La
sveglia è fissata per le 3:50, dobbiamo fare colazione e prepararci
per le 4:30, quando Uriel ci accompagnerà alla coda per il pullman
che porta sul sito.
Alle
4:30 siamo tutti pronti nella hall dell'albergo, ma della guida non
c'è traccia. Passano i minuti e passano anche le persone davanti
all'hotel che vanno a mettersi in coda. Anche se il sito apre solo
alle 6 di mattina nessuno vuole perdere un solo minuto di Machu
Picchu, soprattutto perché oltre alla città c'è una montagna da
scalare e altri sentieri da percorrere.
Proviamo
a sollecitare la receptionist per dare la sveglia alla guida, ma
questa ci dice che lo ha già avvertito.
Alle
4:50 richiediamo una seconda sveglia e stavolta la receptionist va a
sbattere fuori dal letto la guida.
Alle
5, il Tony Poncharello delle Ande si presenta un po' scarmigliato e
immerso in abbondante fragranza di eau de borrachò, praticamente in
piena sbornia.
C'è
solo un accenno di protesta, dopodiché tutti si precipitano dietro
Tony che è uscito quasi di corsa.
Arriviamo
alla coda e sono le 5 passate. Davanti a noi ci sono molte persone,
la maggior parte delle quali ci è passata davanti mentre ammuffivamo
in hotel.
La
protesta inizia a serpeggiare tra le nostre fila, soprattutto dopo
che Tony meravigliato ci chiede "ma perché che ore sono?"
Per
non sentire troppe parolacce Tony si eclissa tornando in hotel a
prendere il suo zaino che aveva dimenticato.
Con
questo scherzo che Tony ci ha tirato, riusciremo ad entrare a Machu
Picchu solo alle 6:40. Come se non bastasse la città è immersa tra
le nuvole, non che mi dispiaccia, vedere apparire e scomparire tra le
nuvole mura, scale, case e a volte tutta la città, ha un che di
magico e mistico, un indefinito viaggio nel tempo, post Inca, ma pre
turistico. Nelle case e nelle vie della città non c'è ancora
nessuno. Dall'alto osserviamo la scena in attesa che il sipario delle
nuvole si alzi ed inizi lo spettacolo.
La
guida Uriel, soprannominato Tony fino a stamane, ribattezzato oggi
Diego Armadio per l'evidente somiglianza col Pibe de oro nel momento
più critico della sua vita, ci porta alla casa del guardiano, una
piccola costruzione che sembra faccia davvero la guardia. Purtroppo
Diego Armadio attenua la magia rivelandoci che non è originale ma
completamente ricostruita.
Lì
accanto c'è anche la roccia cerimoniale che era per le offerte
rituali alle divinità della natura, del resto questa era una zona
agricola, dal cui raccolto dipendeva la sopravvivenza della città.
Anche
se le nuvole tardano a sollevarsi, Diego Armadio inizia a parlarci di
Machu Picchu, ma capiamo subito che qualche cosa non va, sembra che
ripeta sempre le stesse cose. Cercherò di far capire il dramma che
abbiamo vissuto riportando nel modo più fedele possibile questa
prima parte di visita.
"Nel
1911, questo americano di nome Hiram Bingham, ha scoperto Machu
Picchu, o meglio ha riscoperto Machu Picchu.
Nel
1911, questo americano Hiram Bingham, lui non era un archeologo, era
un professore americano di storia con molti soldi, ha conosciuto
questa famiglia che viveva a vicino Machu Picchu e coltivava foglie
di coca.
Questo
americano Hiram Bingham aveva sentito il nome Machu Picchu dopo che
un italiano, Raimondi, era stato qui anni prima.
Questo
americano Hiram Bingham si è fatto portare qui a Machu Picchu
passando dal ponte inca, che si trova a destra.
Questo
americano Hiram Bingham, anche se non era un archeologo, questo
americano Hiram Bingham si è fatto dare permesso speciale da
presidente del Perù, pagando tanti soldi eh.
Allora
Hiram Bingham ha venuto e ha tagliato l'erba, ha cercato e ha
scoperto la città, ha scoperto il cammino Inca, alla vostra sinistra
e sale fino alla porta del sole, mentre dall'altra parte a destra va
al ponte Inca.
Cosa
ha scoperto Hiram Bingham?
Machu
Picchu. La porta del sol. Il ponte Inca, da quella parte.
Ma
dov'è l'oro?
Machu
Picchu è stata abbandonata, prima che fosse terminata. Durante la
guerra con gli spagnoli, Manco Inca fuggendo da Ollantay Tambo passò
da qui, arrivando dal ponte Inca, che si trova là.
Poi
Manco Inca ordinò di abbandonare la città e andò a Vilcabamba,
dove arrivarono gli spagnoli che distrussero tutto.
