mercoledì 27 luglio 2016

Ventiduesimo giorno - una giornata di 36 ore - considerazioni finali

E' il giorno dell'Inti Raimi, la festa del sole. In televisione c'è la diretta dalla piazza di Cuzco dove potremmo recarci a piedi in meno di due minuti, ma noi dobbiamo partire. Mi rimane proprio qui e non va giù. Ventidue giorni di viaggio e l'organizzazione, dopo tutti i rimaneggiamenti del budget e qualche sola sparsa, ci fa scontare pure questa.
Ci tocca salutare il Perù nel suo giorno più bello e gioioso, dove tutti ballano e cantano, anzi, è già da diversi giorni che ad ogni angolo di strada c'è un gruppetto di gente che festeggia e a volte sembra stia provando una coreografia.

Vedendo tutta questa gente che festeggia non si può non pensare al fatto che questa sia una festa pagana. E' straordinario vedere come sia possibile trovare un popolo così allegro e festante che riesce a far convivere senza problemi l'antica religione Inca con il cattolicesimo. Dovrebbero essere presi d'esempio da tutti, specialmente in questo particolare momento storico. Potrebbe sembrare strano ma nonostante gli spagnoli li abbiano devastati tentando un genocidio, nessuno, guide comprese, ha mai parlato male dei conquistadores.
Questo dell'Inti Raimi potrebbe essere un buon motivo per tornare a Cuzco, dove ci siamo trovati davvero bene.
Mi piacerebbe tornare anche in Bolivia per terminare di vedere tutto il resto dei Salar a cui abbiamo dovuto rinunciare. Prendere quei due pullman notturni ci ha fatto sprecare malamente un giorno o due. La prossima volta che ci verremo però lo faremo con uno zaino più capiente, corredato da un bel sacco a pelo polare.

Sarebbe bello poter vedere tra qualche anno questi due paesi. Ora che ci siamo stati ho scoperto che mi piacerebbe approfondire la conoscenza della lingua spagnola, che potrebbe venire utile in altre mille occasioni essendo la lingua più parlata al mondo.
Partiamo oggi, arriviamo domani. Il volo da Cuzco decolla a mezzogiorno, quindi dopo uno scalo a Lima ripartiremo per Madrid, facendo la nottata in volo.

Anche stavolta ceniamo con l'ottimo menù vegetariano e, complice la stanchezza, oppure il film lento e un po' noioso che scelgo, riesco a dormire sei o sette ore. Al mio risveglio manca poco all'atterraggio, non finisco nemmeno quel mattone di film che avevo iniziato e già siamo atterrati.
Senza indugiare troppo dobbiamo salutare gli amici diretti a Milano. Anche se sono contento è strano non essere tra loro.
In meno di un ora siamo già sull'aereo che ci riporterà a Roma.

E' stata dura ma ne è valsa la pena, anche considerando tutti gli intoppi e gli imprevisti, un viaggio così bello e pieno mi ha stancato fisicamente, mi ha provato a causa dell'altura, ma mi ha ricaricato di energia e riempito di ricordi meravigliosi.
Hasta luego Perù, hasta pronto Bolivia, nos reuniremos de nuevo algún día.



martedì 26 luglio 2016

Ventunesimo giorno - Cuzco, giornata libera


Dopo tanto girovagare, l'ultima giornata è libera da impegni prefissati, ognuno decide di fare un po' come gli pare, chi si riposa, chi fa acquisti. Io e Cassandra girovaghiamo ancora un po'. Partiamo subito con il museo di storia contemporanea, non male anzi, meglio di altri che abbiamo visto. Passiamo poi a vedere la cattedrale, per la quale ci vuole un biglietto cumulativo che comprende anche il palazzo Arcivescovile e due chiese. La cattedrale non è male, diciamo che tra le chiese peruviane è una delle migliori che si possano visitare.
Ci spostiamo poi nel palazzo arcivescovile che sta all'inizio della via della pietra dai dodici angoli. Questa pietra non è altro che parte del muro Inca su cui è stato costruito il palazzo. Qui infatti visse il quinto Inca.
Il palazzo arcivescovile da parte mia è stato una mezza delusione, forse perché mi illudevo di poter vedere qualcosa di più Inca al suo interno, mentre è una struttura in tutto e per tutto coloniale, anche se ben conservata. Se si vuole vedere cosa rimane del precedente palazzo basta girarvi attorno e vedere le mura esterne che ancora sorreggono tutta la struttura in modo ostinatamente armonioso.

Proseguiamo verso l'alto, raggiungiamo così la chiesa di San Blas, che potevamo pure risparmiarcela perché non mi sembra abbia nulla che valga la pena di essere vista. Da lì ci inoltriamo in una serie di vicoli stretti e caratteristici che ci conducono fino alla più alta San Cristobal. Anche qui non c'è nulla di nota, se non un bel panorama che domina la piazza principale della città in cui sono iniziate le sfilate, oggi infatti è la vigilia della festa del sole, la più importante dell'anno qui in Perù.
Purtroppo noi domani ce la perdiamo perché partiremo per tornare a casa. Anche questa è una bella pecca dell'organizzazione del viaggio, sarebbe bastato un giorno in più per includere questo importantissimo e unico evento.

