martedì 1 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 7

Duna 45 - Sossusvlei - Solitaire - Walvis Bay – Swakopmund

Sveglia alle 4:15. Ieri alle 5. Come disse Forrest Gump: sono un po' stanchino.

Per di più fa molto freddo e non abbiamo tempo: dobbiamo partire per le 5:15 in modo da poter vedere l'alba sulla duna 45.

Giusto in tempo riusciamo a smontare il campo e sistemare i bagagli. Poi ci mettiamo in coda aspettando che ci aprano la strada. Lo fanno con cinque minuti di ritardo e questo ci costerà.

Mentre procediamo sullo sterrato vediamo la luna tramontare. E' la stessa che ieri sera abbiamo visto sorgere. Ancora una volta si sta dando il cambio in cielo con il sole che fra poco nascerà.


Quando arriviamo finalmente ai piedi della duna 45, volgiamo lo sguardo verso l'alto. Non siamo i primi, già quattro o cinque persone ci precedono. Sembra più alta di quello che pensavo. Senza perdere un attimo iniziamo subito la scalata che si rivela piuttosto impegnativa. Seguendo le tracce di chi ci ha preceduto, si sale solo da un lato, si tende ad affondare e le scarpe iniziano a riempirsi diventando sempre più pesanti. Solo quando siamo a metà strada ci spostiamo sul ciglio della duna, in questo modo l'ascesa risulterà molto meno faticosa.



Alle mie spalle Cassandra mi segue e, anche se ogni tanto mi giro per controllare che ci sia ancora, la trovo sempre vicina a me. Il sole non è ancora sorto, ma la duna non finisce mai di salire. Nonostante se siamo oltre la metà e si gode già di un’ottima vista, stringo i denti e continuo a procedere, frustato da un gelido venticello ma un po’ sudato sotto la giacca a vento.

Arriviamo in cima proprio quando l'orizzonte inizia a rivelare il bordo del disco solare.

Solo un paio di secondi di ritardo. Tanto basta per perdere i primi attimi di luce. In ogni caso vedo nascere la stella fino a che perde i propri contorni e diventa una grande sfera inguardabile per la forte luce.

La temperatura è ancora bassa, ma la salita ci ha surriscaldati. Così ci sediamo sul ciglio della duna ad osservare quello strano posto, immersi in una luce fantastica, cullati dal suono del vento che già sta cancellando le tracce che abbiamo lasciato dietro di noi.



La sabbia, così rossa, è così bella e fine che accarezza le dita come fosse velluto quando se ne raccoglie un po’. Ma la sabbia è traditrice: una volta tornati a terra cambio idea su di essa. Un attimo di distrazione e la fotocamera mi cade. Qualche granello curioso come Pandora si è infilato nell'obiettivo, lasciando una piccola macchia apparentemente impossibile da togliere. Ci risiamo. Avevo comprato questa macchinetta proprio perché la vecchia aveva lo stesso problema...

Svuoto le scarpe gettando al vento la sabbia e un po’ demoralizzato ce ne andiamo alla famosa Deadvlei. Mi dovrò abituare alla presenza di quella macchiolina su tutte le mie foto.

Balzellon balzelloni, la jeep di Cobus, oggi alias Rufus Roughcut, ci porta a destinazione sgommando sulla sabbia delle dune.

Grazie a Rufus evitiamo di pagare 170 rand per la navetta. Per fortuna! I famosi alberi delle foto di Deadvlei, non esistono più e così non rimane praticamente nulla da vedere. Ci rechiamo allora a Sossusvlei, un posto simile, con alberi simili, ma meno famosi. Purtroppo anche qui gli alberi morti sono quasi scomparsi, ma il rosso della sabbia regala ancora una certa atmosfera alle foto.

Dopo alcuni scatti ripartiamo subito, il posto effettivamente non offre molto. Sballottati dalla strada nella sabbia per un altro po', quindi torniamo a prendere il rimorchio che avevamo lasciato al campeggio.

Mentre vengono svolte le operazioni di aggancio del carrello e Pier paga il conto, sostiamo sotto un grande albero. I tre grossi agglomerati di fili d'erba che vi pendono sono impossibili da non notare. Sono le quaglie rosse, detti anche uccelli tessitori, che hanno creato queste mostruosità in cui vivono. Cobus ci racconta che su un albero si possono trovare anche 100 o 300 nidi di questi piccoli volatili. Praticamente un super condominio. Quando i nidi diventano troppo grossi e pesanti da sostenere, l'albero si sradica, finendo per cadere a terra e morire.



