sabato 21 ottobre 2023

Bukhara - I cari compagnucci

 

Giungiamo a Bukhara dopo un altro viaggio impegnativo di circa 5 ore. Anche oggi la strada non era molto bella, forse poco meglio di quella di ieri.

Ciò che è meno sopportabile è il caldo umido a cui non siamo più abituati.

Sono le 20 e trenta, giusto il tempo di darci una sciacquata veloce e usciamo. Stasera abbiamo la cena a casa di una famiglia uzbeka. In realtà è un ristorante a conduzione famigliare, dove il piatto forte è il plov, il piatto nazionale uzbeko. Io mi preparo con un abbondante antipasto e aspetto la versione vegetariana, non troppo fiducioso.

Arriva plov e sembra buono, ma alla fine, ben nascosto nel riso, c’è un pezzo di carne.

LMT (tipica imprecazione romana), MVVLC (tipica imprecazione in milanese) (per la par condicio).

Va be’, ormai è da un po' che viaggiamo e ci era già capitato qualcosa di simile in Perù, per cui l’avevamo messo in conto che potesse accadere.

Usciamo a passeggiare in cerca di un minimarket per prendere qualcosa da mangiare per domani, ma è domenica sera e sono quasi le 23… Ci contentiamo del trafficato e turistico centro storico, ci riproviamo domani.

Oggi si visita Bukhara! Dopo una buona colazione all’interno di quella che doveva essere una moschea estiva, ci viene a recuperare direttamente in hotel la nostra guida Nurik e, assieme a Borot, andiamo in pulmino alla periferia della città per iniziare la visita.

Usciamo dal centro, passiamo davanti allo stadio e all’albergo dei turisti durante i tempi dell’Unione Sovietica. Il che non significava che fosse un ostello autogestito dai turisti, ma che tutti i turisti che venivano a Bukhara a quei tempi, potevano soggiornare solo esclusivamente in quell’hotel.

Ci fermiamo in quello che sembra un luna park anni 70, con tanto di ruota panoramica e un grande parco.

Nurik parla un perfetto italiano, anche perché era insegnante universitario di italiano, francese e persiano. Ha studiato a Perugia e Trento e ha un modo di fare molto simpatico.


Giusto per far capire come la pensa inizia subito con qualche frecciatina ai “cari compagnucci” dell’Unione Sovietica. In ogni caso in seguito ci terrà a correggere un po' il tiro, ma ne parliamo dopo.

Dentro il parco troviamo subito il primo monumento: il mausoleo di Ismail Samani risalente al 905, un potente emiro di origini persiane.

È miracolosamente rimasto integro fino ai nostri giorni perché quando è arrivato Timujin, detto Gengi per gli amici, il mausoleo è stato interrato in una finta collina e la superficie ricoperta da false tombe.

Gengi non ha mai trovato il mausoleo ma ha espugnato la città in modo ingegnoso: vedendo la resistenza che gli abitanti erano pronti ad opporre, propose di salvare chi sarebbe uscito per diventare parte del suo popolo, consentendo loro di mantenere la propria condizione sociale e spirituale.

Ovviamente l’aristocrazia e i capi spirituali furono i primi ad accettare, ma anche i primi ad essere eliminati da Gengi.

Come posso fidarmi di chi tradisce il proprio popolo?

Poi uccise tutti i vecchi e bambini, arruolò nell’esercito tutti gli uomini e le donne furono distribuite ai mongoli come concubine. Gengi sceglieva sempre le migliori per sé.

A proposito di ciò, pare che i discendenti di Gengi nell’Asia centrale siano circa 16 milioni, 1 su 200.

Proseguiamo nel parco e ci fermiamo da un artigiano di piatti di metallo incisi a mano. Il primo artigiano di una lunga serie che visiteremo.

Qui Nurik ci spiega come venivano allevati i bambini uzbeki per i primi due anni: direttamente nella culla. Fasciati e lasciati immobili per i primi due anni. Se avevano fame la madre si chinava sulla culla per sfamare il neonato direttamente in culla. Se doveva andare in bagno… sotto la culla c’era un foro. E per la pipì? Ci mostra una pipetta di legno che adeguatamente scolpita a seconda del sesso, fungeva da catetere esterno.

