Kazungula
- Victoria Falls
Questa
mattina affrontiamo l'ultima brevissima tappa che ci porterà in
Zimbabwe. Per l'ultima
volta carichiamo il trailer e pian piano ci muoviamo verso il
confine, dove Divine, il contatto dell’autista, ci aspetta.
Cobus,
alias Cobus Malus, alias Rufus, alias Huber, oggi ci saluta. Il suo
lavoro con noi finisce qui. Lo aspetta ancora un lungo viaggio per
andare a restituire il carrello a Windhoek, recuperare il vecchio
trailer rotto, e infine ritornare a Pretoria.
Salutiamo
così il grande sudafricano che ci ha fatto da guida oltreché
da
autista, qualche volta da cuoco (anche se io e Cassandra abbiamo
ovviamente bypassato i piatti carnivori), comunque un simpatico
compagno di viaggio. Nonostante il suo aspetto burbero, con piacere
ho condiviso con lui una birra mentre cucinavamo, a volte un arancio,
a volte una battuta. Era un attore nato. Dovevate vederlo durante i
controlli alle dogane quando gli chiedevano se trasportavamo carne e
lui rispondeva:
"Ma
quale carne?! Questi sono italiani e pure vegetariani! Mi fanno
mangiare solo spaghetti al pomodoro, 'sti 'nfami!".
In
realtà non avevamo mai carne, ma in questo modo abbiamo evitato
sempre perquisizioni e magari spiacevoli "sorprese"
burocratiche. Un paio di volte, senza dire nulla a nessuno, ha pure
comprato della legna per fare un falò sotto le stelle.
Un
bravo ragazzo afrikaner insomma.
Ci
affida quindi a Divine, un ragazzo con cui ha già avuto a che fare
in passato. A lui lasciamo i nostri passaporti con i dollari per il
visto, e una mancia per i funzionari, in modo da evitare la lunga
fila.
Il
problema è che il collaboratore di Divine, Joe, ha una sola macchina
e noi siamo in 9 con bagagli. Le nostre valigie finiscono oltre che
sulla nostra auto, anche su un'altra macchina che stava passando il
confine in quel momento. Ricordiamoci che in Africa ci si aiuta
tutti. Comunque speriamo di
rivederle.
Noi
come passeggeri, veniamo tutti caricati su una sola macchina. Siamo
in dieci. Posti omologati:
6.
Viaggiamo
un po' strettini ma il tragitto dovrebbe essere breve, quindi ci
adattiamo meglio che possiamo. Del resto siamo ancora a Kazungula.
Giunti
a Victoria Falls prendiamo possesso delle camere, belle quasi quanto
quelle di Cape Town, quindi usciamo a dare un'occhiata in giro.
Giovanni e Pietro invece decidono di sborsare la bellezza di 130
dollari per salire sull'elicottero e vedere le cascate dall'alto.
Fin
dall'inizio del viaggio pensavo di aspettare fino all'ultima tappa
per fare acquisti. In questo modo volevo evitare di portarmi altro
carico nei bagagli già pesanti e difficili da chiudere. Purtroppo
non avevo considerato il turismo di massa delle Victoria Falls.
Qui, come mai in questo viaggio, il turista è visto come un sacco di
denaro da svuotare.
Qualunque
cosa, dal cibo, al più piccolo souvenir, è aumentata di prezzo a
dismisura. Anche i più brutti magneti dipinti a mano costavano
addirittura cinque dollari, trattabili, ma solo fino a quattro.
Appena
fuori dell'hotel, basta fare un centinaio di metri perché si venga
assaliti dai venditori ambulanti che chiedono venti dollari per le
statuine dei Big Five
e dieci per delle bacinelle di legno. Come se non bastasse,
ci seguono per tutta la città senza mai mollare l'osso. Già al
secondo assalto fanno passare la voglia di comprare qualunque cosa.
Della
città non c'è molto da vedere, se non i negozi e gli uffici dei
tour operator che propongono qualunque genere di escursione (Ognuno
pronto a battere di pochi dollari il prezzo del tour operator
consultato poco prima).
L'unica
cosa che decidiamo di comprare sono delle magliette che facciamo
stampare con la mappa del nostro viaggio e le bandiere dei cinque
stati che abbiamo visitato. Saranno pronte per domani alle cinque.
In
realtà qualche angolo carino la città lo nasconde: una stazione da
dove parte un treno a vapore, molto carino e pittoresco, una via di
negozi presidiati dai poliziotti, quindi sgomberi dalle sanguisughe
e, vicino al nostro hotel, una struttura ricca di negozi molto belli
e particolari.
A
sera il gruppo esce a cena ed io e Cassandra, sentendo puzza di carne
bruciata ovunque, rimaniamo in hotel a consumare le nostre razioni
vegane.
Purtroppo
stavolta la cosa non è indolore.
Cassandra,
probabilmente leggermente ingrassata (come
tutti dopo venti giorni di inattività), si
siede sul comodino di vetro mandandolo in frantumi.
In
un attimo ci sono vetri ovunque e vedo Cassandra che mi guarda
spaventata dal comodino, come se fosse caduta in un canestro da
basket, con solo braccia e gambe che sporgono.
Eccallà!
Qui
ci tocca andare in un ospedale dello Zimbabwe! E adesso?
Già
mi vedo sfinito dalle ore di attesa passate in una sala d'aspetto. Ho
fatto conoscenza con i parenti di un poveretto incornato da un
rinoceronte, la moglie di un autista di game drive disperso e diverse
persone morse da serpenti, iene, licaoni e sciacalli. Ci sono anche
alcuni contagiati di malaria che tentano di vendermi un miracoloso
antidoto.
Immagino
Cassandra in corsia mentre lotta per avere una padella e le portano
un secchio semi vuoto, con la raccomandazione di non riempirlo, che
serve anche al dottore.
Poi
vedo che Cassandra mi guarda e si muove.
Con
calma verifico le sue condizioni
e miracolosamente scopro è tutto ok. Non si è tagliata.
Fortunatamente
ha rimediato solo qualche livido.
Con
pazienza raccogliamo tutti i vetri e iniziamo a fare il conto dei
soldi che ci rimangono per poter pagare il comodino. Se per una
cavolo di statuina di facocero vogliono dieci dollari, non oso
immaginare quanto chiederanno per il vetro di un comodino.
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