Città in costruzione,
in espansione, strade però ammaccate e solo in parte percorribili senza
problemi. La maggior parte delle strade sono piene di buche e da rifare
completamente. I lavori sono in atto ma a giudicare dalla velocità dei lavori e
da quanto strada c’è da rifare… ci vorrà molto tempo prima che la via della Seta
torni ad essere una strada percorribile con un minimo in tranquillità.
Oggi c’è una luce
forte, ma strana, un po' come a Bukhara. Probabilmente a causa di una tempesta
di sabbia che ci dicono esserci stata ieri.
Arriviamo Shahrisabz,
dove incontriamo Nadye, la nostra nuova guida. È giovane e conosce bene Nurik.
Di origine tartara sembra molto più anticonformista di molte sue coetanee che
girano col velo.
Fa un po' caldo e Nadye
ci porta subito all’ombra per raccontarci della città verde, dove è nato
Tamerlano e dove voleva essere sepolto. Qui viveva e aveva il suo palazzo
Timur.
Ci spostiamo a vedere la moschea di Kok Gumbaz e di fronte i mausolei di due sceicchi.
Purtroppo gli affreschi
qui non reggono e si staccano facilmente. I disegni sono sempre belli, secondo me non sono
paragonabili agli intrecci creati con le maioliche e i mosaici.
Giungiamo in quello che
resta del palazzo di Tamerlano. Durante la visita incontriamo una coppia appena
sposata. La sposa è sempre sovraccarica di un vestito bianco, grandissimo, ingombrante
e molto pesante.
Nadye ci tiene a dire
che lei si è sposata con abiti normali, l’unica cosa di bianco che aveva erano
un paio di sneakers, usate.
Non sembrano molto
felici gli sposini, ma c’è un motivo se sembra che vadano ad un funerale.
So cosa può venire in
mente, ma non è quello…
Hanno espressioni
tristi perché se le impongono: se si mostrassero felici offenderebbero la
famiglia che stanno lasciando.
Del palazzo di
Tamerlano rimane solo parte del portale di ingresso. Alto circa 40 metri, ma
senza la parte superiore dell’arco, è una delle strutture antiche più alte e
imponenti che abbia mai visto. Nadye racconta che quando era integro doveva
misurare almeno 70 metri. Praticamente un grattacielo.
Nonostante sia rimasto
pochissimo del palazzo, sappiamo che doveva essere immenso. L’unica
testimonianza ci arriva dal resoconto di un viaggiatore, un collega: l’ambasciatore
spagnolo del XV secolo racconta che aveva proporzioni colossali ed era
completamente decorato. Oggi le decorazioni rimaste sono abbastanza sgarrupate
ma, nonostante tutto, ancora bellissime.
Giriamo attorno a queste
rovine, tentando invano di ricostruirne le mura con la fantasia, riprendiamo la
strada per Samarcanda, sempre che di “strada” si possa parlare. Probabilmente
la peggiore mai fatta finora.
In alternativa ci
sarebbe un passo montano, ma ai camion e ai pulmini è vietato passarci, per cui
posso solo immaginare quanto pessima sia.
Sembra di essere
tornati in Botswana, dove l’asfalto è martoriato dalle buche fatte dagli
elefanti.
Ciò che ci sorprende di
più è la guida sportiva di Borot e colleghi uzbeki. Sembra abbiano imparato
tutti a guidare alla scuola guida di Nicky Lauda. Camion, auto, furgoni.
Nonostante gli spazi inesistenti, le linee continue, o addirittura l’assenza di
linee, per gli uzbeki il sorpasso è come l’amore per gli hippy: libero.
In un paio di occasioni
Borot mi sembrava stesse rievocando il film di Tarantino, Grindhouse. Secondo me
ha imparato a guidare alla scuola guida di Stunt-man Bob e Stunt-man Mike.
Per fortuna dopo più di
un’ora arriviamo salvi alla statale asfaltata. Un po' acciaccati prendiamo
possesso delle camere e subito a cenare in un tipico locale uzbeko con il piano
bar.
L’unica cosa da
raccontare è che quando stiamo per finire la cena il cantante si accorge che
siamo italiani e ci mette subito “L’italiano” di Toto Cotugno e “Felicità” di
Albano e Romina.
Anche se da lontano, affacciati su una terrazza, lo spettacolo è incredibile. Delle luci colorate illuminano a tempo di musica le madrase, le cupole e i minareti. Rimaniamo letteralmente ipnotizzati per tutto il tempo, finché la musica finisce e l’illuminazione torna quella classica.
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