Detto questo finalmente siamo liberi anche noi, liberi di girare e fare acquisti, assaggiare e assaporare i frutti di Cuzco. A tal proposito il mio stomaco mi dice che è ora di pranzo, così ci rechiamo al mercato coperto di San Pedro.
Qui troviamo Andrea il Sultano ed Enza che hanno appena finito di pranzare, così dietro loro indicazioni ci sediamo sulla panchetta da loro occupata ed ordiniamo due arroz, con lenticchie e huevos.
Cassandra non apprezzerà il piatto, che finirò volentieri io, poi ci addentriamo nel reparto choclo. Acquistiamo quattro grosse pannocchie da portare a casa, due delle quali mai viste: oltre alle tipiche bianche, anche quelle rosse e bianche e nere e bianche.

Poi infiliamo nello zaino anche mezzo chilo di quinoa che sinceramente pensavamo di trovare a prezzi più abbordabili. Sembra che da quando sia sbarcata anche in Europa, il costo dell'importazione abbia fatto lievitare anche il prezzo in Perù, dove fino a due o tre anni fa si poteva acquistare un chilo di quinoa per tre sol, praticamente un euro.
Dietro suggerimento di Enza e Andrea, azzardiamo l'acquisto della Chirimoya. E' un frutto verde con strane venature scure che lo fanno sembrare una bomba a mano sformata.
Nonostante l'aspetto poco invitante una volta aperta la polpa bianca ha un gusto divino, sembra un misto tra fragola e banana, forse con qualche accenno di pera o mela. Una squisitezza davvero.
Salutiamo il mercato e ci dirigiamo verso il centro, mentre Andrea si fa ipnotizzare dai Churros, poi, giunti nella via della pietra dai dodici angoli, io e Cassandra ci infiliamo in un negozio di souvenir e perdiamo gli altri.
Ne usciremo solo più tardi, con un borsone pieno di cappelli e tovaglie, non prima però di essere stato vestito ed immortalato come un vero Inca.

In serata si va a mangiare per l'ultima volta tutti assieme da Heydi, un ristorante peruviano, gestito da un polacco.
Il menù l'ha deciso il proprietario, un autoritario capo sala che redarguisce ad ogni piccolo errore il povero e giovane cameriere, e pare non ci sia verso di cambiarlo. Ci sediamo a tavola e aspettiamo di vedere cosa arriva.
Siamo affamati e l'antipasto non ci fa ben sperare: un pomodorino ciliegino tagliato in due, una rondella di pane e un'oliva snocciolata. Per fortuna c'è il primo, la sopa di zucca.
Cassandra continua nella sua campagna alimentare contro la sopa, ma non protesta, anche perché intimiditi dall'ennesima scena di rimprovero del povero cameriere, che stavolta ha sbagliato a portare il pane. Il proprietario infastidito lo prende per l'orecchio e lo porta in cucina senza dire una parola.
Attendiamo fiduciosi il secondo che gracias a Pacha Mama può mangiare anche Cassandra: Quinoa, verdure e peperone ripieno di verdure, tutto molto buono e abbondante.
Chiudiamo serenamente il capitolo cene di Cuzco, mettendo una croce sopra allo spiacevole episodio del menù vegetariano con carne.

lunedì 25 luglio 2016

Ventesimo giorno - Marasal - Chinchero – Cuzco


Dopo la sbornia di Machu Picchu, oggi ci aspetta l'ultimo giorno in compagnia di Tony Uriel Diego Armadio. Ieri sera pare ci sia stata una discussione se lasciargli la consueta mancia, oppure no. Io e Cassandra non c'eravamo e dopo il trattamento pre Machu Picchu avremmo voluto farla saltare. Alla fine si è deciso per dargliene una più contenuta.
La prima tappa di oggi è la salina di Marsal, dove in fondo ad una piccola valle già gli Inca raccoglievano il sale che grazie alle sue proprietà conservative veniva considerato preziosissimo. Guarda caso questa è un'altra similitudine con l'impero romano che iniziò a pagare i suoi soldati con sacchetti di sale, da qui il termine salario.

Queste saline risalgono a 250 milioni di anni fa, in concomitanza con la formazione della cordigliera. In queste vasche calde per l'evaporazione, che gli Inca fecero con una profondità di circa trenta, quaranta centimetri, si possono vedere tre diversi colori: il bianco classico, poi c'è quello un po' più scuro e rosato che è quella da cucina e quello ancora più scuro utilizzato medicalmente. Ogni vasca produce tra i 15 ai 20 sacchi da cinquanta chili l'uno.
Abbagliati dal sole riflesso da questo splendore, ci perdiamo lungo i canali di acqua che scorrono in mezzo a tutto questo caleidoscopio di vasche.