Grazie
all'abbandono della città gli spagnoli non arrivarono mai qui, non
passarono mai dal ponte Inca, che si trova a destra. Probabilmente
l'oro e altre cose preziose vennero portate via, oppure sotterrate da
qualche parte, ma non si trovarono.
Allora
questo americano Hiram Bingham trovò qualcosa che portò via in
America, lui non era archeologo ma pagando il presidente del Peru'
poté farlo.
Questo
americano Hiram Bingham disse che erano reperti trovati da altre
parti, non a Machu Picchu, ma io credo che questo americano Hiram
Bingham era un ladron.
Ora
America e Perù stanno litigando per far tornare questi reperti, ma
intanto sappiate che di là c'è il ponte Inca."
Questo
è stato il primo impatto con un luogo così incredibile e bello.
Nel
frattempo le nuvole hanno preso a sollevarsi e poco a poco anche la
lucidità di Diego Armadio è tornata, anche se ha sempre continuato
per le due ore successive a indicarci dove era il ponte Inca.
Tra
le altre cose ci viene raccontato che Machu Picchu era una specie di
università teologica, dove i giovani uomini di importanti famiglie
venivano a studiare per diventare importanti personaggi della società
e, in qualche caso diventavano anche il capo, l'Inca stesso.
Scendiamo
e visitiamo la città, passando da un arco e poi giù per i vicoli.
Tutta la città è tenuta benissimo, pulitissima e ordinatissima.
Sembra che gli Inca se ne siano andati da poco e possano tornare da
un momento all'altro.
Perfino
i corsi d'acqua sono ancora in funzione, così come dovevano
essercene in ogni città Inca.
Non
era una grande metropoli, era molto piccola, in parte a causa della
punto in cui si trovava, in cima ad una montagna, ma forse anche
perché quando arrivarono gli spagnoli in Perù e Manco Inca ordinò
che venisse abbandonata, era ancora in costruzione.
Camminando
tra queste mura, a volte integre, a volte meno, non si ha quasi la
sensazione di essere in un posto così impervio, ma basta sollevare
lo sguardo e vedere attraverso le finestre, oppure tra una parete e
l'altra, per notare il panorama della incredibile montagna di fronte,
che sorge dall'altra del fiume Urabamba.
Probabilmente
la fortuna di queste rovine, che secondo me chiamare in questo modo
non rende giustizia, è proprio il luogo dove è stata costruita che
la rende un meraviglia unica al mondo.
La
cava da cui venivano prese le pietre per costruire le case e le
terrazze, era proprio in città, vicino a dove si trova la pietra
astronomica, nel cuore della città. Scendendo un poco si incontra la
piazza verde e un'altra collinetta su cui stanno delle abitazioni.
Nella
visita incontriamo i templi del sole e dell'acqua, ma anche la casa
di una principessa, contraddistinta dalla qualità dell'incastro dei
muri. Poi entriamo anche nella casa dell'Inca.
L'imperatore
infatti possedeva molte case, probabilmente almeno una in ogni città,
questo perché lui non viveva in una sola città, ma girava in
continuazione per tutto l'impero, percorrendo la strade che si
diramavano da Cuzco. Un po' come Roma a cui tutte le strade
portavano.
Pensando
a Roma mi viene da fare una semplice riflessione, anche se forse è
un po' forzata. Gli Inca erano all'inizio del loro impero, in un
momento di grande espansione e arricchimento culturale. È un
paragone troppo forzato ma forse sarebbe successa la stessa cosa se
un esercito avanzato al livello dei conquistadores fosse sbarcato a
Roma ai tempi dell'imperatore Augusto?
Sono
tentato di pensare che i romani non si sarebbero lasciati
sconfiggere, anzi, probabilmente li avrebbero ricacciati dall'altra
parte del mare. Questa idea però potrebbe nascere dal fatto che oggi
sappiamo molto della storia romana. Degli Inca invece è stato quasi
tutto cancellato e distrutto dagli spagnoli, che grazie alle loro
armi e all'insolito aspetto che agli Inca li fece sembrare degli dei,
poterono fare quello che volevano.
Ovviamente
tra romani e spagnoli non sapremo mai chi avrebbe vinto, ma mi
sarebbe piaciuto che un popolo come loro, o gli Inca stessi, fosse
riuscito a rispedire a casa i conquistadores. Del resto una delle
fobie delle civiltà moderne di oggi è quella di essere invasi dagli
alieni e fare la fine di tutti i conquistati.
Quando
salutiamo Diego Armadio, assicurandogli che stiamo andando al ponte
Inca, ci dirigiamo invece verso il cancello che porta al Serro Machu
Picchu, l'altra cima che domina la città.
Dato
che per la più vicina e bassa cima, lo Huayna Pichu, i duecento
posti erano esauriti, abbiamo ripiegato su questa montagna un po' più
impegnativa.