Il prossimo mausoleo è quello di Chashma-Ayub, con la fonte del profeta Giobbe. La leggenda dice che Giobbe passando di qui abbia trovato una fonte d’acqua per dissetare la gente del luogo.

Giobbe non c’è veramente, ma all’interno c’è un museo sull’acqua, in particolare sul disastro del lago d’Aral.

In realtà il lago d’Aral è un mare, il quarto mare più grande del mondo, o per lo meno lo era.

Dagli anni 20 infatti i cari compagnucci hanno iniziato a deviare il corso dei due fiumi, Amu Darya e Syr Darya, che alimentavano il mare per poter utilizzare l’acqua nella coltivazione del cotone.

Già negli anni 70 il livello del mare calava di 20 cm l’anno, poi triplicò fino a 60 cm l’anno. Negli anni 80 arrivò a 90 cm l’anno.

Dal 2000 lo si vedeva sparire a vista d’occhio.

Le malattie polmonari degli abitanti delle rive del mare erano aumentate dell’80 percento perché non essendoci il mare le tempeste di sabbia sono diventate tossiche a causa dellie sostanze chimiche, diserbanti, ecc… depositate sul fondo del mare. Il peggio era altro.

All’interno del mare in origine c’erano due isole, una piccola e disabitata, l’altra più grande e segretamente utilizzata. Sull’isola segreta c’era il centro di ricerche delle armi batteriologiche dei sovietici.

Finché c’era il mare tutto ok, ma era chiaro che col tempo l’isola sarebbe scomparsa e il centro di armi batteriologiche sarebbe stato raggiungibile via terra. Cosa sarebbe successo se la fauna locale l’avesse raggiunta?

Per evitare ulteriori disastri, il centro venne sepolto sotto trentacinque metri di cemento armato.

È ancora là. Sperem.


Prossima tappa la grande moschea di Bolo Hauz, appena fuori le mura della cittadella.

Anche questa, come il mausoleo di Ismail Samani ha davanti a sé una grande vasca d’acqua.


Questa veniva utilizzata per le persone che venivano da fuori, come fosse un’oasi. Ovviamente l’acqua doveva essere prima bollita per essere bevuta.


Siamo davanti alla cittadella del Khan di Bukhara. Questi aveva costruito il suo palazzo fortezza proprio sopra una delle tre colline della città vecchia. Qui vivevano circa tremila persone, almeno fino a quando i russi arrivarono per annettersi l’Uzbekistan. A quei tempi lo Zar fece la proposta di resa chiedendo al Khan 1062 kg di oro, ma il Khan rifiutò.


L’attacco allora fu pesantissimo e la cittadella rasa al suolo. Bukhara alla fine cedette. Il khan però riuscì a scappare in India portandosi dietro quattro carri stracarichi d’oro. Uno di questi carri si svuotò lungo la strada seminando qua e là oro per rallentate gli inseguitori.

Il Khan raggiunse sano e salvo l’India e sopravvisse fino al 1944 vendendo tappeti.

Bukhara, trovandosi nel mezzo della via della Seta e di altre vie commerciali, era una città ricchissima. Furono moltissimi i tesori  trovati dai russi che ci volle una settimana solo per catalogarli. Dopo di che dalla città uscì un treno diretto in Russia con 28 vagoni stracarichi di oro.


Usciti dalla cittadella andiamo verso il centro storico, dove c’è la famosissima madrasa di Mir-i-Arab, la moschea di Poi-i-Kalyan e il minareto Kalyan, il più alto dell’Asia centrale, quindi più alto di quello di Khiva.

Secondo Nurik. Effettivamente a occhio mi sembra che abbia ragione.


Ci mettiamo in un angolo ad ascoltare la storia di Buchara. Alla fine domando a Nurik come mai in Uzbekistan nonostante la maggioranza di musulmani non si senta mai il richiamo del muezzin come in Giordania o in Turchia.

Risponde che qui non si può fare proselitismo. Ci sono tutte le religioni, ma non si può predicare al di fuori dei luoghi di culto.

La storia di Buchara l’ho sentita eh… ma mi sono accorto di non aver preso appunti…

Quello che mi ricordo è questo.


La madrasa di Mir-i-Arab è famosissima, praticamente la Oxford delle madrase, dove pare abbia studiato anche l’attuale Capo di stato della Cecenia Kadirov.

