella di
Agrippina, la madre di Nerone, ritrovata sul Celio nei pressi del
tempio di Claudio, suo marito, è in marmo nero e mostra quale fosse
lo stile delle donne di quel tempo, con il capo velato.
Passiamo
poi oltre dove ci sono una serie di teste ritrovate sul campidoglio,
dove c'era il tempio di Giove e quello di Giunone moneta, ovvero che
ammonisce. Sul colle, accanto a quest'ultimo tempio, c'era anche la
zecca ed è proprio da qui che nasce il termine moneta.
In
un'area un po' più riparata del museo troviamo diversi reperti
provenienti dal tempio di Apollo sosiano. Ci sono delle colonne e una
edicola. Poi, quasi messe in disparte, spuntano la testa, un piede ed
un braccio di una colossale statua che doveva essere alta almeno otto
metri. Databile al secondo secolo a c, fu rinvenuta all'inizio del
1900 durante gli scavi dell'area sacra di torre Argentina, dove sono
presenti quattro templi circondati da un recinto. Questa statua
arriva da uno di quei templi in cui però i romani non entravano mai.
Solo i sacerdoti e le sacerdotesse potevano accedervi. Gli altri
rimanevano fuori dove c'era un altare per le offerte. Dentro il
tempio vi era la statua del dio al cospetto del quale solo i
sacerdoti vi si potevano trovare.
Questa
statua viene definita di tipo criselefantino: come quelle greche
avevano le parti nude in marmo, mentre le parti vestite con altri
materiali come il bronzo, l'oro, l'argento. Facile capire perché non
si sono trovati altri resti. Questa statua rappresenta la fortuna del
giorno presente.
Il
cuore del museo però è un gruppo di statue originali greche
risalenti a 2500 anni fa. Pare che siano perfino state realizzate
dalla stessa bottega che fece il Partenone di Atene. Queste statue,
prese in Grecia dai romani e messe sul frontone del tempio di Apollo
sosiano, rappresentano l'amazzonimachia: una delle fatiche di Ercole,
la nona, che era quella di rubare un preziosissima cintura indossata
dalla regina Ippolita, capo delle amazzoni.
Per
riuscire nell'impresa Ercole fa scoppiare una guerra.
Questo
era uno dei miti greci in cui si voleva dimostrare la supremazia
dell'uomo sulle donne.
Al
centro c'è Atena, a fianco è accompagnata dalla dea della vittoria
Nike con l'eroe Teseo che sta uccidendo ciò che potrebbe essere
un'amazzone.
Dall'altro
lato dovrebbe esserci il busto di Ercole, anche se ne rimane poco.
Ercole che combatte contro la regina Ippolita.
Ci
sono poi altre scene di combattimento, ma sempre più piccole, ciò
perché era pensata come composizione che doveva avere al centro
Atena in grande e poi le altre figure sempre più piccole.
Prima
di passare all'ultima sala, ci imbattiamo in una statua in marmo
nero, la Nike dei Simmaci risalente quarto secolo d c. I Simmaci
erano una potente famiglia romana pagana che fece una lotta furibonda
con sant'Ambrogio per mantenere questa statua all'interno della
curia. In questo edificio infatti si riunivano i politici e
all'inizio del loro mandato dovevano giurare fedeltà alla statua
della dea della vittoria Nike.
La
spuntò sant'Ambrogio.
Entriamo
nella sala caldaie, il cuore della centrale dove veniva generata
l'energia elettrica. Questi immensi macchinari sono stati smontati,
ma ne rimane ancora una delle quattro che vennero utilizzate fino
all'avvento del diesel. Dopo essere stata restaurata, la possiamo
ammirare in fondo alla che occupa uno spazio grandissimo.
Al
posto delle altre caldaie sono stati disposti i reperti ritrovati
nelle zone degli horti, che non erano come oggi dei terreni
utilizzati per coltivare insalate, zucchine e pomodori, bensì erano
dei meravigliosi giardini che circondavano le ville dei grandi
personaggi della storia romana. Pare che tutto intorno a Roma vi
fossero una marea di horti curatissimi con piante provenienti da ogni
parte dell'impero, con animali esotici, statue, fontane e giochi
d'acqua. Negli horti i padroni amavano trascorrere il loro tempo
libero, il famoso ozium romano, ovvero ci si dedicava al riposo ma
soprattutto all'arte e allo studio.
C'erano
diversi horti famosi: quelli di Vitullo sul Pincio, quelli di Cesare
sul Gianicolo, quelli di Mecenate nella zona dell'Esquilino, di
Licinio in zona Termini, di Sallustio nell'attuale quartiere
Ludovisi.
Una
delle nove ninfe del corteo di Apollo è forse una delle statue più
belle ed originali che abbia mai visto. Non è la classica statua in
posa plastica, pare quasi una scultura moderna talmente è fuori
dalle classiche rappresentazioni, almeno per quella che è la mia
scarsissima cultura.
Passeggiando
ammiriamo i resti di un tempio di Apollo, alcuni reperti funebri
della necropoli di San Paolo, oggetti di alcune Domus e due statue
dei Simmaci, rappresentati nell'atto di dare l'avvio ai giochi nel
circo massimo lasciando cadere uno straccetto.
L'ultimo
tassello, è proprio il caso di dirlo, è un grandissimo mosaico
proveniente dagli horti di Licinio e risalenti al terzo secolo d c.
Rappresenta le venationes: i giochi che si facevano all'interno del
Colosseo in cui si scontravano gladiatori con le bestie feroci. Prima
di questo però vengono anche raffigurati i cacciatori che vanno a
catturare le belve per portarle al Colosseo. Cinghiali, tigri, leoni,
orsi, ogni sorta di fiera proveniente da tutte le province, venivano
portati al Colosseo per essere semplicemente massacrati.
I
romani non erano perfetti, per lo meno oggi non lo fanno più, dai.
Nessun commento:
Posta un commento