Ci muoviamo prima che il sole ci renda ciechi e andiamo a Moray, dove gli Inca fecero sperimentazione ed ibridazione agricola di tutte le specie di alimenti vegetali che si potevano trovare in questa zona.
Su queste grandi terrazze concentriche vennero creati 385 tipi di mais, 4 tipi di quinoa e ben 850 qualità di patate. Praticamente erano degli ingegneri agrari.

La guida ci spiega che nella valle sacra si riuscirono a coltivare tutte queste varietà perché vi sono ventuno micro climi differenti, generati dal fatto che ogni cento metri di altezza c'è una differenza di sette gradi di temperatura.
E' facile intuire che la base fondamentale dell'economia Inca fosse l'agricoltura, attorno alla quale girava tutto l'impero.

L'ultima tappa prima di salutare Diego Armadio, che sembra essersi ripreso dopo la defiance di ieri, è Chinchero. Qui veniamo portati in una bottega dove una simpatica signora ci mostra come si pulisce la lana grezza, quindi come la colorano utilizzando prodotti naturali, in particolare il rosso che è ricavato da una parassita, la cocciniglia.
Dopo la dimostrazione si esce per andare a pranzo. Io e Cassandra adocchiamo una sciura con pentolone fumante e andiamo a prendere il choclo, gli altri si buttano dentro un bar.
Dopo pranzo visitiamo ciò che resta dell'antica città Inca di Chinchero, i grandi terrazzamenti su cui si affacciavano nella parte più alta i templi del sole e dell'acqua, La parte intermedia era invece utilizzata per la lavorazione industriale, mentre la parte bassa della città era dedicata all'agricoltura.
Nella città fondata da Pachakutec, prima di rifugiarsi ad Ollantay Tambo, passò anche Manco Inca durante la guerra agli spagnoli.

Oggi nel grande spiazzo ci sono alcune donne che hanno steso una miriade di patate ad asciugare al sole, mentre in un angolo degli archeologi stanno scavando e sembra che abbiano trovato qualcosa.
Dopo la vittoria spagnola tutta la città venne distrutta e ciò che rimase in piedi fu seppellito per cancellare le tracce della cultura Inca. Ovviamente non tutto venne cancellato e molte sono le case, chiesa compresa, su cui vennero costruite le abitazioni spagnole.
Come a Saqsaywaman, anche su questo grande spiazzo verrà celebrata la festa del sole, l'Inti Raimi. Guardandomi attorno rimango affascinato dal panorama, anche se non impervio e meraviglioso come quello di Machu Picchu, mi piace parecchio anche qui. Devo dire che gli Inca sapevano proprio come scegliersi i luoghi dove vivere.

Visitiamo anche la chiesa, su cui Uriel si appassiona nella spiegazione, ma forse ci mette troppo impegno e così finisce per iniziare a ripetere le stesse cose e forse anche a tradurne male altre. Fatto sta che quasi nessuno, io primo fra tutti, capisce qualcosa oltre al fatto che, forse, qui c'era un tempio dedicato alla “Pacha Mama”.
Usciamo e in quaranta minuti siamo a Cuzco, dove finalmente ci riposiamo un po', godendoci la serata mentre passeggiamo nei vicoli e nei mercati, in cerca di qualcosa di buono e vegetariano da mangiare spensieratamente.
Domani è il nostro ultimo giorno sulla terra Inca, un po' mi spiace, ma sono anche contento di tornare a casa per far rivivere i ricordi di questi giorni così intensi, belli e anche strani.

domenica 24 luglio 2016

Diciannovesimo giorno – Machu Pichu – Ollantay Tambo


La sveglia è fissata per le 3:50, dobbiamo fare colazione e prepararci per le 4:30, quando Uriel ci accompagnerà alla coda per il pullman che porta sul sito.
Alle 4:30 siamo tutti pronti nella hall dell'albergo, ma della guida non c'è traccia. Passano i minuti e passano anche le persone davanti all'hotel che vanno a mettersi in coda. Anche se il sito apre solo alle 6 di mattina nessuno vuole perdere un solo minuto di Machu Picchu, soprattutto perché oltre alla città c'è una montagna da scalare e altri sentieri da percorrere.
Proviamo a sollecitare la receptionist per dare la sveglia alla guida, ma questa ci dice che lo ha già avvertito. 
Alle 4:50 richiediamo una seconda sveglia e stavolta la receptionist va a sbattere fuori dal letto la guida. 
Alle 5, il Tony Poncharello delle Ande si presenta un po' scarmigliato e immerso in abbondante fragranza di eau de borrachò, praticamente in piena sbornia.
C'è solo un accenno di protesta, dopodiché tutti si precipitano dietro Tony che è uscito quasi di corsa.
Arriviamo alla coda e sono le 5 passate. Davanti a noi ci sono molte persone, la maggior parte delle quali ci è passata davanti mentre ammuffivamo in hotel.
La protesta inizia a serpeggiare tra le nostre fila, soprattutto dopo che Tony meravigliato ci chiede "ma perché che ore sono?"
Per non sentire troppe parolacce Tony si eclissa tornando in hotel a prendere il suo zaino che aveva dimenticato.