Il
limite di tempo per passare dai cancelli sono le dieci del mattino,
noi ci mettiamo in coda alle 9:45. La fila però scorre ad una
velocità lombricale, sembra infatti che per ogni persona venga
richiesta la registrazione e il controllo, un'altra volta, del
passaporto.
Passiamo
il cancello alle 10:15 e così inizia la salita che si rivela subito
al quanto calorosa. Tolto tutto l'equipaggiamento tipo pile e maglie
tecniche, sistemo lo zaino e inizio la salita, con calma, ma in modo
costante. Poco alla volta recupero quasi tutti, Cassandra compresa,
che però come ben so tiene molto bene il passo.
Dobbiamo
passare dai 2200 metri di Machu Picchu ai 3000 e rotti della vetta,
avanzando su un selciato fatto di pietroni e gradini per la maggior
parte dei casi troppo piccoli perfino per i piedi di un bimbo.
Quando
sono oltre la metà del percorso emergiamo dalla foresta e si può
vedere che il panorama è spettacolare: le montagne che circondano
Machu Picchu e la città stessa che risalta come un gioiello grigio e
verde.
Ci
metterò un ora per raggiungere la vetta, ma poco prima, nell'ultimo
tratto di foresta, attraversiamo un punto che sembra uscito da una
favola: il sentiero si riempie di una moltitudine di farfalle dalle
dimensione e colori strabilianti. E' solo un battito di ciglia, come
un sogno, uscendo nuovamente al sole ci si risveglia scoprendo di
essere arrivati alla cima, dove assieme ad Andrea trovo ad aspettarci
Massimo e Matteo.
Passano
pochi minuti ed eccola, Cassandra spunta come se niente fosse da
dietro l'angolo mentre impreca a Pacha Rat e si domanda chi Pacha
glielo abbia fatto fare.
Giusto
il tempo di mangiare un paio di panini, qualche foto e si torna a
scendere sulle ripide scale.
Ci
metteremo un po', almeno quarantacinque minuti, poi siamo di nuovo al
cancello. A quel punto io devo andare in bagno, così mi tocca uscire
da Machu Picchu perché nel sito non esiste il bagno. Ci diamo
appuntamento con i due Andrea dopo mezz'ora, giusto il tempo di
scendere la montagna e risalirla fino a lì, quindi si va a vedere
'sto cavolo di ponte Inca.
Al
mio ritorno tentiamo di raggiungere il fantomatico ponte, ma
incontriamo Massimo che ci avvisa, citando Fatozzi:
il
ponte Inca è una cagata pazzesca!
Ritorniamo
indietro e stavolta andiamo alla Porta del Sole, quindi in un
quaranta minuti siamo al passo utilizzato da chi fa a piedi il vero
camino real e che arriva dall'altra valle.
Ci
riposiamo un pochino ed iniziamo la lunga discesa fino a casa,
inframezzata da un'altra breve sosta per immagazzinare l'energia di
Machu Picchu in vista del ritorno.
Torneremo
ad Aguas Caliente in un ora e mezza di lunga discesa e rientreremo in
hotel proprio dodici ore dopo l'inizio della visita a Machu Picchu.
In tutto questo tempo ci siamo fermati per brevissime pause e la
stanchezza si fa sentire. Perfino Cassandra ha dolori alle gambe. Ma
la giornata non è finita: recuperato lo zaino si torna in stazione
per riprendere il treno che ci riporterà ad Ollantay Tambo. In treno
cerco di dormire ma il viaggio sembra durare troppo poco per
riuscirci. Stremati e doloranti ci trasciniamo verso l'alberghetto,
lasciamo i bagagli e usciamo in cerca di un ristorante. Cassandra
inizia subito a tirarmi la giacchetta, sente strane vibrazioni
emanare da questo luogo e quando entriamo nel locale scelto dal
gruppo anche io sento le stesse cose. Onde evitare un'altra serata da
giochi senza frontiere salutiamo tutti e ce ne torniamo verso la
stanza, recuperando lungo la strada pane, palta e acqua, che
arricchiranno le nostre scorte ormai agli sgoccioli.
Sarà
la giornata vissuta in un luogo così particolare, ricco di energia
spirituale, ma la serata in hotel è stata un po' movimentata.
Io
non sono solito a credere a certe cose, ma in quella stanza sono
successe diverse cose strane: oggetti che cadevano, venivano rimessi
a posto e poi ricadevano. La doccia che una volta chiusa, si
riaccendeva da sola, più volte.
Forse
siamo rimasti così tanto a Machu Pichu che abbiamo assorbito un
pizzico di energia spirituale di troppo? Non lo so, però è strano
quando appoggi le auricolari sul comodino, in modo che non si possano
muovere, poi spegni le luci per dormire e dopo cinque minuti senti le
auricolari cadere.
Per
lo meno sono riuscito a dormire. Cassandra invece, essendo profetessa
e sensibile a certe cose, un po' meno.