Le jeep per lo meno
sono grandissime e molto comode. Quella su cui prendiamo posto io e Cassandra
ha dei vetri molto oscurati, forse
troppo. Capisco subito perché: fuori del finestrino non c’è niente oltre
l’orizzonte piatto, solo il sole e filari di pali della luce. Ogni tanto appare
qualche sporadica costruzione di un solo piano, a volte dei capannoni, e in
lontananza piccoli branchi di cavalli selvatici. Sulla sinistra si intravede la
riva del mar Caspio, poi sparisce nella monotonia del paesaggio piatto.
Per ora non fa caldo, è
ancora presto. Durante il giorno questi vetri temo serviranno tantissimo.
È questa la steppa?
Brulla, arida, sterminata. Sinceramente me la immaginavo più verde, invece qui
domina la terra arrida e sabbiosa, punteggiata
dai radi cespugli verdi.
Come è comoda questa
jeep. Mi si chiudono gli occhi, almeno finché non lasciamo la strada asfaltata
e prendiamo quella sterrata. Ora comprendo la necessità di usare jeep così
grandi. Diciamo che con la mia fidata 500 non riuscirei a fare molta strada
prima di rompere tutto e rimanere bloccato.
Le piste sono diverse e
quasi parallele tra loro. In questo modo non si accecano l’un l’altra con le
nubi di polvere che sollevano.
Prima tappa un piccolo
canyon con un laghetto formato dalle forti piogge.
Siamo affacciati
proprio davanti ad un canyon grandissimo che sembra essere sprofondato davanti
alle rive del mar Caspio.
Un silenzio ammaliante
e affascinante ci rapisce.
Denis, il nostro
autista, racconta che nel mar Caspio pescano lo storione per il caviale rosso e
poi indica una lingua di terra che affiora dal mare. È l’isola dei pesci gatto,
o dei gattopesce, Denis non parla molto bene inglese e io sono ancora mezzo
rinco dal sonno.
Riprendiamo il viaggio sonnolento fino a quando arriviamo ad un’altra moschea, stavolta rupestre. Sembra sia stata creata all’interno di una scogliera, e non si fa fatica ad immaginare che non molto tempo fa qui c’era il mare.
Ora è molto più caldo
per cui siamo ben contenti di tornare al fresco delle Jeep, che ci portano
verso un canyon bellissimo visto dall’alto.
Prima di arrivare
incrociamo un branco di cammelli, praticamente tutti marchiati. A quanto pare
la gente del luogo li alleva per il latte e la carne. Se li mangiano!
Mah.
In pratica per i kazaki
sono come delle mucche con le gobbe.
Ci consegnano la tenda
e ci mostrano come si monta. Rispetto a quelle che avevamo utilizzato nel
safari australe sono decisamente più grandi e facili da mettere in piedi. La
parte più complicata, come sempre, è quella dei picchetti che sono piccoli e
troppo fragili. Per fortuna ci sono anche dei grandi chiodi di plastica dura
che fanno molto bene il loro lavoro.
In men che non si dica
il campo è piantato e così abbiamo il tempo di prendere possesso della “camera”,
fare la “doccia” e andare in “bagno”.
Inizia qui il viaggio
nel viaggio, alla scoperta dell’igiene personale creativa.
In pratica sia per
lavarci che per andare in bagno ci dovremo inventare qualcosa, soprattutto
perché il campo sarà come quella casa molto carina,
senza soffitto,
senza cucina,
non si poteva fare
pipì,
perché non c’era il
vasino lì,
E se non c’era il
vasino lì,
non c’era manco il
bidet là!
Sono passati molti anni da quando è uscito il film “Il tè nel deserto” e in questo viaggio, anche se non ci sarà John Malkovich, verrà affrontata la scottante tematica de “Il bidet nel deserto”, il controverso seguito mai uscito nelle sale cinematografiche.
Per affrontare questa piccola impresa, dietro suggerimento della stupenda capogruppo Maria, oltre alle utilissime salviettine umidificate, ho cercato un catino pieghevole da usare come bidet. Purtroppo non avevo molto spazio in valigia e così ho dovuto improvvisare: invece di un catino pieghevole che non trovavo delle giuste dimensioni e prezzo, ho recuperato una di quelle ciotole pieghevoli che si usano per fare bere i cani quando si va in giro.
Un po' titubante mi
accingo a varcare la soglia del mondo della creatività igienica, ma devo dire
che il primo approccio ha creato problemi: alla fine le salviettine umidificate
si rivelano molto più efficaci. In realtà la parte più complicata è stata
quella di trovare una zona appartata quando la toilette ufficiale era occupata.
Una volta che ci siamo
lavati tutti e abbiamo arredato le tende, propongo di andare a fare un giro
esplorativo della gola, giusto per farci venire fame prima di cena.
Sento già qualcuno che
russa.
Anche se ho sonno
faccio sempre fatica ad ammettere con me stesso che devo dormire, così ne
approfitto per tentare di fare qualche foto stellare. Sfortunatamente è troppo
presto e il cielo ancora troppo illuminato.
Forse è meglio andare a dormire.
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