Duna 45
- Sossusvlei - Solitaire - Walvis Bay
– Swakopmund
Per
di più fa molto freddo e non abbiamo tempo:
dobbiamo partire per le 5:15 in modo da poter vedere l'alba sulla
duna 45.
Giusto
in tempo riusciamo a smontare il campo e sistemare i bagagli. Poi ci
mettiamo in coda aspettando che ci aprano la strada. Lo fanno con
cinque minuti di ritardo e questo ci costerà.
Mentre
procediamo sullo sterrato vediamo la luna tramontare. E' la stessa
che ieri sera abbiamo visto sorgere. Ancora una volta si sta dando il
cambio in cielo con il sole che fra poco nascerà.
Quando
arriviamo finalmente ai piedi della duna 45,
volgiamo
lo sguardo verso l'alto. Non siamo i primi, già quattro o cinque
persone ci precedono. Sembra più alta di quello che pensavo. Senza
perdere un attimo iniziamo subito la scalata che si rivela piuttosto
impegnativa. Seguendo le tracce di chi ci ha preceduto, si sale solo
da un lato, si tende ad affondare e le scarpe iniziano a riempirsi
diventando sempre più pesanti. Solo quando siamo a metà strada ci
spostiamo sul ciglio della duna, in questo modo l'ascesa risulterà
molto meno faticosa.
Alle
mie spalle Cassandra mi segue e, anche se ogni tanto mi giro per
controllare che ci sia ancora, la trovo sempre vicina a me. Il sole
non è ancora sorto, ma la duna non finisce mai di salire. Nonostante
se siamo oltre la metà e si gode già di un’ottima
vista, stringo i denti e continuo a procedere, frustato da un gelido
venticello ma un po’
sudato sotto la giacca a vento.
Arriviamo
in cima proprio quando l'orizzonte inizia a rivelare il bordo del
disco solare.
Solo
un paio di secondi di ritardo. Tanto basta per perdere i primi attimi
di luce. In ogni caso vedo nascere la stella fino a che perde i
propri contorni e diventa una grande sfera inguardabile per la forte
luce.
La
temperatura è ancora bassa,
ma la salita ci ha surriscaldati.
Così
ci sediamo sul ciglio della duna ad osservare quello strano posto,
immersi in una luce fantastica, cullati dal suono del vento che già
sta cancellando le tracce che abbiamo lasciato dietro di noi.
La
sabbia, così rossa, è così bella e fine che accarezza le dita come
fosse velluto quando se ne raccoglie un po’.
Ma la sabbia è traditrice:
una volta tornati a terra cambio idea su di essa. Un attimo di
distrazione e la fotocamera mi cade. Qualche granello curioso come
Pandora si è infilato nell'obiettivo,
lasciando una piccola macchia apparentemente impossibile da togliere.
Ci risiamo. Avevo comprato questa macchinetta proprio perché la
vecchia aveva lo stesso problema...
Svuoto
le scarpe gettando al vento la sabbia e un po’
demoralizzato
ce ne andiamo alla famosa Deadvlei. Mi dovrò abituare alla presenza
di quella macchiolina su tutte le mie foto.
Balzellon
balzelloni, la jeep di Cobus, oggi alias Rufus Roughcut, ci porta a
destinazione sgommando sulla sabbia delle dune.
Grazie
a Rufus evitiamo di pagare 170 rand per la navetta. Per fortuna! I
famosi alberi delle foto di Deadvlei,
non
esistono più e così non rimane praticamente nulla da vedere. Ci
rechiamo allora a Sossusvlei, un posto simile, con alberi simili, ma
meno famosi. Purtroppo anche qui gli alberi morti sono quasi
scomparsi, ma il rosso della sabbia regala ancora una certa atmosfera
alle foto.
Dopo
alcuni scatti ripartiamo subito, il posto effettivamente non offre
molto. Sballottati dalla strada nella sabbia per un altro po', quindi
torniamo a prendere il rimorchio che avevamo lasciato al campeggio.
Mentre
vengono svolte le operazioni di aggancio del carrello e Pier paga il
conto, sostiamo sotto un grande albero. I tre grossi agglomerati di
fili d'erba che vi pendono sono impossibili da non notare. Sono le
quaglie rosse, detti anche uccelli tessitori, che hanno creato queste
mostruosità in cui vivono. Cobus ci racconta che su un albero si
possono trovare anche 100 o 300 nidi di questi piccoli volatili.
Praticamente un super condominio. Quando i nidi diventano troppo
grossi e pesanti da sostenere, l'albero si sradica, finendo per
cadere a terra e morire.
