Dopo
la sbornia di Machu Picchu, oggi ci aspetta l'ultimo giorno in
compagnia di Tony Uriel Diego Armadio. Ieri sera pare ci sia stata
una discussione se lasciargli la consueta mancia, oppure no. Io e
Cassandra non c'eravamo e dopo il trattamento pre Machu Picchu
avremmo voluto farla saltare. Alla fine si è deciso per dargliene
una più contenuta.
La
prima tappa di oggi è la salina di Marsal, dove in fondo ad una
piccola valle già gli Inca raccoglievano il sale che grazie alle sue
proprietà conservative veniva considerato preziosissimo. Guarda caso
questa è un'altra similitudine con l'impero romano che iniziò a
pagare i suoi soldati con sacchetti di sale, da qui il termine
salario.
Queste
saline risalgono a 250 milioni di anni fa, in concomitanza con la
formazione della cordigliera. In queste vasche calde per
l'evaporazione, che gli Inca fecero con una profondità di circa
trenta, quaranta centimetri, si possono vedere tre diversi colori: il
bianco classico, poi c'è quello un po' più scuro e rosato che è
quella da cucina e quello ancora più scuro utilizzato medicalmente.
Ogni vasca produce tra i 15 ai 20 sacchi da cinquanta chili l'uno.
Abbagliati
dal sole riflesso da questo splendore, ci perdiamo lungo i canali di
acqua che scorrono in mezzo a tutto questo caleidoscopio di vasche.
Ci
muoviamo prima che il sole ci renda ciechi e andiamo a Moray, dove
gli Inca fecero sperimentazione ed ibridazione agricola di tutte le
specie di alimenti vegetali che si potevano trovare in questa zona.
Su
queste grandi terrazze concentriche vennero creati 385 tipi di mais,
4 tipi di quinoa e ben 850 qualità di patate. Praticamente erano
degli ingegneri agrari.
La
guida ci spiega che nella valle sacra si riuscirono a coltivare tutte
queste varietà perché vi sono ventuno micro climi differenti,
generati dal fatto che ogni cento metri di altezza c'è una
differenza di sette gradi di temperatura.
E'
facile intuire che la base fondamentale dell'economia Inca fosse
l'agricoltura, attorno alla quale girava tutto l'impero.
L'ultima
tappa prima di salutare Diego Armadio, che sembra essersi ripreso
dopo la defiance di ieri, è Chinchero. Qui veniamo portati in una
bottega dove una simpatica signora ci mostra come si pulisce la lana
grezza, quindi come la colorano utilizzando prodotti naturali, in
particolare il rosso che è ricavato da una parassita, la
cocciniglia.
Dopo
la dimostrazione si esce per andare a pranzo. Io e Cassandra
adocchiamo una sciura con pentolone fumante e andiamo a prendere il
choclo, gli altri si buttano dentro un bar.
Dopo
pranzo visitiamo ciò che resta dell'antica città Inca di Chinchero,
i grandi terrazzamenti su cui si affacciavano nella parte più alta i
templi del sole e dell'acqua, La parte intermedia era invece
utilizzata per la lavorazione industriale, mentre la parte bassa
della città era dedicata all'agricoltura.
Nella
città fondata da Pachakutec, prima di rifugiarsi ad Ollantay Tambo,
passò anche Manco Inca durante la guerra agli spagnoli.
Oggi
nel grande spiazzo ci sono alcune donne che hanno steso una miriade
di patate ad asciugare al sole, mentre in un angolo degli archeologi
stanno scavando e sembra che abbiano trovato qualcosa.
Dopo
la vittoria spagnola tutta la città venne distrutta e ciò che
rimase in piedi fu seppellito per cancellare le tracce della cultura
Inca. Ovviamente non tutto venne cancellato e molte sono le case,
chiesa compresa, su cui vennero costruite le abitazioni spagnole.
Come
a Saqsaywaman, anche su questo grande spiazzo verrà celebrata la
festa del sole, l'Inti Raimi. Guardandomi attorno rimango affascinato
dal panorama, anche se non impervio e meraviglioso come quello di
Machu Picchu, mi piace parecchio anche qui. Devo dire che gli Inca
sapevano proprio come scegliersi i luoghi dove vivere.
Visitiamo
anche la chiesa, su cui Uriel si appassiona nella spiegazione, ma
forse ci mette troppo impegno e così finisce per iniziare a ripetere
le stesse cose e forse anche a tradurne male altre. Fatto sta che
quasi nessuno, io primo fra tutti, capisce qualcosa oltre al fatto
che, forse, qui c'era un tempio dedicato alla “Pacha Mama”.
Usciamo
e in quaranta minuti siamo a Cuzco, dove finalmente ci riposiamo un
po', godendoci la serata mentre passeggiamo nei vicoli e nei mercati,
in cerca di qualcosa di buono e vegetariano da mangiare
spensieratamente.
Domani
è il nostro ultimo giorno sulla terra Inca, un po' mi spiace, ma
sono anche contento di tornare a casa per far rivivere i ricordi di
questi giorni così intensi, belli e anche strani.
Nessun commento:
Posta un commento