Swakopmund -
Cape Cross - Skeleton Coast - Palmwag
Si
riparte finalmente.
Abbiamo
un nuovo carrello,
solo che è molto più piccolo: poco più della metà di quello
vecchio. L’energumeno, da quando si è svegliato, lo sta studiando
per cercare di farci stare tutto. Dopo colazione ci mettiamo un po' a
sistemare i bagagli e ne rimangono fuori tre a prendere la polvere.
Uno ovviamente è il mio.
Oggi
siamo diretti verso l'interno della Namibia, ma prima attraverseremo
l'ultimo tratto di costa atlantica, ovviamente sempre Skeleton Coast.
Ci
fermiamo a fare la spesa per le ultime cose e, dato che non troviamo
tutto, visitiamo tre supermercati diversi. Mi sembra di essere
tornato a Roma con Cassandra che me li fa girare tutti con i
volantini delle offerte in mano e il carrello sempre pieno... manco
scoppiasse la guerra ogni sabato.
Terminati
i rifornimenti, ripartiamo alla volta di Cape Cross, dove un
portoghese sbarcò per la prima volta in Namibia nel 1486. Oltre alla
croce che testimonia l'evento, qui c'è una numerosissima colonia di
otarie.
Sono
simpatiche e ci si può camminare vicino per mezzo di una lunga
passerella di legno, facendo bene attenzione a non farsi mordere. La
passerella che attraversa la colonia e si affaccia sul mare
tempestoso, ci rivela di essere anch'esso pieno zeppo di altre otarie
che nuotano. Tra quelle spiaggiate e quelle in acqua, saranno a
migliaia. Molti i cuccioli urlanti che dopo il bagno tentano di
ritrovare la madre. Molte
le madri che chiamano i cuccioli. Un dedalo quasi impossibile da
sciogliere in cui però le otarie pare riescano alla fine a
ritrovarsi grazie al suono dei versi emessi. Sono impressionanti e
sembra di essere in un documentario di Piero Angela. Bellissimo.
Quello
che il buon Piero
non ci ha detto prima dell’incontro ravvicinato con questi
mammiferi, è che puzzano da morire. Una cosa nauseabonda e
insopportabile. Personalmente non ho mai sentito nulla di peggiore,
putrido e fastidioso in vita mia.
Sdraiate
a prendere il sole o a proteggere il proprio sasso, sembra che non
temano niente e nessuno. Ti credo, con la puzza che emanano… Invece
hanno almeno tre predatori da cui stare in guardia: in mare squali e
Orche, sulla terra le iene e probabilmente anche qualcos'altro.
Difatti
poco lontano dalla colonia troviamo tantissime tracce di iene che
portano alla colonia e, più in là, resti di cuccioli di otaria.
Ancora
perfidamente intrisi di quel puzzo pestilenziale, ripartiamo ed
entriamo nella parte della Skeleton Coast più selvaggia.
È chiamata così perché oltre ad essere pericolosa per le navi che
a causa dei banchi di sabbia si arenano definitivamente diventando
relitti, si trovano spesso anche mastodontiche ossa e carcasse di
balena.
Anche
questa
è una zona mineraria per cui non ci si potrebbe fermare.
Fortunatamente siamo ben guidati, e Cobus Malus appena avvista il
relitto di una nave, frena e ci fa saltare giù per alcune
rapidissime foto.
Non
rimane molto del relitto, giusto un’idea della chiglia, l'anima del
motore e qualche altra parte meccanica non ben definita.
Ripartiamo
e ancora più velocemente, senza nemmeno scendere dal mezzo, vediamo
ciò che resta di un pozzo minerario. Ricorda molto le città
fantasma del Far West.
Un
ultimo sguardo e salutiamo definitivamente l'Atlantico.
Usciamo
dal parco della Skeleton
Coast ed entriamo in un mondo colorato e pieno di sorprese: strane
piante grasse
che pare siano tra le più vecchie esistenti. Caterina dice che ne è
stato trovato un'esemplare enorme in vita di circa duemila anni.
Anche
se pare siano ancora pochi, per noi avvistare qualche altro animale
in libertà di tanto in tanto è come scoprire un tesoro inaspettato.
L’energumeno
non si ferma nemmeno, dice che nei prossimi giorni faremo così tante
foto che dovremo cancellare quelle di oggi.
Comunque
a noi un orice,
qualche gazzella qua e là,
arricchiscono parecchio la giornata. Vediamo perfino uno sciacallo
della gualdrappa, o forse era una volpe. Non lo so, era troppo
lontano e anche con il massimo ingrandimento della mia macchinetta
non posso essere certo della preda che ho catturato.
In
una cornice da documentario avanziamo lentamente sulla strada
dissestata. Ogni tanto Malus
si ferma per dare un occhio al carrello. Sembra che regga.
Arriviamo
al campo che ormai è buio e montiamo le tende con le luci in testa.
Stavolta non è semplice: il terreno è ricco di grossi sassi e
faccio una gran fatica a picchettare.
La
nostra piazzola è un po’ isolata rispetto alle altre, sembra che
alla reception ci abbiano dato le indicazioni sbagliate e siamo
finiti in un'area periferica infestata da licaoni. Speriamo bene per
questa notte.
A
cena lo chef ha preparato pasta ai quattro formaggi e zucca in umido.
Da leccarsi i baffi.
Per
la prima volta dopo tanto tempo, anche il nostro autista si rilassa
un po’, complice del vino e la cena di Daniele. Così, invece di
impersonare il solito orso silenzioso, chiacchiera liberamente con
noi, scherzando
sui vegetariani e le
donne.
Dice
di avere 51 anni (secondo me qualcuno di più), ed è fidanzato con
una donna più grande di lui. Ci racconta di un altro viaggio con
italiani vegetariani che hanno mangiato ogni sera spaghetti al
pomodoro, dal primo all'ultimo giorno. Inizio a capire meglio la sua
avversione per questa categoria.
Ha
una forte nostalgia del suo camion e insiste che la jeep che stiamo
utilizzando fa schifo. Parole sue. Gli
chiediamo cosa farà quando finirà il nostro viaggio.
Risponde che ha venti giorni
per riportare il carrello a Windhoek, la Jeep a Pretoria, o forse era
Cape Town, e poi riparare il suo beneamato camion.
Stanchi,
ma un pochino più tranquilli,
andiamo a dormire scordandoci dei licaoni.
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