Il minareto invece è originale, nel senso che nonostante sia stato bombardato a colpi di cannone, dopo essere stato restaurato e aver subito un terribile terremoto, il minareto ha resistito, mentre la parte restaurata è crollata.

Pausa pranzo.


Dopo mangiato veniamo precipitati nel girone degli artigiani venditori: partiamo con gli allevatori di bachi da seta per vedere come vengono fatti i Suzani, poi c’è fabbro di forbici e coltelli, il gioielliere di argento e bronzo, il miniaturista che componeva quadretti con i diversi stili di scrittura coranica, il venditore di lapislazzuli, di tappeti, ed infine un tizio che vendeva cappelli e faceva il patchwork di vecchi tappeti recuperati.


Nel mentre abbiamo Nurik ci mostra prima uno dei tre Toq, mercati coperti, la madrasa di Ulug bek, quella di fronte di Abdoullaziz Khan con il portale e i soffitti a cassettoni colorati e gli altri due Toq. Questi mercati coperti in origine erano popolati con fino a 36 artigiani, e ognuna delle tre Toq di Buchara aveva un ambito specifico.

Nel mentre Nurik, un po’ stuzzicato, ci racconta del passaggio dell’Uzbekistan dall’Unione Sovietica ad oggi.


Dice che i cari compagnucci erano quello che erano, ma nonostante tutti i loro difetti avevano portato a tutti un servizio sanitario gratuito e l’istruzione pubblica gratuita, per non parlare di una casa gratuita per tutti.

Nel 1991, prima di staccarsi dai sovietici, un’auto costava (cifra ipotetica buttata lì da Nurik) più o meno 5400 rubli. Lo stipendio medio era circa 90 dollari.

Il 30 agosto del ‘91 l’Uzbekistan diventa indipendente dalla Russia. Tutto quello che la Russia mandava, cibo, medicine, ecc… da quel momento non arriva più.

Di colpo un chilo di pane costa 5400 rubli.

Esattamente come un’automobile.

La fame.

La malattia.

Due dei cavalieri dell’apocalisse erano arrivati.


Erano un paese a monocultura, basato sulla coltivazione del cotone, non avevano altro.

Per fortuna a settembre ci fu il raccolto del cotone e invece di inviare tutto in Russia, questa volta il raccolto se lo poterono tenere e vendere. Tutto il guadagno venne reinvestito per la coltivazione del grano e delle verdure. In modo lento, molto lento, il paese ha trovato una propria indipendenza economica.

Quando Nurik insegnava all’università negli anni 90 guadagnava circa 30 dollari al mese, quando ha lasciato nel 2004 lo stipendio era 41 dollari.

Oggi se facesse ancora quel lavoro prenderebbe 1400 dollari al mese. Inoltre in Uzbekistan ci sono diversi giacimenti per tutti gli elementi della tavola di Mendeleev, e gli scavi che vediamo lungo le centinaia di chilometri di strade lo testimoniano.

Ovviamente c’è anche l’oro.

Fino a qualche anno fa nessuno aveva ancora trovato le miniere d’oro del Khan, ora si.

Nel 2021 hanno estratto 100 tonnellate di oro, nel 2022 ne hanno trovate 108, nel 2023 vedremo.

Inoltre il 35% della popolazione è laureata. Altra cosa che sento per la prima volta è che qui ci sono madrase anche femminili. Magari è una cosa comune, ma nelle altre città visitate non ne abbiamo sentito parlare.

Il futuro sembra in miglioramento per questa nazione dopo questa chiacchierata. Difatti non credo che un viaggio così sarà accessibile a noi poveri impiegati ancora per molto.

C’è però un “ma”.


La posizione dell’Uzbekistan. Questa nazione si trova proprio in mezzo a Russia, Kazakistan, Turkmenistan, Iran, Cina, Afghanistan, Pakistan e India.

Con tutta la ricchezza di giacimenti che possiede… credo farebbe bene a prendere precauzioni.

A tal proposito Nurik ci racconta che l’ultimo Khan, prima che arrivasse lo Zar, aveva ricevuto la proposta degli inglesi di potenziare il proprio esercito con armi più moderne rispetto ai fucili ad avancarica in dotazione.

Il Khan rifiutò ed è finito a vendere tappeti.


Nessun commento:

Posta un commento