Stamattina partiamo subito con Nadye verso le mete più importanti di Samarcanda. Imbarcati sul pulmino di Borot ci dirigiamo verso la città vecchia, quella abbandonata dopo l’arrivo di Gengis Khan.
Ora lì sorge il cimitero, quindi non si possono fare scavi archeologici e non si potranno fare per i prossimi 50 anni, ovvero quando non ci sarà più una sola persona in vita dei parenti di coloro che vi sono sepolti. Solo allora si potrà scavare e riportare alla luce ciò che è rimasto della vecchia Samarcanda.
Qui sono sepolti alcuni parenti di Tamerlano e altre importanti personalità come Kusam Ibn Abbasù, cugino del profeta Maometto.
Essendo un luogo molto
gettonato ci andiamo molto presto quando non c’è quasi nessuno.
Molto bello, davvero,
come inizio di giornata è molto promettente. Ne scaturiscono diverse foto molto
belle.
Il nipotino non era
interessato alla politica. Era lo scienziato che costruì un osservatorio
astronomico in cima ad una collina fuori della città vecchia e nuova.
Stiamo parlando del
1400 per cui non si pensi ad una cupola come i moderni osservatori. Non usavano
nemmeno un telescopio o altri strumenti a lente, ma un semplice sestante. Solo
che era un sestante di 30 metri.
Sfortunatamente il
figlio di Ulugbek, Abd al Latif, geloso del proprio fratello a cui il padre
teneva di più, lo accusò e lo fece processare come infedele religioso da punire
con la morte. Essendo Ulugbek diretto discendente di Tamerlano, non poteva
essere ucciso per un motivo simile. Venne data in alternativa la possibilità di
espiare la propria colpa con un pellegrinaggio alla Mecca. Ulugbek partì
immediatamente. Dopo pochi giorni di viaggio fu raggiunto da un messaggero del
figlio che lo intimava di fermarsi perché non permetteva che viaggiasse senza
scorta.
Ulugbek sapeva che era una trappola, si fermò ugualmente. Due giorni più tardi arrivarono due cavalieri che lo uccisero e decapitarono.
In seguito anche Abd al
Latif patricida venne giustiziato per questa violazione della legge.
Dopo la morte di
Ulugbek l’osservatorio perse ogni finanziamento, nel giro di pochi anni venne
abbandonato, finendo per essere dimenticato.
Venne riscoperto solo
un secolo fa, dal russo Pyatkin che per tutta la vita lo aveva cercato
finanziando gli scavi di tasca propria. Come gratifica divenne il
sovrintendente di tutti i beni archeologici di Samarcanda. Era così innamorato
dell’archeologia di Samarcanda e dell’osservatorio, che chiese di essere
sepolto accanto a quest’ultimo. Fu accontentato.
Scendiamo e
attraversiamo la strada fino alla grande moschea di Bibi Khanym. La leggenda
vuole che sia stata fatta costruire dalla moglie di Tamerlano come sorpresa
mentre questi era in viaggio per conquistare nuove terre.
Per costruirla la
moglie scelse il miglior architetto dell’epoca, ma durante i lavori questi si
innamorò di lei.
I lavori andavano a
rilento e il tempo stava scadendo. La donna faceva molta pressione affinché
l’architetto compiesse l’opera prima del ritorno di Tamerlano. L’architetto colse
la palla al balzo e, visto che la donna aveva sempre respinto le sue proposte,
disse che garantiva il risultato solo se lei gli permetteva di farsi dare un
bacio sulla guancia. Contraria, ma costretta, la donna accettò.
Purtroppo il bacio
sulla guancia lasciò un segno indelebile. Quando Tamerlano tornò la trovò con
il velo che copriva il suo viso. Per mascherare la “novità” la moglie impose il
velo a tutte le donne della città. Nonostante ciò Tamerlano ugualmente scoprì
il suo tradimento. Fece giustiziare l’architetto e gettare la moglie dalle
mura.
Ovviamente è solo una
leggenda, Nadye ne spiega il motivo: l’unica delle nove mogli di Tamerlano che
fece costruire delle madrase e moschee, era una diretta discendente di Gengis
Khan. Tamerlano infatti, non essendo diretto discendente di Gengi, non poteva
essere Khan. Sposando una sua discendente i figli generati sarebbero diventati
Khan. Pare che questa imposizione alle donne di mettere il velo sia nata solo
intorno all’800, periodo in cui ha iniziato a circolare questa storia.
