Tutto ottimo e
innaffiato da una buonissima birra. Mi sento già sazio. Scopro che era solo
l’antipasto!
Giusto il tempo di far
finire di mangiare chi ha accettato la sfida,
si esce a vedere la città.
Non ho molte
aspettative. Probabilmente a quest’ora si potrà fare poco, giusto vedere le
grandi mura illuminate.
Invece no! Tutto è aperto e illuminato! C’è anche poca gente e si può passeggiare senza problemi al fresco.
Il grandissimo minareto
incompiuto, la grande madrasa trasformata in hotel, il viale con locali, altre
madrase, venditori ambulanti, ristoranti.
Come dice la guida di
Marco sembra tutto finto o ricostruito di recente talmente è bello e ben tenuto.
Quasi un parco di
divertimenti.
Girovaghiamo storditi dall’atmosfera magica della città. Nonostante il viaggio lunghissimo ormai non sentiamo più la stanchezza. Come risvegliati da un incubo cerchiamo di infilarci dove si può, fotografando gli scorci fiabeschi e respirando l’aria dell’antico Khanato di Khiva. Non so fino a che ora stiamo in giro, giusto il tempo di far esaurire un minimo l’adrenalina scatenata dalla meravigliosa città, poi ci decidiamo ad andare a letto.
La mattina seguente ci
alziamo presto perché abbiamo chiesto alla guida di anticipare la visita della
città, dato che dopo pranzo dovremo ripartire subito per Buchara. Anche oggi ci
aspetta un altro viaggio lunghissimo, circa 5 o 6 ore…
Se non ci fosse stato il guazzabuglio del treno, organizzando meglio il viaggio, sempre saltando la parte di Nukus e Lago d'Aral, qui ci si poteva fermare almeno un giorno e mezzo, cosa che meriterebbe.
Prima di uscire chiediamo al gestore se possiamo salire sul piccolo minareto dell’hotel. Ci buttiamo sulle ripide scale a chiocciola e arriviamo subito in cima, dove però c’è posto solo per un paio di persone. La vista però vale la salita e l’ingorgo.
A Khiva c'è una sola
guida che parla italiano e di solito se la accaparrano i grandi tour operator
che hanno più turisti. La nostra guida si chiama Lola, parla solo inglese ma si capisce bene. Sapendo
che abbiamo poco tempo inizia subito il giro, così da mostrarci le parti più
belle della città e raccontarci la sua storia.
Non è che ricordo
tutto, non sono mai stato un bravo studente, cerco di raccontare ciò che ricordo.
La leggenda dice che
origini della città risalgano addirittura a Sem, il figlio di Noè. Moooolto
tempo dopo divenne parte delle conquiste di Gengis Khan.
Le imponenti mura sono
alte 10 metri e larghe 10 metri. Racchiudono la città vecchia Ichan Qa’la in un
anello di 2 km e 2, ma la particolarità è che sono state costruite in un solo
mese.
Per raggiungere questo
incredibile risultato il Khan usò tre diverse squadre che contemporaneamente
lavorarono su tre parti differenti.
La cosa assurda fu che nessuno venne pagato per questo lavoro. Inoltre nemmeno un singolo schiavo lavorò a questa impresa.
Il khan aveva semplicemente escogitato un trucco: il primo che finiva di costruire le mura non avrebbe pagato le tasse per un anno intero.Dopo questo antipasto
storico varchiamo la porta principale della città per trovarci già all’ombra
del gigantesco minareto piastrellato, ormai simbolo della città: Kalta Minor.
È alto 30 metri, non è mai stato terminato perché l’ideatore è morto prima. Nei suoi progetti doveva essere il minareto più alto di tutta l’Asia centrale. Dall’alto dei suoi 90 metri si sarebbe dovuto vedere fino al Turkmenistan. Sebbene non si direbbe, questo minareto risale solo a metà dell’800, così come la madrasa subito accanto.
Oggi è un grande hotel e possiamo entravi per una rapida visita. La madrasa è una scuola coranica, in passato era una vera e propria università. Infatti esistevano più madrase, come qui a Khiva, ognuna specializzata in una o più materie.
La grande madrasa che
oggi fa da hotel, è stato dato in gestione, così con le entrate dei turisti si
evita che cada a pezzi.
Questa in particolare è
gestita dallo stesso proprietario dell’hotel dove soggiorniamo.
Fuori di qui Lola ci porta a vedere poi il palazzo del Khan dove si vedono i ruderi della parte amministrativa. Poi ci mostra una delle moschee estive: grandi ambienti aperti su un solo lato e sostenuti da colonne di legno. Sono orientate a nord in modo che il sole non ci batta mai e rimangano quindi sempre fresche. Accanto c’era la piccola porta per la moschea invernale.
Ancora madrase e quella
che fu la zecca della città.
C’è anche la sala del trono, simile a quella della prima moschea estiva, con una grande piattaforma circolare nello spiazzo aperto. Serviva per poter far mettere le yurte che i Khan potevano ancora usare nonostante non fossero più nomadi, oppure per accogliere i rappresentati di altre delegazioni di nomadi.
Saliamo infine sulla torre di guardia in cima al palazzo da dove si vede tutta la città, mura comprese. Peccato non ci sia il tempo di percorrerle.
Uscendo dal palazzo visitiamo un’altra bellissima madrasa, a seguire una grandissima moschea con 213 colonne di legno, tutte scolpite con disegni diversi tra loro.
È talmente antica che ancora 4 colonne sono originali e hanno circa 1150 anni, ce ne sono 8 che ne hanno 1000.
Entriamo anche nel
palazzo privato del Khan, quello dove viveva con le mogli e le concubine.
Ufficialmente poteva avere fino a quattro mogli.
Prima di vedere le
camere delle mogli e del Khan, Lola ci fa percorrere il corridoio segreto che
veniva usato sia dalle mogli, che dalle concubine per arrivare direttamente
alla stanza del Khan. Il corridoio serviva a proteggere chi lo percorreva,
specialmente le concubine, perché se una delle mogli vedeva una concubina
entrare nella stanza del Khan, questa sarebbe misteriosamente scomparsa subito
dopo.
Le mogli, essendo di rango elevato, avevano il bagno in camera, le concubine invece usavano un bagno in comune con accesso dal cortile.
Qualunque figlio
nascesse, che fosse delle mogli o delle concubine, veniva considerato figlio
legittimo del Khan. Questi venivano lasciati con le madri fino ai due anni, poi
mandati lontano per evitare che venissero uccisi e quindi cresciuti da un
tutore responsabile scelto dal Khan stesso.
Quando sarebbe arrivato
il momento per il Khan di scegliere il suo successore, egli lo avrebbe fatto
tra tutti i suoi figli: chi secondo lui era il migliore sarebbe diventato il prossimo
Khan.
Prima di salutare la città andiamo a vedere il mausoleo di Mahmud, un personaggio che da poeta, filosofo e lottatore, divenne il santo patrono di Khiva.
Se non che proprio
durante uno degli ultimi canti il cellulare del cantante si mette a suonare
rumorosamente e l’imam senza smettere di cantare lo cerca per spegnerlo, non
senza far trapelare una certa espressione del tipo “ma porca di quella…”
L’atmosfera religiosa
si va a far benedire e io devo uscire per non scoppiare a ridere in faccia a
Mahmud…
Facciamo un ultimo giro
tra i negozi, poi ai piedi del minareto più alto di Khiva, quindi liberi tutti
per poter mangiare qualcosa prima di rimettersi in viaggio.
Anche se breve, la
visita a Khiva è stata molto intensa e fantastica.
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