Con questo scherzo che Tony ci ha tirato, riusciremo ad entrare a Machu Picchu solo alle 6:40. Come se non bastasse la città è immersa tra le nuvole, non che mi dispiaccia, vedere apparire e scomparire tra le nuvole mura, scale, case e a volte tutta la città, ha un che di magico e mistico, un indefinito viaggio nel tempo, post Inca, ma pre turistico. Nelle case e nelle vie della città non c'è ancora nessuno. Dall'alto osserviamo la scena in attesa che il sipario delle nuvole si alzi ed inizi lo spettacolo. 
 
La guida Uriel, soprannominato Tony fino a stamane, ribattezzato oggi Diego Armadio per l'evidente somiglianza col Pibe de oro nel momento più critico della sua vita, ci porta alla casa del guardiano, una piccola costruzione che sembra faccia davvero la guardia. Purtroppo Diego Armadio attenua la magia rivelandoci che non è originale ma completamente ricostruita.
Lì accanto c'è anche la roccia cerimoniale che era per le offerte rituali alle divinità della natura, del resto questa era una zona agricola, dal cui raccolto dipendeva la sopravvivenza della città. 
 
Anche se le nuvole tardano a sollevarsi, Diego Armadio inizia a parlarci di Machu Picchu, ma capiamo subito che qualche cosa non va, sembra che ripeta sempre le stesse cose. Cercherò di far capire il dramma che abbiamo vissuto riportando nel modo più fedele possibile questa prima parte di visita.
"Nel 1911, questo americano di nome Hiram Bingham, ha scoperto Machu Picchu, o meglio ha riscoperto Machu Picchu.
Nel 1911, questo americano Hiram Bingham, lui non era un archeologo, era un professore americano di storia con molti soldi, ha conosciuto questa famiglia che viveva a vicino Machu Picchu e coltivava foglie di coca.
Questo americano Hiram Bingham aveva sentito il nome Machu Picchu dopo che un italiano, Raimondi, era stato qui anni prima.
Questo americano Hiram Bingham si è fatto portare qui a Machu Picchu passando dal ponte inca, che si trova a destra.
Questo americano Hiram Bingham, anche se non era un archeologo, questo americano Hiram Bingham si è fatto dare permesso speciale da presidente del Perù, pagando tanti soldi eh.
Allora Hiram Bingham ha venuto e ha tagliato l'erba, ha cercato e ha scoperto la città, ha scoperto il cammino Inca, alla vostra sinistra e sale fino alla porta del sole, mentre dall'altra parte a destra va al ponte Inca.
Cosa ha scoperto Hiram Bingham?
Machu Picchu. La porta del sol. Il ponte Inca, da quella parte.
Ma dov'è l'oro?
Machu Picchu è stata abbandonata, prima che fosse terminata. Durante la guerra con gli spagnoli, Manco Inca fuggendo da Ollantay Tambo passò da qui, arrivando dal ponte Inca, che si trova là.
Poi Manco Inca ordinò di abbandonare la città e andò a Vilcabamba, dove arrivarono gli spagnoli che distrussero tutto.
Grazie all'abbandono della città gli spagnoli non arrivarono mai qui, non passarono mai dal ponte Inca, che si trova a destra. Probabilmente l'oro e altre cose preziose vennero portate via, oppure sotterrate da qualche parte, ma non si trovarono.
Allora questo americano Hiram Bingham trovò qualcosa che portò via in America, lui non era archeologo ma pagando il presidente del Peru' poté farlo.
Questo americano Hiram Bingham disse che erano reperti trovati da altre parti, non a Machu Picchu, ma io credo che questo americano Hiram Bingham era un ladron.
Ora America e Perù stanno litigando per far tornare questi reperti, ma intanto sappiate che di là c'è il ponte Inca."
Questo è stato il primo impatto con un luogo così incredibile e bello.

Nel frattempo le nuvole hanno preso a sollevarsi e poco a poco anche la lucidità di Diego Armadio è tornata, anche se ha sempre continuato per le due ore successive a indicarci dove era il ponte Inca.
Tra le altre cose ci viene raccontato che Machu Picchu era una specie di università teologica, dove i giovani uomini di importanti famiglie venivano a studiare per diventare importanti personaggi della società e, in qualche caso diventavano anche il capo, l'Inca stesso.