La moschea è gigantesca,
sembra non sia stata costruita molto bene perché in parte è crollata dopo pochi
anni e nonostante i continui interventi di manutenzione continua a non essere
stabile. Difatti non viene più utilizzata come moschea.
La vendetta
dell’architetto.
Accanto alla moschea
c’è il mercato in cui ci fermiamo a prendere qualcosa per il pranzo, dopo di
che ci dirigiamo verso il piatto forte: piazza Registan.
Già ieri sera avevamo
ammirato la piazza più bella dell’Uzbekistan, ora con il biglietto d’ingresso ci
troviamo nel mezzo.
È inevitabile che la testa inizi un viaggio per conto suo. Ho scattato non so quante foto, ho sentito le spiegazioni di Nadye, ma la mente credo fosse da un’altra parte, in un altro tempo. L’unica cosa che mi manteneva collegato con la realtà era una brezza costante che rinfrescava la giornata.
Ah ecco, una cosa la
ricordo: proprio qui da ragazzina Nadye ha iniziato a lavorare in uno dei
negozietti di questa madrasa, ed è qui che le è nato il suo interesse per la
lingua italiana, grazie ai tanti turisti che passavano da lei.
Andiamo nella madrasa
centrale ed entriamo nella moschea d’oro all’interno della madrasa Tilla-Kari.
Un piccolo appunto rompe
l’incantesimo del momento: appena prima di entrare nella moschea alle donne
viene imposto di mettere il velo. Anche Nadye è sconcertata, per non dire
altro. Dice che è la prima volta che le capita, anche perché i sunniti sono
sempre stati molto più flessibili da questo punto di vista.
Visibilmente scossa cerca di riprendersi parlandoci della moschea d’oro, e trova subito l’argomento giusto: il nome di questa moschea non è un caso, è veramente d’oro. Ce ne è così tanto che solo per il recente restauro ne hanno utilizzati ben trentadue chili.
Meravigliosa.
Tutti questi motivi decorativi tra madrase e moschee hanno un fascino unico. Possono apparire ripetitivi, credo nascondano un segreto legato alla scienza e alla matematica. Da lontano sembrano tutti uguali. Osservandoli da vicino invece, sono tutti molto diversi tra loro e i disegni svariati.
Mi ricordano l’effetto ipnotico dei caleidoscopi, solo che invece di muovere i disegni qui si muove lo sguardo. È arte, è matematica, è emozione.
Usciamo a vedere in libertà l’ultima madrasa, quella con le tigri rappresentate sulla facciata. Dovrebbe essere identica a quella di fronte a lei, ovviamente voglio verificare tutto a partire dai motivi che ne decorano l’interno.
Ci sono poi le cupole
tortili, tipiche di Samarcanda, bellissime, e i minareti di Pisa, nel senso che
sono storti.
Anche le facciate sono storte e pendono in avanti o sbaglio? Lo faccio notare a Nadye e mi dice che in origine non erano così, come io pensavo, ma si sono spostate col tempo a causa dei terremoti e del loro peso.
I minareti poi sono questioni diverse perché alcuni interventi nei secoli passati ne hanno compromesso la stabilità. Ora però, anche se li vediamo un pochino pendenti, Nadye ci dice che sono stati stabilizzati con importati lavori di restauro e consolidamento.
Di questa struttura non
rimane molto, quasi tutta la parte esterna e della madrasa è sparita. Il
mausoleo invece è ancora lì ed è molto bello.
Con la parte bassa in giada, salendo è decorato in oro, forse ce ne è ancora di più della moschea d’Oro.
La lapide di Tamerlano,
in giada nera, è in mezzo alla sala, circondata da quelle di alcuni suoi figli,
parenti e discendenti.
In realtà Tamerlano, morto di malattia a 69 anni durante una campagna militare, non doveva essere sepolto qui, ma ci venne portato solo temporaneamente per poi essere sepolto nella cripta che abbiamo visto a Shahrisabz. Sfortunatamente in quel periodo la strada del passo era chiusa dalla neve e così rimase a Samarcanda, nel mausoleo che doveva essere del nipote.
Salutiamo la brava e simpatica Nadye.
Stasera portiamo a cena con noi anche Borot. Siamo in un posto ancora più turistico di quello di ieri, ci sono ballerini e danzatrici.
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