martedì 15 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 21

Kazungula - Victoria Falls




Questa mattina affrontiamo l'ultima brevissima tappa che ci porterà in Zimbabwe. Per l'ultima volta carichiamo il trailer e pian piano ci muoviamo verso il confine, dove Divine, il contatto dell’autista, ci aspetta.

Cobus, alias Cobus Malus, alias Rufus, alias Huber, oggi ci saluta. Il suo lavoro con noi finisce qui. Lo aspetta ancora un lungo viaggio per andare a restituire il carrello a Windhoek, recuperare il vecchio trailer rotto, e infine ritornare a Pretoria.

Salutiamo così il grande sudafricano che ci ha fatto da guida oltreché da autista, qualche volta da cuoco (anche se io e Cassandra abbiamo ovviamente bypassato i piatti carnivori), comunque un simpatico compagno di viaggio. Nonostante il suo aspetto burbero, con piacere ho condiviso con lui una birra mentre cucinavamo, a volte un arancio, a volte una battuta. Era un attore nato. Dovevate vederlo durante i controlli alle dogane quando gli chiedevano se trasportavamo carne e lui rispondeva:

"Ma quale carne?! Questi sono italiani e pure vegetariani! Mi fanno mangiare solo spaghetti al pomodoro, 'sti 'nfami!".

In realtà non avevamo mai carne, ma in questo modo abbiamo evitato sempre perquisizioni e magari spiacevoli "sorprese" burocratiche. Un paio di volte, senza dire nulla a nessuno, ha pure comprato della legna per fare un falò sotto le stelle.

Un bravo ragazzo afrikaner insomma.

Ci affida quindi a Divine, un ragazzo con cui ha già avuto a che fare in passato. A lui lasciamo i nostri passaporti con i dollari per il visto, e una mancia per i funzionari, in modo da evitare la lunga fila.

Il problema è che il collaboratore di Divine, Joe, ha una sola macchina e noi siamo in 9 con bagagli. Le nostre valigie finiscono oltre che sulla nostra auto, anche su un'altra macchina che stava passando il confine in quel momento. Ricordiamoci che in Africa ci si aiuta tutti. Comunque speriamo di rivederle.

Noi come passeggeri, veniamo tutti caricati su una sola macchina. Siamo in dieci. Posti omologati: 6.

Viaggiamo un po' strettini ma il tragitto dovrebbe essere breve, quindi ci adattiamo meglio che possiamo. Del resto siamo ancora a Kazungula.

Giunti a Victoria Falls prendiamo possesso delle camere, belle quasi quanto quelle di Cape Town, quindi usciamo a dare un'occhiata in giro. Giovanni e Pietro invece decidono di sborsare la bellezza di 130 dollari per salire sull'elicottero e vedere le cascate dall'alto.

Fin dall'inizio del viaggio pensavo di aspettare fino all'ultima tappa per fare acquisti. In questo modo volevo evitare di portarmi altro carico nei bagagli già pesanti e difficili da chiudere. Purtroppo non avevo considerato il turismo di massa delle Victoria Falls. Qui, come mai in questo viaggio, il turista è visto come un sacco di denaro da svuotare.

Qualunque cosa, dal cibo, al più piccolo souvenir, è aumentata di prezzo a dismisura. Anche i più brutti magneti dipinti a mano costavano addirittura cinque dollari, trattabili, ma solo fino a quattro.

Appena fuori dell'hotel, basta fare un centinaio di metri perché si venga assaliti dai venditori ambulanti che chiedono venti dollari per le statuine dei Big Five e dieci per delle bacinelle di legno. Come se non bastasse, ci seguono per tutta la città senza mai mollare l'osso. Già al secondo assalto fanno passare la voglia di comprare qualunque cosa.

Della città non c'è molto da vedere, se non i negozi e gli uffici dei tour operator che propongono qualunque genere di escursione (Ognuno pronto a battere di pochi dollari il prezzo del tour operator consultato poco prima).

L'unica cosa che decidiamo di comprare sono delle magliette che facciamo stampare con la mappa del nostro viaggio e le bandiere dei cinque stati che abbiamo visitato. Saranno pronte per domani alle cinque.

In realtà qualche angolo carino la città lo nasconde: una stazione da dove parte un treno a vapore, molto carino e pittoresco, una via di negozi presidiati dai poliziotti, quindi sgomberi dalle sanguisughe e, vicino al nostro hotel, una struttura ricca di negozi molto belli e particolari.



A sera il gruppo esce a cena ed io e Cassandra, sentendo puzza di carne bruciata ovunque, rimaniamo in hotel a consumare le nostre razioni vegane.

Purtroppo stavolta la cosa non è indolore.

Cassandra, probabilmente leggermente ingrassata (come tutti dopo venti giorni di inattività), si siede sul comodino di vetro mandandolo in frantumi.

In un attimo ci sono vetri ovunque e vedo Cassandra che mi guarda spaventata dal comodino, come se fosse caduta in un canestro da basket, con solo braccia e gambe che sporgono.

Eccallà!

Qui ci tocca andare in un ospedale dello Zimbabwe! E adesso?

Già mi vedo sfinito dalle ore di attesa passate in una sala d'aspetto. Ho fatto conoscenza con i parenti di un poveretto incornato da un rinoceronte, la moglie di un autista di game drive disperso e diverse persone morse da serpenti, iene, licaoni e sciacalli. Ci sono anche alcuni contagiati di malaria che tentano di vendermi un miracoloso antidoto.

Immagino Cassandra in corsia mentre lotta per avere una padella e le portano un secchio semi vuoto, con la raccomandazione di non riempirlo, che serve anche al dottore.

Poi vedo che Cassandra mi guarda e si muove.

Con calma verifico le sue condizioni e miracolosamente scopro è tutto ok. Non si è tagliata. Fortunatamente ha rimediato solo qualche livido.

Con pazienza raccogliamo tutti i vetri e iniziamo a fare il conto dei soldi che ci rimangono per poter pagare il comodino. Se per una cavolo di statuina di facocero vogliono dieci dollari, non oso immaginare quanto chiederanno per il vetro di un comodino.

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