domenica 24 luglio 2016

Diciannovesimo giorno – Machu Pichu – Ollantay Tambo


La sveglia è fissata per le 3:50, dobbiamo fare colazione e prepararci per le 4:30, quando Uriel ci accompagnerà alla coda per il pullman che porta sul sito.
Alle 4:30 siamo tutti pronti nella hall dell'albergo, ma della guida non c'è traccia. Passano i minuti e passano anche le persone davanti all'hotel che vanno a mettersi in coda. Anche se il sito apre solo alle 6 di mattina nessuno vuole perdere un solo minuto di Machu Picchu, soprattutto perché oltre alla città c'è una montagna da scalare e altri sentieri da percorrere.
Proviamo a sollecitare la receptionist per dare la sveglia alla guida, ma questa ci dice che lo ha già avvertito. 
Alle 4:50 richiediamo una seconda sveglia e stavolta la receptionist va a sbattere fuori dal letto la guida. 
Alle 5, il Tony Poncharello delle Ande si presenta un po' scarmigliato e immerso in abbondante fragranza di eau de borrachò, praticamente in piena sbornia.
C'è solo un accenno di protesta, dopodiché tutti si precipitano dietro Tony che è uscito quasi di corsa.
Arriviamo alla coda e sono le 5 passate. Davanti a noi ci sono molte persone, la maggior parte delle quali ci è passata davanti mentre ammuffivamo in hotel.
La protesta inizia a serpeggiare tra le nostre fila, soprattutto dopo che Tony meravigliato ci chiede "ma perché che ore sono?"
Per non sentire troppe parolacce Tony si eclissa tornando in hotel a prendere il suo zaino che aveva dimenticato.

Con questo scherzo che Tony ci ha tirato, riusciremo ad entrare a Machu Picchu solo alle 6:40. Come se non bastasse la città è immersa tra le nuvole, non che mi dispiaccia, vedere apparire e scomparire tra le nuvole mura, scale, case e a volte tutta la città, ha un che di magico e mistico, un indefinito viaggio nel tempo, post Inca, ma pre turistico. Nelle case e nelle vie della città non c'è ancora nessuno. Dall'alto osserviamo la scena in attesa che il sipario delle nuvole si alzi ed inizi lo spettacolo. 
 
La guida Uriel, soprannominato Tony fino a stamane, ribattezzato oggi Diego Armadio per l'evidente somiglianza col Pibe de oro nel momento più critico della sua vita, ci porta alla casa del guardiano, una piccola costruzione che sembra faccia davvero la guardia. Purtroppo Diego Armadio attenua la magia rivelandoci che non è originale ma completamente ricostruita.
Lì accanto c'è anche la roccia cerimoniale che era per le offerte rituali alle divinità della natura, del resto questa era una zona agricola, dal cui raccolto dipendeva la sopravvivenza della città. 
 
Anche se le nuvole tardano a sollevarsi, Diego Armadio inizia a parlarci di Machu Picchu, ma capiamo subito che qualche cosa non va, sembra che ripeta sempre le stesse cose. Cercherò di far capire il dramma che abbiamo vissuto riportando nel modo più fedele possibile questa prima parte di visita.
"Nel 1911, questo americano di nome Hiram Bingham, ha scoperto Machu Picchu, o meglio ha riscoperto Machu Picchu.
Nel 1911, questo americano Hiram Bingham, lui non era un archeologo, era un professore americano di storia con molti soldi, ha conosciuto questa famiglia che viveva a vicino Machu Picchu e coltivava foglie di coca.
Questo americano Hiram Bingham aveva sentito il nome Machu Picchu dopo che un italiano, Raimondi, era stato qui anni prima.
Questo americano Hiram Bingham si è fatto portare qui a Machu Picchu passando dal ponte inca, che si trova a destra.
Questo americano Hiram Bingham, anche se non era un archeologo, questo americano Hiram Bingham si è fatto dare permesso speciale da presidente del Perù, pagando tanti soldi eh.
Allora Hiram Bingham ha venuto e ha tagliato l'erba, ha cercato e ha scoperto la città, ha scoperto il cammino Inca, alla vostra sinistra e sale fino alla porta del sole, mentre dall'altra parte a destra va al ponte Inca.
Cosa ha scoperto Hiram Bingham?
Machu Picchu. La porta del sol. Il ponte Inca, da quella parte.
Ma dov'è l'oro?
Machu Picchu è stata abbandonata, prima che fosse terminata. Durante la guerra con gli spagnoli, Manco Inca fuggendo da Ollantay Tambo passò da qui, arrivando dal ponte Inca, che si trova là.
Poi Manco Inca ordinò di abbandonare la città e andò a Vilcabamba, dove arrivarono gli spagnoli che distrussero tutto.
Grazie all'abbandono della città gli spagnoli non arrivarono mai qui, non passarono mai dal ponte Inca, che si trova a destra. Probabilmente l'oro e altre cose preziose vennero portate via, oppure sotterrate da qualche parte, ma non si trovarono.
Allora questo americano Hiram Bingham trovò qualcosa che portò via in America, lui non era archeologo ma pagando il presidente del Peru' poté farlo.
Questo americano Hiram Bingham disse che erano reperti trovati da altre parti, non a Machu Picchu, ma io credo che questo americano Hiram Bingham era un ladron.
Ora America e Perù stanno litigando per far tornare questi reperti, ma intanto sappiate che di là c'è il ponte Inca."
Questo è stato il primo impatto con un luogo così incredibile e bello.