Scendiamo e visitiamo la città, passando da un arco e poi giù per i vicoli. Tutta la città è tenuta benissimo, pulitissima e ordinatissima. Sembra che gli Inca se ne siano andati da poco e possano tornare da un momento all'altro.
Perfino i corsi d'acqua sono ancora in funzione, così come dovevano essercene in ogni città Inca.
Non era una grande metropoli, era molto piccola, in parte a causa della punto in cui si trovava, in cima ad una montagna, ma forse anche perché quando arrivarono gli spagnoli in Perù e Manco Inca ordinò che venisse abbandonata, era ancora in costruzione.
Camminando tra queste mura, a volte integre, a volte meno, non si ha quasi la sensazione di essere in un posto così impervio, ma basta sollevare lo sguardo e vedere attraverso le finestre, oppure tra una parete e l'altra, per notare il panorama della incredibile montagna di fronte, che sorge dall'altra del fiume Urabamba.
Probabilmente la fortuna di queste rovine, che secondo me chiamare in questo modo non rende giustizia, è proprio il luogo dove è stata costruita che la rende un meraviglia unica al mondo.

La cava da cui venivano prese le pietre per costruire le case e le terrazze, era proprio in città, vicino a dove si trova la pietra astronomica, nel cuore della città. Scendendo un poco si incontra la piazza verde e un'altra collinetta su cui stanno delle abitazioni.
Nella visita incontriamo i templi del sole e dell'acqua, ma anche la casa di una principessa, contraddistinta dalla qualità dell'incastro dei muri. Poi entriamo anche nella casa dell'Inca.
L'imperatore infatti possedeva molte case, probabilmente almeno una in ogni città, questo perché lui non viveva in una sola città, ma girava in continuazione per tutto l'impero, percorrendo la strade che si diramavano da Cuzco. Un po' come Roma a cui tutte le strade portavano.


Pensando a Roma mi viene da fare una semplice riflessione, anche se forse è un po' forzata. Gli Inca erano all'inizio del loro impero, in un momento di grande espansione e arricchimento culturale. È un paragone troppo forzato ma forse sarebbe successa la stessa cosa se un esercito avanzato al livello dei conquistadores fosse sbarcato a Roma ai tempi dell'imperatore Augusto?
Sono tentato di pensare che i romani non si sarebbero lasciati sconfiggere, anzi, probabilmente li avrebbero ricacciati dall'altra parte del mare. Questa idea però potrebbe nascere dal fatto che oggi sappiamo molto della storia romana. Degli Inca invece è stato quasi tutto cancellato e distrutto dagli spagnoli, che grazie alle loro armi e all'insolito aspetto che agli Inca li fece sembrare degli dei, poterono fare quello che volevano. 
 
Ovviamente tra romani e spagnoli non sapremo mai chi avrebbe vinto, ma mi sarebbe piaciuto che un popolo come loro, o gli Inca stessi, fosse riuscito a rispedire a casa i conquistadores. Del resto una delle fobie delle civiltà moderne di oggi è quella di essere invasi dagli alieni e fare la fine di tutti i conquistati.

Quando salutiamo Diego Armadio, assicurandogli che stiamo andando al ponte Inca, ci dirigiamo invece verso il cancello che porta al Serro Machu Picchu, l'altra cima che domina la città.
Dato che per la più vicina e bassa cima, lo Huayna Pichu, i duecento posti erano esauriti, abbiamo ripiegato su questa montagna un po' più impegnativa.
Il limite di tempo per passare dai cancelli sono le dieci del mattino, noi ci mettiamo in coda alle 9:45. La fila però scorre ad una velocità lombricale, sembra infatti che per ogni persona venga richiesta la registrazione e il controllo, un'altra volta, del passaporto.
Passiamo il cancello alle 10:15 e così inizia la salita che si rivela subito al quanto calorosa. Tolto tutto l'equipaggiamento tipo pile e maglie tecniche, sistemo lo zaino e inizio la salita, con calma, ma in modo costante. Poco alla volta recupero quasi tutti, Cassandra compresa, che però come ben so tiene molto bene il passo.
Dobbiamo passare dai 2200 metri di Machu Picchu ai 3000 e rotti della vetta, avanzando su un selciato fatto di pietroni e gradini per la maggior parte dei casi troppo piccoli perfino per i piedi di un bimbo.
Quando sono oltre la metà del percorso emergiamo dalla foresta e si può vedere che il panorama è spettacolare: le montagne che circondano Machu Picchu e la città stessa che risalta come un gioiello grigio e verde.
Ci metterò un ora per raggiungere la vetta, ma poco prima, nell'ultimo tratto di foresta, attraversiamo un punto che sembra uscito da una favola: il sentiero si riempie di una moltitudine di farfalle dalle dimensione e colori strabilianti. E' solo un battito di ciglia, come un sogno, uscendo nuovamente al sole ci si risveglia scoprendo di essere arrivati alla cima, dove assieme ad Andrea trovo ad aspettarci Massimo e Matteo.