Ripartiamo
per Solitaire ma a metà strada iniziano i problemi: si rompe un
perno della ruota del rimorchio dove teniamo i nostri bagagli, tende
e vettovaglie.
Siamo
nel deserto, a centinaia di chilometri dalla nostra destinazione
giornaliera. Per fortuna ci siamo fermati proprio davanti ad un
lodge, anche se ha un'aria piuttosto desolata. Dopo
aver identificato il problema, il
nostro driver
si dirige al lodge per vedere se hanno qualche pezzo di ricambio.
Aspettiamo fiduciosi.
Nel
giro di un'ora si fermano un paio di macchine per vedere se abbiamo
bisogno di aiuto, poi Cobus riesce a sistemare in qualche modo il
danno. Forse andava troppo veloce, non si sa, però sembra che ora il
problema sia risolto. Sembra.
Ci
dirigiamo a Solitaire, dove praticamente tutti i viaggiatori sostano
per prendere una fetta di torta di mele. Nonostante il burro,
non resisto al profumo celestiale. Una delizia, davvero buonissima.
Ripartiamo
e facciamo un centinaio di chilometri, forse meno, in un paesaggio da
savana, con qualche avvistamento di orici, zebre e struzzi.
L'andatura non era veloce, ma quando sentiamo un altro schianto e il
carrello scodare, mentre rallentiamo pensiamo tutti che la
riparazione non abbia retto.
Anche
Pier e Cobus, mentre si guardano, pensano la stessa cosa.
Poi
accade qualcosa di inquietante: veniamo sorpassati da una ruota.
Questa continua la sua strada per un centinaio di metri finché non
si va a depositare sul ciglio.
Come
dice Stefano di Firenze: ora è maiala davvero!
Scendiamo
e scopriamo che la ruota partita non è quella riparata, bensì
l'altra.
Il
driver si accende una sigaretta e, alquanto contrariato, sentenzia
che gli hanno
rifilato un mezzo già rotto.
Dopo
qualche boccata di fumo si allontana e prova a telefonare per
chiedere soccorso, ma il telefono non funziona. Non c'è campo.
Sono
le tre del pomeriggio, il sole è ancora alto, ma non sono l'unico a
pensare che passeremo la notte in mezzo al deserto.
Qualche
macchina passa, ma
le prime non si fermano nemmeno. È un'altra auto di italiani, con un
bel carrello che ci salverebbe, a fermarsi.
Cobus
parla con la loro guida e chiede di telefonare al suo numero di
emergenza spiegando la situazione.
Non
sembra tanto preoccupato quanto lo sarei io al suo posto,
evidentemente non è la prima volta che si trova in una situazione
del genere. Del resto il suo vero camion, quello che usa di solito
per questi viaggi, è in riparazione per aver fuso il motore.
Cobus
Malus ci “assicura” che non c'è problema, siamo in Africa, qui
ci si
aiuta
tutti.
Non
ci rimane altro da fare che aspettare.
Difatti
la polizza non ci mette molto a fare effetto. Dieci minuti più tardi
e si ferma un pullman di turisti francesi. Gli autisti trattano con
il nostro bonus malus e ci fanno salire subito caricando i bagagli
nei portelloni sottostanti.
Ancora
stupiti di essere già stati salvati, ci rendiamo conto che stiamo
lasciando la nostra personificazione dell’RC auto nel deserto a
guardia della jeep e del carrello, in attesa che qualcuno vada a
salvare pure lui. Speriamo di
rivederlo presto, anche se dentro di me temo che passerà qualche
giorno prima che si possa sistemare tutto.
I
turisti francesi, quelli a cui siedo vicino, non sembrano tanto
contenti di averci caricato, al contrario della signora vicino alla
quale si siede Daniele, che conquista con poche parole lasciandogli
pure i contatti.
Les
italiens.
Il
pullman, un torpedone nato per viaggiare su strade asfaltate,
sfreccia nel deserto a tutta velocità fermandosi di tanto in tanto
per consentire ai transalpini di fare delle foto, quindi arriva a
destinazione, Walvis Bay.
Siamo a soli 30 km dal nostro alloggio per la notte. Con un abile
colpo di coda Pier noleggia tutto il pullman solo per noi. Sgombro
dei turisti fotomani francesi,
arriviamo finalmente all'ostello stanchi morti e ora un po' più
preoccupati per Cobus. Ci consoliamo solo di non essere rimasti nel
deserto,
e del fatto che stanotte si dormirà in letti veri. Che sogno!
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