Nel frattempo le nuvole hanno preso a sollevarsi e poco a poco anche la lucidità di Diego Armadio è tornata, anche se ha sempre continuato per le due ore successive a indicarci dove era il ponte Inca.
Tra le altre cose ci viene raccontato che Machu Picchu era una specie di università teologica, dove i giovani uomini di importanti famiglie venivano a studiare per diventare importanti personaggi della società e, in qualche caso diventavano anche il capo, l'Inca stesso.

Scendiamo e visitiamo la città, passando da un arco e poi giù per i vicoli. Tutta la città è tenuta benissimo, pulitissima e ordinatissima. Sembra che gli Inca se ne siano andati da poco e possano tornare da un momento all'altro.
Perfino i corsi d'acqua sono ancora in funzione, così come dovevano essercene in ogni città Inca.
Non era una grande metropoli, era molto piccola, in parte a causa della punto in cui si trovava, in cima ad una montagna, ma forse anche perché quando arrivarono gli spagnoli in Perù e Manco Inca ordinò che venisse abbandonata, era ancora in costruzione.
Camminando tra queste mura, a volte integre, a volte meno, non si ha quasi la sensazione di essere in un posto così impervio, ma basta sollevare lo sguardo e vedere attraverso le finestre, oppure tra una parete e l'altra, per notare il panorama della incredibile montagna di fronte, che sorge dall'altra del fiume Urabamba.
Probabilmente la fortuna di queste rovine, che secondo me chiamare in questo modo non rende giustizia, è proprio il luogo dove è stata costruita che la rende un meraviglia unica al mondo.

La cava da cui venivano prese le pietre per costruire le case e le terrazze, era proprio in città, vicino a dove si trova la pietra astronomica, nel cuore della città. Scendendo un poco si incontra la piazza verde e un'altra collinetta su cui stanno delle abitazioni.
Nella visita incontriamo i templi del sole e dell'acqua, ma anche la casa di una principessa, contraddistinta dalla qualità dell'incastro dei muri. Poi entriamo anche nella casa dell'Inca.
L'imperatore infatti possedeva molte case, probabilmente almeno una in ogni città, questo perché lui non viveva in una sola città, ma girava in continuazione per tutto l'impero, percorrendo la strade che si diramavano da Cuzco. Un po' come Roma a cui tutte le strade portavano.


Pensando a Roma mi viene da fare una semplice riflessione, anche se forse è un po' forzata. Gli Inca erano all'inizio del loro impero, in un momento di grande espansione e arricchimento culturale. È un paragone troppo forzato ma forse sarebbe successa la stessa cosa se un esercito avanzato al livello dei conquistadores fosse sbarcato a Roma ai tempi dell'imperatore Augusto?
Sono tentato di pensare che i romani non si sarebbero lasciati sconfiggere, anzi, probabilmente li avrebbero ricacciati dall'altra parte del mare. Questa idea però potrebbe nascere dal fatto che oggi sappiamo molto della storia romana. Degli Inca invece è stato quasi tutto cancellato e distrutto dagli spagnoli, che grazie alle loro armi e all'insolito aspetto che agli Inca li fece sembrare degli dei, poterono fare quello che volevano. 
 
Ovviamente tra romani e spagnoli non sapremo mai chi avrebbe vinto, ma mi sarebbe piaciuto che un popolo come loro, o gli Inca stessi, fosse riuscito a rispedire a casa i conquistadores. Del resto una delle fobie delle civiltà moderne di oggi è quella di essere invasi dagli alieni e fare la fine di tutti i conquistati.