Ripartiamo per Solitaire ma a metà strada iniziano i problemi: si rompe un perno della ruota del rimorchio dove teniamo i nostri bagagli, tende e vettovaglie.

Siamo nel deserto, a centinaia di chilometri dalla nostra destinazione giornaliera. Per fortuna ci siamo fermati proprio davanti ad un lodge, anche se ha un'aria piuttosto desolata. Dopo aver identificato il problema, il nostro driver si dirige al lodge per vedere se hanno qualche pezzo di ricambio. Aspettiamo fiduciosi.

Nel giro di un'ora si fermano un paio di macchine per vedere se abbiamo bisogno di aiuto, poi Cobus riesce a sistemare in qualche modo il danno. Forse andava troppo veloce, non si sa, però sembra che ora il problema sia risolto. Sembra.



Ci dirigiamo a Solitaire, dove praticamente tutti i viaggiatori sostano per prendere una fetta di torta di mele. Nonostante il burro, non resisto al profumo celestiale. Una delizia, davvero buonissima.

Ripartiamo e facciamo un centinaio di chilometri, forse meno, in un paesaggio da savana, con qualche avvistamento di orici, zebre e struzzi. L'andatura non era veloce, ma quando sentiamo un altro schianto e il carrello scodare, mentre rallentiamo pensiamo tutti che la riparazione non abbia retto.

Anche Pier e Cobus, mentre si guardano, pensano la stessa cosa. Poi accade qualcosa di inquietante: veniamo sorpassati da una ruota. Questa continua la sua strada per un centinaio di metri finché non si va a depositare sul ciglio.

Come dice Stefano di Firenze: ora è maiala davvero!

Scendiamo e scopriamo che la ruota partita non è quella riparata, bensì l'altra.



Il driver si accende una sigaretta e, alquanto contrariato, sentenzia che gli hanno rifilato un mezzo già rotto.

Dopo qualche boccata di fumo si allontana e prova a telefonare per chiedere soccorso, ma il telefono non funziona. Non c'è campo.

Sono le tre del pomeriggio, il sole è ancora alto, ma non sono l'unico a pensare che passeremo la notte in mezzo al deserto.

Qualche macchina passa, ma le prime non si fermano nemmeno. È un'altra auto di italiani, con un bel carrello che ci salverebbe, a fermarsi.

Cobus parla con la loro guida e chiede di telefonare al suo numero di emergenza spiegando la situazione.

Non sembra tanto preoccupato quanto lo sarei io al suo posto, evidentemente non è la prima volta che si trova in una situazione del genere. Del resto il suo vero camion, quello che usa di solito per questi viaggi, è in riparazione per aver fuso il motore.

Cobus Malus ci “assicura” che non c'è problema, siamo in Africa, qui ci si aiuta tutti.

Non ci rimane altro da fare che aspettare.

Difatti la polizza non ci mette molto a fare effetto. Dieci minuti più tardi e si ferma un pullman di turisti francesi. Gli autisti trattano con il nostro bonus malus e ci fanno salire subito caricando i bagagli nei portelloni sottostanti.

Ancora stupiti di essere già stati salvati, ci rendiamo conto che stiamo lasciando la nostra personificazione dell’RC auto nel deserto a guardia della jeep e del carrello, in attesa che qualcuno vada a salvare pure lui. Speriamo di rivederlo presto, anche se dentro di me temo che passerà qualche giorno prima che si possa sistemare tutto.

I turisti francesi, quelli a cui siedo vicino, non sembrano tanto contenti di averci caricato, al contrario della signora vicino alla quale si siede Daniele, che conquista con poche parole lasciandogli pure i contatti.

Les italiens.

Il pullman, un torpedone nato per viaggiare su strade asfaltate, sfreccia nel deserto a tutta velocità fermandosi di tanto in tanto per consentire ai transalpini di fare delle foto, quindi arriva a destinazione, Walvis Bay. Siamo a soli 30 km dal nostro alloggio per la notte. Con un abile colpo di coda Pier noleggia tutto il pullman solo per noi. Sgombro dei turisti fotomani francesi, arriviamo finalmente all'ostello stanchi morti e ora un po' più preoccupati per Cobus. Ci consoliamo solo di non essere rimasti nel deserto, e del fatto che stanotte si dormirà in letti veri. Che sogno!


Nessun commento:

Posta un commento