Passano pochi minuti ed eccola, Cassandra spunta come se niente fosse da dietro l'angolo mentre impreca a Pacha Rat e si domanda chi Pacha glielo abbia fatto fare.
Giusto il tempo di mangiare un paio di panini, qualche foto e si torna a scendere sulle ripide scale.

Ci metteremo un po', almeno quarantacinque minuti, poi siamo di nuovo al cancello. A quel punto io devo andare in bagno, così mi tocca uscire da Machu Picchu perché nel sito non esiste il bagno. Ci diamo appuntamento con i due Andrea dopo mezz'ora, giusto il tempo di scendere la montagna e risalirla fino a lì, quindi si va a vedere 'sto cavolo di ponte Inca.
Al mio ritorno tentiamo di raggiungere il fantomatico ponte, ma incontriamo Massimo che ci avvisa, citando Fatozzi:
il ponte Inca è una cagata pazzesca!
Ritorniamo indietro e stavolta andiamo alla Porta del Sole, quindi in un quaranta minuti siamo al passo utilizzato da chi fa a piedi il vero camino real e che arriva dall'altra valle.
Ci riposiamo un pochino ed iniziamo la lunga discesa fino a casa, inframezzata da un'altra breve sosta per immagazzinare l'energia di Machu Picchu in vista del ritorno.

Torneremo ad Aguas Caliente in un ora e mezza di lunga discesa e rientreremo in hotel proprio dodici ore dopo l'inizio della visita a Machu Picchu. In tutto questo tempo ci siamo fermati per brevissime pause e la stanchezza si fa sentire. Perfino Cassandra ha dolori alle gambe. Ma la giornata non è finita: recuperato lo zaino si torna in stazione per riprendere il treno che ci riporterà ad Ollantay Tambo. In treno cerco di dormire ma il viaggio sembra durare troppo poco per riuscirci. Stremati e doloranti ci trasciniamo verso l'alberghetto, lasciamo i bagagli e usciamo in cerca di un ristorante. Cassandra inizia subito a tirarmi la giacchetta, sente strane vibrazioni emanare da questo luogo e quando entriamo nel locale scelto dal gruppo anche io sento le stesse cose. Onde evitare un'altra serata da giochi senza frontiere salutiamo tutti e ce ne torniamo verso la stanza, recuperando lungo la strada pane, palta e acqua, che arricchiranno le nostre scorte ormai agli sgoccioli.
Sarà la giornata vissuta in un luogo così particolare, ricco di energia spirituale, ma la serata in hotel è stata un po' movimentata.
Io non sono solito a credere a certe cose, ma in quella stanza sono successe diverse cose strane: oggetti che cadevano, venivano rimessi a posto e poi ricadevano. La doccia che una volta chiusa, si riaccendeva da sola, più volte.
Forse siamo rimasti così tanto a Machu Pichu che abbiamo assorbito un pizzico di energia spirituale di troppo? Non lo so, però è strano quando appoggi le auricolari sul comodino, in modo che non si possano muovere, poi spegni le luci per dormire e dopo cinque minuti senti le auricolari cadere.
Per lo meno sono riuscito a dormire. Cassandra invece, essendo profetessa e sensibile a certe cose, un po' meno.

sabato 23 luglio 2016

Diciottesimo giorno - Pisac - Ollantay Tambo – Aguas Caliente


Questa mattina ci inoltriamo nella valle sacra, che da Cuzco ci porterà fino a Machu Picchu. La prima tappa è Pisac.
Questo sito Inca nacque ben prima della civiltà che conquistò tutto il Perù, parte dell'Equador e del Cile. Pare che i primi a insediarvisi furono uomini della cultura Wari.
Le terrazze di coltivazione, restaurate di recente, sono circolari, seguono la linea della montagna e sono state fatte in modo da poter contenere il terreno su cui crescevano le coltivazioni. Le terrazze Inca venivano fondamentalmente costruite per due motivi: coltivazione o estetica.
Nella valle sacra, grazie ai moltissimi microclimi che ci sono a seconda dell'altezza, si potevano coltivare moltissime cose come le tante qualità di mais, quinoa, fave, piselli, patate e molto altro.

Saliamo ad esplorare le abitazioni degli Inca che vissero qui e ci perdiamo tra scale, corridoi, case e terrazzini privati. Situato così in alto fa intendere che città come questa e Machu Picchu non erano delle eccezioni. Pisaq è molto bella, ma chissà Machu Picchu che spettacolo.
Poi dopo circa mezz'ora ce ne andiamo verso il prossimo sito, non prima di essere passati attraverso l'esercito di venditori, tra i quali scorgo finalmente il choclo bollito.
A Quattro Sol l'una prendo due belle pannocchie giganti di Paracay e scendiamo a valle, verso Ollantay Tambo.

