lunedì 7 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 13

Halali - Lago Otjikoto - Alla ricerca del pezzo del carrello perduto - Hobas Meteorite - Roy's Rest camp

Sveglia alle 4:15. Un'altra volta.
C'è sempre una buona ragione però. Ci aspetta la caccia al leone.
Mentre smontiamo il campo Daniele racconta che ieri sera è rimasto alla pozza fino a mezzanotte avvistando altri due sciacalli e perfino due iene. Queste ultime due arrivate subito dopo che ce ne siamo andati io e Cassandra.
Iene si, ma anche bastarde!
Alle 6:45 siamo già in carreggiata.
La mattina presto e la sera sono gli unici momenti in cui si ha la possibilità di vedere leoni, leopardi e ghepardi, animali notturni che quindi di giorno dormono.
Inizialmente vediamo poco, qualche antilope, qualche zebra. Poi gli avvistamenti aumentano e troviamo anche dei Kudu. Questi sono dei cervi più grandi di cavalli ma con qualche sottile striscia bianca sul dorso.

Ci sono anche le antilopi rosse e un branco di impala intente ad osservare uno scontro tra due maschi. 
Cobus ci dice che fra una decina di giorni inizia la stagione degli accoppiamenti e già ora si possono vedere degli scontri preliminari per capire quali saranno gli sfidanti. I veri duelli possono durare anche quattro o cinque giorni.

Da lontano, molto lontano, vediamo una scena da documentario: un branco di gnu, punteggiato qua e là da impala, gazzelle, zebre e antilopi.
 
Stanno attraversando l'immensa distesa pianeggiante. Ci scorrono davanti come se fossero proiettati su un immenso schermo del cinema. Attori bravissimi, da oscar.
Giriamo ancora un po' cercando i grandi felini. Guidati sempre da Cobus, ci porta dove già in passato li ha incontrati: nei pressi delle pozze d'acqua dovrebbe essere più facile vederli e finalmente al terzo tentativo troviamo i leoni.

Sdraiati nell'erba alta ci sono sei leoni tra maschi e femmine. Il dominante con la sua folta criniera non si vede, ma va bene lo stesso. Anche i maschi presenti, come le leonesse, sono senza criniera.

Non sappiamo se i maschi non sono adulti, e quindi la criniera non gli è ancora cresciuta, o perché sottomessi dal dominante. In questo ultimo caso l'avrebbero persa. Fatto sta che non ci sembra il caso di andare a chiedere l'età, non si fa.

La temperatura non è ancora caldissima, ma per i leoni è la fine di una lunga nottata e stanno per dare inizio al loro riposo. Non ci pensano nemmeno a scomodarsi per una decina di porzioni di carne in scatola che li osservano. 

 
Nemmeno per carne vegetariana. Alcuni sonnecchiano, un paio tengono sempre mezzo occhio socchiuso e puntato verso di noi, pur dimostrando aria disinteressata.
Rimaniamo imbambolati per circa dieci minuti, poi riprendiamo la caccia.
Ora ci vorrebbe proprio un bell’elefante.
Tel chi! (Eccolo in milanese).
Nel campo che costeggia la strada ce ne è uno e lo seguiamo lentamente, bersagliandolo di fotografie fino ad incrociare la sua rotta.
Anche se i pachidermi hanno un udito e un olfatto finissimi, non ci vedono bene, più o meno arrivano a distinguere chiaramente le figure solo entro un raggio di dieci metri. Poco più della distanza a cui arriviamo. Comunque ci sente benissimo e passandoci dietro se ne va.
Magnifico.
Il giro prosegue con gruppi di antilopi, gazzelle, zebre e orici. Questi ultimi hanno delle lunghissime corna dritte per difendersi dai leoni, che di solito attaccano alle spalle. In questo caso, con un semplice movimento della testa potrebbero tenere a bada il Re. O così le mogli degli orici raccontano ai mariti.
La marcia lenta ci porta sempre più vicini ai confini del parco e anche l'ora è ormai tarda.
Fa troppo caldo e le speranze di vedere altri grandi felini diventano nulle.

Prima di uscire ci consoliamo facendo un book fotografico ad una giraffa che si lascia riprendere come se stesse posando per postalmarket.

E' stato bellissimo. Se un giorno riuscirò a tornare al parco Etosha vorrei starci almeno tre giorni e godermelo appieno.
Sentendo già un pochino di nostalgia, usciamo definitivamente dal parco e ci dirigiamo a Grootfontein, dove l’autista ha ordinato il pezzo di ricambio per il carrello.

