mercoledì 18 ottobre 2023

ONE WAY TICKET TO HELL

 


Se ci ripenso, quasi mi ci sono divertito. Quasi.

La prima parte del viaggio è stata quella più tranquilla. Il tragitto che va da Aktau a Benyun è tutto su strada ben asfaltata. Assistiamo anche a un bel tramonto rosso.

Poi mi accorgo che non ci sono i lampioni.

Giustamente.

Hai voglia a mettere 300 km di lampioni in mezzo al deserto.

Il buio cala velocemente e alla fine i lampioni non servono poi tanto, qui non hanno la nebbia come a Milano.

Inoltre la strada è molto trafficata.

Partiti alle 18, faremo un paio di soste per bagno e caffè, arriveremo verso mezzanotte. Il treno parte alle 4:40, arriva in stazione verso le 02:00, forse prima.

Per fortuna l’accompagnatore ci terrà nel furgone finché non saliremo il treno.

È venerdì sera, quindi per i kazaki musulmani è festa e in stazione assistiamo alla fine di una festa.

Proprio accanto a dove parcheggiamo il pulmino abita un signore e a casa sua c’è un via vai di persone. Nel parcheggio le macchine vanno e vengono numerose. Dall’aspetto non sono proprio dei brutti ceffi, ma neanche belli.

Ogni volta che la porticina della casa si apre si vedono due anziani che si reggono a malapena a vicenda in piedi sorreggendosi tra loro.

Arrivano degli uomini più giovani che cercano di portare via uno dei due anziani, ma questo si abbraccia all’altro e non c’è modo di staccarli.

Poi la porta si chiude per un po', finché non arrivano altre macchine, da cui scende una signora.

Temo sia la moglie. È venuta a riprendere il marito, però non la vedo impugnare il mattarello. Forse qui usano altri attrezzi.

La signora entra. Pochi minuti dopo portano fuori il presunto marito, ubriaco e festante continua a salutare il suo amico, sorretto sulla soglia di casa dai suoi parenti.

Gran parte dell’attesa se ne va così.

Ancora una mezzoretta e arriva quello che sarà il nostro flagello: il treno notturno.

Corriamo a prendere i posti, o meglio, abbiamo già le cuccette assegnate.

Siamo tutti vicini, a parte Gaia che è nello scompartimento accanto.

Le brandine sono un pochino impolverate, con dei materassi pulciosi ripiegati.

Io e Cassandra siamo al piano rialzato, come Marco. Maria, Isabella e Barbara sono sotto.

In corridoio non c’è molto spazio, anzi. Con tutta la gente che sale e scende è un casino. Stipiamo i bagagli e appena ci danno federe e lenzuola prendiamo posto nelle cuccette.

Quelle in alto sono basse, non ci si può neanche mettere seduti se non facendo la posizione dell’ostacolista.

Fa freschino, ma soprattutto non c’è il bagno. Finché il treno non parte, per altre 2 ore almeno, non apriranno i bagni.

Alla fine cerchiamo di scendere e trovare un posto nascosto dove farla.

Posto che in realtà non c’è, ma è notte e quando scappa, scappa.

Siamo un po' stanchi ma prima di addormentarci arriva l’esercito Kazako per il controllo documenti e bagagli.

Essendo noi turisti ci viene riservato un occhio di riguardo, nel senso che ci guardano e riguardano, anche dentro i bagagli, più volte.

Alla fine caschiamo dal sonno e nonostante il freddo ci addormentiamo.

Un paio d’ore più tardi si ricomincia. È il turno dell’esercito Uzbeko.


Altro occhio di riguardo, stavolta anche per i farmaci che abbiamo con noi. Il sorteggiato è Marco che, in quanto medico, si è portato mezza farmacia nello zaino.

Anche qui i controlli sono lunghi, ma appena scendono possiamo rimetterci a dormire.

E invece no!

Sceso un esercito ne sale un altro: stavolta sono le venditrici ambulanti.


Vendono di tutto, dal cibo, ai vestiti, alle bibite, ai giocattoli. Sono tantissime, una via l’altra.

Tra l’altro il treno è pieno di spifferi gelati e solo dopo un po' riusciamo ad addormentarci sfiniti.

La mattina ci svegliamo come se avessimo dormito su un treno di terza classe, ah no, eravamo in terza classe… E così ci ritroviamo in mezzo ad un mercato rionale.

Ah già, non era un incubo.

Manca ancora un’infinità all’arrivo.


Io tengo d’occhio il tragitto con l’app gps ma il treno va molto piano. In più la maggior parte delle fermate sono nel nulla più desolato che abbia mai visto. C’è solo la stazione e poi niente fino all’orizzonte.


La lenta agonia viene spezzata solo dalle venditrici ambulanti che continuano a passare come un moto perpetuo, ma con merce alternata: prima cibo, poi cianfrusaglie tecnologiche, poi pupazzi bruttissimi, ecc…

Non c’è altro da raccontare se non la noia.

Quando finalmente scendiamo a Kungrad ci sembra di essere stati liberati da un’ingiusta prigionia. 

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