Buonissime le pannocchie, sono piaciute anche a Cassandra, per cui sono buone davvero.
Dopo la pausa pranzo entriamo nel sito vero e proprio, quella della città del vento.
Nata con la cultura Wari, tra il settecento e l'ottocento d.C,, pare fosse una fortezza che venne usata anche durante la guerra contro gli spagnoli.
Oggi viene definita la città Inca vivente, perché anche se gli spagnoli l'hanno conquistata e vi hanno costruito sopra, la struttura è rimasta pressoché identica. Ci sono ancora tutti i corsi d'acqua che gli Inca fecero e le rovine delle terrazze e dei templi sopra di essere sono molto belle.
Il nome della città deriva da un generale Inca, Ollanta, che visse ai tempi di Pachakutec, l'Inca che espanse al massimo il territorio dell'impero.

Salendo sulle scalinate si arriva a ciò che resta del tempio, qui si possono vedere come gli Inca costruivano e con che precisione levigavano le pietre.
Questo tempio non solo fu distrutto dagli spagnoli, ma prima ancora non fu nemmeno finito perché non lo era quando scoppiò la guerra.
Sulla montagna di fronte si possono vedere delle strane strutture che inizialmente vennero definite come prigioni, ma che in realtà si capito essere dei magazzini per il cibo, in modo si potesse conservare in previsione di periodi di scarsi raccolti.

La storia dice che Manco Inca, combattendo con gli spagnoli, si rifugiò qui per cercare di riorganizzare un esercito dopo la sconfitta di Cuzco, ma dovette fuggire anche da qui quando i nemici lo sorpresero non ancora pronto. Sembra che nella fuga passò anche dalla vicina Machu Picchu.
Con la guida Tony Poncharello visitiamo il tempio del sole, poi passiamo sull'altro versante della montagna dove c'erano altri magazzini, quindi scendiamo a valle per vedere il tempio dell'acqua.
Uscendo dal sito siamo tutti un po' eccitati perché stiamo per andare a prendere il treno che ci porterà ad Aguas Caliente.
Salutiamo Tony-Uriel, che ci raccomanda di non bere questa sera perché domani sarà una dura giornata, e saliamo sul trenino panoramico. Carino, con la sua andatura da crociera che si insinua nella valle sacra seguendo il corso sinuoso dell'Urabamba. L'unica nota negativa è il prezzo davvero esorbitante per un'ora e mezza di treno d'epoca: cento dodici dollari tra andata e ritorno. Hai capito 'sti peruviani che dritti?

Quando scendiamo ad Aguas Caliente comprendiamo ancora di più che la questione economica non si limita al prezzo del biglietto del treno: Mentre gli altri vanno a cena io e Cassandra tentiamo di cambiare un po' di dollari per fare qualche acquisto, ma ci vengono proposti dei cambi da aguzzino, così desistiamo. I souvenir li compreremo a Cuzco dove i prezzi sono molto più accessibili.
Per cena, oltre alle nostre solite razioni da campo, arricchiamo il pasto con dei pomodori e della palta, sempre freschissima e buonissima.
Quando andiamo a dormire, nonostante l'hotel sia il più bello e comodo di quelli sperimentati fin'ora, scopriamo subito la sòla: c'è una discoteca proprio sotto di noi.
Infilo i tappi e punto la sveglia, domani dovremo alzarci prestissimo.


Uriel Poncharello mentre mima di dedicare un gol alla Pacha Mama.

venerdì 22 luglio 2016

Diciassettesimo giorno - Cuzco - Saqsaywaman - Tambomachay - Pukapukara – Quenco



Dopo un'abbondante colazione, ieri sera siamo stati a dieta, ci troviamo con la nuova guida che ci accompagnerà per i prossimi quattro giorni. Uriel è un tipo tracagnotto, dall'aspetto simpatico, molto frizzante e somiglia leggermente a Tony Poncharello dei Chips.

La prima tappa è il più importante sito archeologico di Cuzco, Saqsaywaman. In cima ad una collina che domina la città moderna, era una struttura cerimoniale dedicata al Dio Sole. Difatti è qui che ogni anno il 24 giugno viene celebrata l'Inti Raimi, la festa del sole.

Costruita su di un area di diciannove chilometri quadrati, era anche un luogo di studio e di osservazione delle stelle, grazie alle tre grandi torri che vi sorgevano.
Gli spagnoli la scambiarono per una fortezza e difatti quando Manco Inca si ribellò agli europei venne qui a combattere e per poco non riuscì anche a vincere. Questo però era fondamentalmente un tempio dedicato alla natura, alla Pacha Mama, un tempio religioso per tutta la popolazione. Per questo motivo Manco Inca dovette fuggire da qui per non essere sconfitto dalle armi spagnole.



