Halali -
Lago Otjikoto - Alla ricerca del pezzo del carrello perduto - Hobas
Meteorite - Roy's Rest
camp
Sveglia
alle 4:15. Un'altra volta.
C'è
sempre una buona ragione però. Ci aspetta la caccia al leone.
Mentre
smontiamo il campo Daniele racconta che ieri sera è rimasto alla
pozza fino a mezzanotte avvistando altri due sciacalli e perfino due
iene. Queste ultime due arrivate subito dopo che ce ne siamo andati
io e Cassandra.
Iene
si, ma anche bastarde!
Alle
6:45 siamo già in carreggiata.
La
mattina presto e la sera sono gli unici momenti in cui si ha la
possibilità di vedere leoni, leopardi e ghepardi, animali notturni
che quindi di giorno dormono.
Inizialmente
vediamo poco, qualche antilope, qualche zebra. Poi gli avvistamenti
aumentano e troviamo anche dei Kudu. Questi sono dei cervi più
grandi di cavalli ma con qualche sottile striscia bianca sul dorso.
Ci
sono anche le antilopi rosse e un branco di impala intente ad
osservare uno scontro tra due maschi.
Cobus ci dice che fra una
decina di giorni inizia la stagione degli accoppiamenti e già ora si
possono vedere degli scontri preliminari per capire quali saranno gli
sfidanti. I veri duelli possono durare anche quattro o cinque giorni.
Da
lontano, molto lontano, vediamo una scena da documentario: un branco
di gnu, punteggiato qua e là da impala, gazzelle, zebre e antilopi.
Stanno attraversando l'immensa distesa pianeggiante. Ci scorrono
davanti come se fossero proiettati su un immenso schermo del cinema.
Attori bravissimi, da oscar.
Giriamo
ancora un po' cercando i grandi felini. Guidati sempre da Cobus, ci
porta dove già in passato li ha incontrati: nei pressi delle pozze
d'acqua dovrebbe essere più facile vederli e finalmente al terzo
tentativo troviamo i leoni.
Sdraiati
nell'erba alta ci sono sei leoni tra maschi e femmine. Il dominante
con la sua folta criniera non si vede, ma va bene lo stesso. Anche i
maschi presenti, come le leonesse, sono senza criniera.
Non
sappiamo se i maschi non sono adulti, e quindi la criniera non gli è
ancora cresciuta, o perché sottomessi dal dominante. In questo
ultimo caso l'avrebbero persa. Fatto sta che non ci sembra il caso di
andare a chiedere l'età, non si fa.
La
temperatura non è ancora caldissima, ma per i leoni è la fine di
una lunga nottata e stanno per dare inizio al loro riposo. Non ci
pensano nemmeno a
scomodarsi
per una decina di porzioni di carne in scatola che li osservano.
Nemmeno per carne vegetariana. Alcuni sonnecchiano, un paio tengono
sempre mezzo occhio socchiuso e puntato verso di noi, pur dimostrando
aria disinteressata.
Rimaniamo
imbambolati per circa dieci minuti, poi riprendiamo la caccia.
Ora
ci vorrebbe proprio un bell’elefante.
Tel
chi! (Eccolo in milanese).
Nel
campo che costeggia la strada ce ne è uno e lo seguiamo lentamente,
bersagliandolo di fotografie fino ad incrociare la sua rotta.
Anche
se i pachidermi hanno un udito e un olfatto finissimi, non ci vedono
bene, più o meno arrivano a distinguere chiaramente le figure solo
entro un raggio di dieci metri. Poco più della distanza
a cui arriviamo. Comunque ci sente benissimo e passandoci dietro se
ne va.
Magnifico.
Il
giro prosegue con gruppi di antilopi, gazzelle, zebre e orici. Questi
ultimi hanno delle lunghissime corna dritte per difendersi dai leoni,
che di solito attaccano alle spalle. In questo caso, con un semplice
movimento della testa potrebbero tenere a bada il Re. O così le
mogli degli orici raccontano ai mariti.
La
marcia lenta ci porta sempre più vicini ai confini del parco e anche
l'ora è ormai tarda.
Fa
troppo caldo e le speranze di vedere altri grandi felini diventano
nulle.
Prima
di uscire ci consoliamo facendo un book fotografico ad una giraffa
che si lascia riprendere come se stesse posando per postalmarket.
E'
stato bellissimo. Se un giorno riuscirò a tornare al parco Etosha
vorrei starci almeno tre giorni e godermelo appieno.
Sentendo
già un pochino
di nostalgia, usciamo definitivamente dal parco e ci dirigiamo a
Grootfontein, dove l’autista ha ordinato il pezzo di ricambio per
il carrello.
Giunti
a destinazione però scopriamo che il pezzo arrivato è sbagliato.