Giunti a destinazione però scopriamo che il pezzo arrivato è sbagliato. Dobbiamo aspettare le due del pomeriggio, quando apriranno gli altri negozi e sperare che loro ce l'abbiano.
Inganniamo il tempo andando a fare un pochino di spesa.
Mentre aspettiamo davanti al negozio di ricambi, notiamo un cartello inquietante che dice "entrate a vostro rischio e pericolo".
Cos'è? Un negozio per terroristi?
Poi un'auto con quattro loschi figuri si affianca a noi. Questi ci guardano qualche secondo e poi se ne vanno.
Ma dove siamo finiti? A Tor Bella?
Nel frattempo Cobus va a fare la spesa: stasera vuole cucinare lui gli spaghetti alla bolognese per tutti! Vegetariani esclusi.
Nell'attesa, tra una battuta e l'altra su cosa si mangerà, si avvicina a noi un’altra macchina con una donna. Ci chiede di avvicinarci. Dice di essere una poliziotta e di fare attenzione al posto dove abbiamo parcheggiato: è spesso teatro di atti criminali.
Poi se ne va lasciandoci un po' spaventati. La città sembra del tutto normale, anzi, più benestante rispetto alla media incontrata finora, ma ripensando ai quattro loschi figuri di poco fa, iniziamo a guardarci attorno un po' dubbiosi. La spesa del cuoco per una sera diventa un'attesa lunghissima. Quando arriva gli spieghiamo la situazione e ripartiamo subito alla ricerca del pezzo di ricambio maledetto.
Visitiamo tutti i ricambi della città, ma nessuno ha quel che serve a noi.
Visibilmente alterato, Cobus si trasforma in Rufus e schiaccia a tavoletta verso Hobas.
Prima però visitiamo la versione namibiana dei Cenote.
Il lago Otjikoto era un lago sotterraneo a cui è crollata la copertura, rivelando un bacino idrico circolare. Nessuno l'ha mai esplorato completamente e ancora non se ne conosce la profondità.
Circondato da una magnifica vegetazione, dopo la guerra con i tedeschi all'inizio del ventesimo secolo, vi furono gettate le armi germaniche come simbolo della loro resa. Alcune sono state recuperate ed esposte in un museo, altre giacciono ancora da qualche parte sul fondo.
Dopo questa piacevole sosta ripartiamo per Hobas. Sulla strada Rufus va veloce, al contrario dei giorni precedenti. Nessuno però si azzarda a chiedere se si è scordato della precaria situazione del carrello.
Solo dopo un paio d'ore di sterrato arriviamo a destinazione. Il carrello ha retto. Sperem.

A Hobas è esposto un grande meteorite ferroso caduto circa 80000 anni fa e pesante circa 60 tonnellate.
Questo, ha la più grande massa ferrosa presente sulla terra. Sia io che Daniele ci chiediamo se è veramente caduta qui e la risposta è sì, pare che non sia mai stata spostata. Secondo alcune ipotesi, il fatto che non ci sia nessun cratere da impatto, potrebbe dipendere dalla sua forma a disco: cadendo avrebbe rimbalzato come quando si lancia un sasso piatto sull'acqua.
Terminato il dibattito e le foto, ci rimettiamo in sella, destinazione Roy's Rest camp, dove arriveremo dopo un'ora circa, praticamente al tramonto.
Uno dei camping più belli visitati.
Ha un fantastico bar e pure il wifi gratis.
Montiamo le tende, stavolta non sono il primo a finire, ma mi viene meglio delle altre volte soprattutto perché Cassandra mi aiuta molto.
A cena, mentre Cobus cucina il suo ragù, gli tengo compagnia perché intanto io e Cassandra ci facciamo i fiocchi di soia sull'altro fornelletto.
Dice di essere un cuoco qualificato. Io me la rido sotto i baffi, pregustando già i commenti degli altri quando assaggeranno il ragù alla bolognese fatto da un sudafricano. Oltretutto, mentre cucina si sta scolando un litro e mezza di birra.
Tra una chiacchiera e l'altra, racconta che a casa sua ha diverse piante di frutta, tra cui due o tre avocado e una papaya. Chissà se posso piantare anche io l'avocado a Roma. Devo informarmi.
Cucinando e sorseggiando, la cena è pronta: il mio riso sotto i baffi si smorza quando vedo le facce compiaciute di chi assaggia la pasta. Cobus sa il fatto suo. Il ragù esce benissimo, alla faccia mia.
Andiamo a dormire che fa un gran freddo e passeremo la notte più ghiacciata del viaggio. La temperatura credo che sia scesa perfino sotto lo zero.

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