Oggi vediamo solo parte delle mura, ma quando arrivarono gli spagnoli era molto più grande e anche se non era ancora finita, era in costruzione già da centocinquanta anni. Per costruirla vennero usati bronzo, legno ed ematite, oltre alle ciclopiche rocce trascinate dai lama dalla piccola collina proprio di fronte.



Per costruirla veniva utilizzato il cosiddetto lavoro mitta, ovvero temporaneo a turno, una settimana di lavoro e poi veniva altra gente a dare il cambio.

Dopo la vittoria della guerra gli spagnoli smantellarono Saqsaywaman per costruirsi le loro case, nella città moderna, e così continuarono a fare fino al 1940, chi voleva saliva fino a qui e si poteva prendere tutte le pietre che voleva.

Mentre saliamo ai piani superiori di Saqsaywaman, la guida ci fa notare che le porte erano altissime, specie per gli Inca che non erano molto alti. In pratica lo erano perché vi dovevano far passare delle principesse sedute sulle portantine.

E' impressionante vedere tutte queste spaventose pietre modellate armoniosamente per combaciare l'una con l'altra in un incastro perfetto. Questo è uno dei più bei esempi di architettura Inca che si possano trovare.

Saqsaywaman è uno dei motivi, oltre a Machu Picchu per cui sono qui e devo dire che è più o meno come me lo aspettavo. Queste rocce riescono a suscitarmi un senso di grandezza e allo stesso tempo di tristezza per ciò che sarebbe potuta diventare questa città una volta finita, ampliata e ammodernata, se gli Inca esistessero ancora.



Uriel ci porta in cima alla collina, dove un tempo c'erano le tre torri, e dall'alto ci indica tutti i luoghi importanti della città, raggruppati nel centro, che potremo andare a vedere nel pomeriggio o nei prossimi giorni.

Giriamo nel sito per un'oretta poi ci dirigiamo verso Tambomachay. Pochi chilometri più lontano infatti c'era questa struttura che si raggiunge dopo una breve passeggiata in salita.



Costruzione di età incaica da cui sgorga una sorgente di acqua calda che va a cadere in tre diverse vasche. Si dice fosse il bagno dell'Inca, ma secondo la guida era anche un tempio dedicato all'acqua.

Proseguiamo veloce verso il prossimo sito, a cui si arriva a piedi, basta attraversare la strada e risalirla leggermente in direzione di Cuzco.

In questo punto troviamo il Puka Pukara, i resti di una fortezza che ospitava una guarnigione militare e i chasqui, i messaggeri che correvano lungo le strade Inca lanciando segnali in codice con dei particolari strumenti musicali, che solo altri chasqui potevano interpretare. Le strade degli Inca, che partivano da Cuzco e si diramavano come raggi di sole dalla capitale, erano disseminate di questi fortini, così che i Chasqui potessero darsi il cambio nella corsa. La leggenda dice che erano talmente veloci che riuscivano a portare il pesce pescato sulla costa ancora fresco fino alla tavola dell'Inca.

Ci spostiamo infine a Kenko, l'ultimo sito che gli spagnoli distrussero e seppellirono sotto metri di terra. Pare fosse un luogo di culto dove venivano fatti diversi tipi di sacrifici, principalmente animali. La guida dice che probabilmente era un tempio dedicato alla Pacha Mama.

Finisce qui il primo giorno con Uriel, detto il Tony Poncharello di Cuzco, che ci dà appuntamento a domani, raccomandandoci di essere più puntuali.

Dopo un pranzo veloce che ha intaccato le nostre scorte ancora bene fornite, siamo liberi di iniziare l'esplorazione di Cuzco.

E' la città peruviana di gran lunga più bella che abbiamo visto ed è un piacere perdersi nei vicoli del centro e dietro la cattedrale.

E' l'occasione migliore per visitare ciò che resta del Qorikancha, il sacro tempio degli Inca, su cui gli spagnoli costruirono il convento di Santo Domingo.



Il Qorikancha è l'esempio della migliore architettura Inca, dove l'incastro ed il taglio delle pietre è il migliore di sempre.

Visitiamo anche il vicino museo del Qorikancha, ma a parte il busto della statua di Viracocha, il dio degli dei Inca, non c'è quasi nulla. Fanno eccezione diversi teschi che sembrano usciti da una puntata di Voyager o X-files: sono teschi con deformazioni craniali che li facevano sembrare degli alieni.



Non ero a conoscenza di questo aspetto sociale della cultura Inca che per una certa casta di persone era prevista l'imposizione della deformazione del cranio. Fin da piccoli a questi bambini venivano applicate delle piccole stecche di legno che col tempo avrebbero fatto crescere il cranio deformato, dando loro quella forma bombata che a noi ricorderebbe “incontri ravvicinati del terzo tipo”.

Pare che a qualcuno però piaccia pensare che siano frutto di incroci con esseri alieni di altri mondi. Contenti loro.