Dobbiamo aspettare le due del pomeriggio, quando apriranno gli altri
negozi e sperare che loro ce l'abbiano.
Inganniamo
il tempo andando a fare un pochino di spesa.
Mentre
aspettiamo davanti al negozio di ricambi, notiamo un cartello
inquietante che dice "entrate a vostro rischio e pericolo".
Cos'è?
Un negozio per terroristi?
Poi
un'auto con quattro loschi figuri si affianca a noi. Questi ci
guardano qualche secondo e poi se ne vanno.
Ma
dove siamo finiti? A Tor Bella?
Nel
frattempo Cobus va a fare la spesa: stasera vuole cucinare lui gli
spaghetti alla bolognese per tutti! Vegetariani esclusi.
Nell'attesa,
tra una battuta e l'altra su cosa si mangerà, si avvicina a noi
un’altra macchina con una donna. Ci chiede di avvicinarci. Dice di
essere una poliziotta e di fare attenzione al posto dove abbiamo
parcheggiato:
è spesso teatro di atti criminali.
Poi
se ne va lasciandoci un po' spaventati. La città sembra del tutto
normale, anzi, più benestante rispetto alla media incontrata finora,
ma ripensando ai quattro
loschi figuri di poco fa, iniziamo a guardarci attorno un po'
dubbiosi. La spesa del cuoco per una sera diventa un'attesa
lunghissima. Quando arriva gli spieghiamo la situazione e ripartiamo
subito alla ricerca del pezzo di ricambio maledetto.
Visitiamo
tutti i ricambi della città, ma nessuno ha quel che serve a noi.
Visibilmente
alterato, Cobus si trasforma in Rufus e schiaccia a tavoletta verso
Hobas.
Prima
però visitiamo la versione namibiana dei Cenote.
Il
lago Otjikoto era un lago sotterraneo a cui è crollata la copertura,
rivelando un bacino idrico circolare. Nessuno l'ha
mai esplorato completamente e ancora non se ne conosce la profondità.
Circondato
da una magnifica vegetazione, dopo la guerra con i tedeschi
all'inizio del ventesimo secolo, vi furono gettate le armi germaniche
come simbolo della loro resa. Alcune sono state recuperate ed esposte
in un museo, altre giacciono ancora da qualche parte sul fondo.
Dopo
questa piacevole sosta ripartiamo per Hobas. Sulla strada Rufus va
veloce, al contrario dei giorni precedenti. Nessuno però si azzarda
a chiedere se si è scordato della precaria
situazione del carrello.
Solo
dopo un paio d'ore di sterrato arriviamo a destinazione. Il carrello
ha retto. Sperem.
A
Hobas è esposto un grande meteorite ferroso caduto circa 80000 anni
fa e pesante circa 60 tonnellate.
Questo,
ha la più grande massa ferrosa presente sulla terra. Sia io che
Daniele ci chiediamo se è veramente caduta qui e la risposta è sì,
pare che non sia mai stata spostata. Secondo alcune ipotesi, il fatto
che non ci sia nessun cratere da impatto, potrebbe dipendere dalla
sua forma a disco: cadendo avrebbe rimbalzato come quando si lancia
un sasso piatto sull'acqua.
Terminato
il dibattito e le foto, ci rimettiamo in sella, destinazione Roy's
Rest camp, dove arriveremo dopo un'ora circa, praticamente al
tramonto.
Uno
dei camping più belli visitati.
Ha
un fantastico bar e pure il wifi gratis.
Montiamo
le tende, stavolta non sono il primo a finire,
ma mi viene meglio delle altre volte soprattutto perché Cassandra mi
aiuta molto.
A
cena, mentre Cobus cucina il suo ragù, gli tengo compagnia perché
intanto io e Cassandra ci facciamo i fiocchi di soia sull'altro
fornelletto.
Dice
di essere un cuoco qualificato. Io me la rido sotto i baffi,
pregustando già i commenti degli altri quando assaggeranno il ragù
alla bolognese fatto da un sudafricano. Oltretutto, mentre cucina si
sta scolando un litro e mezza di birra.
Tra
una chiacchiera e l'altra, racconta che a casa sua ha diverse piante
di frutta, tra cui due o tre avocado e una papaya. Chissà se posso
piantare anche io l'avocado a Roma. Devo informarmi.
Cucinando
e sorseggiando, la cena è pronta: il mio riso sotto i baffi si
smorza quando vedo le facce compiaciute di chi assaggia la pasta.
Cobus sa il fatto suo. Il ragù esce benissimo, alla faccia mia.
Andiamo
a dormire che fa un gran freddo e passeremo la notte più ghiacciata
del viaggio. La temperatura credo che sia scesa perfino sotto lo
zero.
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