mercoledì 25 ottobre 2023

Ultimo giorno

 Il viaggio in Uzbekistan sta per finire! Oggi abbiamo la visita di Tashkent, non sappiamo ancora cosa ci aspetta.

Per me sarà difficile raccontare questa giornata surreale. Sinceramente avrei preferito concludere questo viaggio meraviglioso e questo racconto in un modo differente, ma le così sono andate così…

L’appuntamento è alle 9. La guida si presenta alle 9:20, ottimo biglietto da visita.


Zita è una signora anziana e di origine armena, con una protesi alla gamba e un italiano a tratti un po’ incerto.

Non le è stato dato il nostro programma di visita e quando glielo leggiamo e arriviamo al punto del mercato Chorsu inizia già a dire che oggi è venerdì e non si può fare perché il mercato Chorsu sarà troppo pieno, per cui ci andremo nel pomeriggio. La metro poi non si può vedere perché c’è da pagare il biglietto, ecc…

Racconta che oggi ci farà fare un tour panoramico che di solito non fa fare a nessuno.

Siamo fortunati, pensa te che culo!


Primo obiettivo il mausoleo di Abu Bakr, poi la madrasa del XVI secolo di Barak Khan con all’interno un po’ di negozi, e infine il pezzo forte: l’unica copia superstite del corano risalente al settimo secolo, scritto su pelle di gazzella.

In tutto questo le sue spiegazioni poche, mentre i suoi racconti sull’Uzbekistan ai tempi dei russi sono stati molti e confusionari. Quando attaccava bottone sui “bei tempi andati” vedevo raggrupparsi attorno a lei numerosi italiani di altri gruppi che la ascoltavano meravigliati e divertiti per quello che diceva. È qui che per la prima volta ci parla del grande terremoto di Tashkent e dei canali che attraversano la città.

Del Corano originale però abbiamo capito solo che i russi lo avevano preso e portato a Mosca. Dopo ripetute richieste di restituzione Lenin aveva acconsentito a rimandarlo indietro, ma finì in un’altra città. Come è tornato a Tashkent non l’abbiamo mai capito.


Sono le 11:30 di mattina e Zita vuole portarci a Chorsu, a mangiare. Facciamo notare che per noi è troppo presto per il pranzo e allora dopo qualche borbottio russo che fa sbiancare la nostra compagna Gaia cambiamo obiettivo.

Qui lo stato confusionale aumenta. Prima veniamo portati in un parco dove c’è la statua del Petrarca uzbeko, poi rimaniamo bloccati nel traffico del centro e Zita parte con altre storie dell’Unione Sovietica miste a suoi ricordi ed episodi di vita. Vediamo solo da fuori e velocemente il teatro Alisher Navoi. Di nuovo in pulmino con le “magiche” storie di Zita. Si fa molto fatica a seguirla e a volte a trovare un filo logico.


Sfortunatamente mentre giriamo e lei parla in russo con l’autista. Sfortunatamente per lei perché Gaia sente e capisce tutto. Quando è troppo e troppo. Se all’inizio poteva essere una battutina sui soliti turisti, ora inizia ad esagerare: ce ne dice di tutti i colori, tanto che a volte Gaia non riesce neanche a ripetere le parolacce che sente nei nostri confronti.


Tra un semaforo e l’altro arriviamo all’ora di pranzo.

Il malumore inizia ad essere evidente da entrambe le parti.

Dopo pranzo la situazione degenera.

Ci fermiamo per vedere una chiesa armena, molto bella, ma il tempo a nostra disposizione era solo per scendere dal pulmino, fare una foto dalla strada e ripartire.


Poi Zita ci porta a vedere la scuola dove ha studiato e il suo quartiere, così ci parla per la quarta volta del terremoto che colpì la città e dei canali. Vediamo l’imponente e bruttissimo l’hotel Uzbekistan e il museo dei timuridi, che sarebbe interessantissimo, ma non possiamo neanche scendere dal pulmino. Per gentile concessione facciamo la rotonda due volte, così lo vediamo meglio.


La prima sosta arriva ad una moderna chiesa gotica. Il dibattito del gruppo ormai è incentrato: di quanto dobbiamo diminuire la mancia di Zita? 

Speriamo che ci faccia cambiare idea.

Quando risaliamo e ricominciamo a girare, all’ennesimo racconto del terremoto, le chiediamo se ora possiamo andare al mercato Chorsu. Scoppia la bomba. Non ci porta e inizia a fare storie per la benzina che stiamo consumando, più altre chiacchiere che ci fanno rimanere imbottigliati perdendo tempo e arrabbiare ancora di più.


Qualcuno inizia a perdere la pazienza…

Pausa caffè?

Sì, sì, ci vuole una pausa.

Dopo il caffè proviamo a dirigere la visita su alcune cose che c’erano nel programma originale, ma c’è poco da fare… Quando passiamo per la terza volta davanti allo stesso monumento, che tra le altre cose è anche vicino alla piazza dell’Indipendenza che dovevamo vedere, chiediamo che si fermi così da poterla vedere di persona, non dal finestrino.


Alla fine abbiamo girato in tondo per tutto il giorno senza poter vedere granché. Al nostro ritorno al pulmino Zita non c’è più.

Meglio così perché ormai il gruppo aveva deciso di cancellare del tutto la sua mancia.


In conclusione forse tutto è nato da una serie di situazioni come il suo italiano incerto, il programma improvvisato, il fatto che non ci sentisse quando cercavamo di interagire con lei…

Il suo atteggiamento, chiaramente avverso e poco professionale palpabile anche senza le traduzioni di Gaia, hanno fatto sì che il nostro ultimo giorno degenerasse in un’altra giornata inutile.


Può capitare eh, per carità.

Ci sfogheremo a cena, in un locale all’aperto, su uno dei tanti canali che attraversano la città.


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