Quando salutiamo Diego Armadio, assicurandogli che stiamo andando al ponte Inca, ci dirigiamo invece verso il cancello che porta al Serro Machu Picchu, l'altra cima che domina la città.
Dato che per la più vicina e bassa cima, lo Huayna Pichu, i duecento posti erano esauriti, abbiamo ripiegato su questa montagna un po' più impegnativa.
Il limite di tempo per passare dai cancelli sono le dieci del mattino, noi ci mettiamo in coda alle 9:45. La fila però scorre ad una velocità lombricale, sembra infatti che per ogni persona venga richiesta la registrazione e il controllo, un'altra volta, del passaporto.
Passiamo il cancello alle 10:15 e così inizia la salita che si rivela subito al quanto calorosa. Tolto tutto l'equipaggiamento tipo pile e maglie tecniche, sistemo lo zaino e inizio la salita, con calma, ma in modo costante. Poco alla volta recupero quasi tutti, Cassandra compresa, che però come ben so tiene molto bene il passo.
Dobbiamo passare dai 2200 metri di Machu Picchu ai 3000 e rotti della vetta, avanzando su un selciato fatto di pietroni e gradini per la maggior parte dei casi troppo piccoli perfino per i piedi di un bimbo.
Quando sono oltre la metà del percorso emergiamo dalla foresta e si può vedere che il panorama è spettacolare: le montagne che circondano Machu Picchu e la città stessa che risalta come un gioiello grigio e verde.
Ci metterò un ora per raggiungere la vetta, ma poco prima, nell'ultimo tratto di foresta, attraversiamo un punto che sembra uscito da una favola: il sentiero si riempie di una moltitudine di farfalle dalle dimensione e colori strabilianti. E' solo un battito di ciglia, come un sogno, uscendo nuovamente al sole ci si risveglia scoprendo di essere arrivati alla cima, dove assieme ad Andrea trovo ad aspettarci Massimo e Matteo.

Passano pochi minuti ed eccola, Cassandra spunta come se niente fosse da dietro l'angolo mentre impreca a Pacha Rat e si domanda chi Pacha glielo abbia fatto fare.
Giusto il tempo di mangiare un paio di panini, qualche foto e si torna a scendere sulle ripide scale.

Ci metteremo un po', almeno quarantacinque minuti, poi siamo di nuovo al cancello. A quel punto io devo andare in bagno, così mi tocca uscire da Machu Picchu perché nel sito non esiste il bagno. Ci diamo appuntamento con i due Andrea dopo mezz'ora, giusto il tempo di scendere la montagna e risalirla fino a lì, quindi si va a vedere 'sto cavolo di ponte Inca.
Al mio ritorno tentiamo di raggiungere il fantomatico ponte, ma incontriamo Massimo che ci avvisa, citando Fatozzi:
il ponte Inca è una cagata pazzesca!
Ritorniamo indietro e stavolta andiamo alla Porta del Sole, quindi in un quaranta minuti siamo al passo utilizzato da chi fa a piedi il vero camino real e che arriva dall'altra valle.
Ci riposiamo un pochino ed iniziamo la lunga discesa fino a casa, inframezzata da un'altra breve sosta per immagazzinare l'energia di Machu Picchu in vista del ritorno.

Torneremo ad Aguas Caliente in un ora e mezza di lunga discesa e rientreremo in hotel proprio dodici ore dopo l'inizio della visita a Machu Picchu. In tutto questo tempo ci siamo fermati per brevissime pause e la stanchezza si fa sentire. Perfino Cassandra ha dolori alle gambe. Ma la giornata non è finita: recuperato lo zaino si torna in stazione per riprendere il treno che ci riporterà ad Ollantay Tambo. In treno cerco di dormire ma il viaggio sembra durare troppo poco per riuscirci. Stremati e doloranti ci trasciniamo verso l'alberghetto, lasciamo i bagagli e usciamo in cerca di un ristorante. Cassandra inizia subito a tirarmi la giacchetta, sente strane vibrazioni emanare da questo luogo e quando entriamo nel locale scelto dal gruppo anche io sento le stesse cose. Onde evitare un'altra serata da giochi senza frontiere salutiamo tutti e ce ne torniamo verso la stanza, recuperando lungo la strada pane, palta e acqua, che arricchiranno le nostre scorte ormai agli sgoccioli.
Sarà la giornata vissuta in un luogo così particolare, ricco di energia spirituale, ma la serata in hotel è stata un po' movimentata.
Io non sono solito a credere a certe cose, ma in quella stanza sono successe diverse cose strane: oggetti che cadevano, venivano rimessi a posto e poi ricadevano. La doccia che una volta chiusa, si riaccendeva da sola, più volte.
Forse siamo rimasti così tanto a Machu Pichu che abbiamo assorbito un pizzico di energia spirituale di troppo? Non lo so, però è strano quando appoggi le auricolari sul comodino, in modo che non si possano muovere, poi spegni le luci per dormire e dopo cinque minuti senti le auricolari cadere.
Per lo meno sono riuscito a dormire. Cassandra invece, essendo profetessa e sensibile a certe cose, un po' meno.

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