sabato 5 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 11

Cascate Epupa - Villaggio Himba - Mercato Opuwo - Camping più scalcinato della Namibia

Ci svegliamo con il suono delle cascate che ci ha cullato per tutta la notte. Smontiamo il campo e facciamo colazione, in un ora e mezza siamo pronti per farci accompagnare da Owen al villaggio Himba. Prima di partire il ragazzo, anch'esso Himba, mi prende da parte chiedendomi quanto voglio per la mia maglietta con la scritta di G. Best. Mi sta simpatico così gliela regalo facendolo contento. Andiamo a fare la spesa per il villaggio in modo da avere un dono da portare: in uno spaccio chiuso da una grossa inferriata prendiamo farina di mais, olio, sale e zucchero. Praticamente un biglietto d'ingresso per villaggio.
Il viaggio verso il villaggio è breve, ma solo Owen riesce a vedere la pista che si allontana dalla strada sterrata per infilarsi tra i radi alberi della savana.
Giunti a destinazione Owen va a parlare col capo: deve chiedere il permesso di visitare il villaggio e la sua famiglia. Un paio di minuti dopo torna con l'assenso.
Nel frattempo vediamo la mandria di piccole mucche e vitelli che vanno al pascolo nel bush.
La guida ci spiega che il villaggio è formato da poche case in cui vivono le varie mogli del capo coi loro figli e nel centro c'è la capanna principale in cui dorme il capo con la sua prima moglie.
Davanti alla sua capanna c'è il fuoco sacro con cui gli Himba parlano con i loro antenati. Sono infatti di religione animista.

Gli Himba non sono originari di questi luoghi, ma provengono dall'Africa dell'est e sono discendenti dei Bantu.
Quando arrivarono nel sud dell'Africa presero il nome di Owa jimba, diventato poi Owa Himba, popolo delle montagne. La loro ultima migrazione risale a circa centocinquanta anni fa, quando una grande siccità fece morire il novanta per cento del loro bestiame e li portò a stabilirsi in queste terre più fertili.
Oltre a loro c'erano altre due tribù, gli Owa Herero e un'altra di cui però Owen si scorda di parlarci.
Gli Herero oggi si vestono con grandi vestiti coloratissimi che coprono tutto il loro corpo, e cappelli triangolari che sembra nascondano delle corna.
Originariamente anche loro si vestivano come gli Himba, ovvero le donne erano a seno nudo. Il cambiamento avvenne quando in questa zona arrivarono i tedeschi, all'inizio del secolo scorso. Vedendo queste donne bellissime e a seno scoperto, i crucchi persero la testa. Così le loro mogli imposero questo modo di vestire alle donne Herero.
Gli Himba invece continuano a vestirsi come sempre, coprendo solo la parte inferiore del corpo con pochi indumenti, tutto il resto della pelle invece la proteggono dal sole con una mistura di ocra e burro rancido.
Andiamo a conoscere le donne e le salutiamo con il loro Buongiorno "Moro", chiedendo poi come stanno "Perivi" e ricevendo la risposta, bene grazie "Perinaua".

Dai documentari che avevo visto in passato, le donne Himba erano bellissime e magre, così anche i bambini e gli uomini.
Come bellezza ci siamo, ma in quanto alla linea possiamo tranquillamente affermare che le donne non superano la prova costume. Forse perché sono sempre in cinta e in allattamento, forse perché la loro alimentazione viene ormai contaminata dalla nostra ricca di zuccheri. Non essendo un dietologo non saprei dirlo. Comunque tengo a ripetere che anche con qualche chilo in più rispetto ai racconti di Piero Angela, sono molto belle.
I bambini sono tantissimi e, mentre siamo impegnati a fotografarli, viene a salutarci il capo villaggio, il marito di almeno cinque o sei mogli, se le abbiamo contate tutte.
Il capo ci lascia a giocare coi suoi figli e poi torna a intrattenersi con un amico visitatore venuto assieme al figlio, probabilmente in cerca della sua prima moglie.
I bambini si divertono con i telefoni, ma non giocando con le applicazioni: il solo vedere la loro immagine riflessa nello schermo spento è qualcosa di prodigioso. Se poi gli si fa una foto o un filmato tipo selfie, allora il divertimento aumenta.

Nel frattempo le donne Himba iniziano a preparare la colazione: una specie di polentina di mais su un fuoco rovente a cui non riusciamo nemmeno a stare vicini. Loro ci stanno tranquillamente sedute davanti a gambe scoperte, rigirando il pastone con un semplice bastone di legno.
Le molte galline, affamatissime, cercano di avvicinarsi e, ogni tanto beccano dentro la pentola, altre volte invece beccano una bastonata.
Mi viene un dubbio: non è che stanno preparando da mangiare anche per noi?
Ossignur. Già mi vedo febbricitante sulla tazza del water, o chinato dietro un cespuglio mentre invoco san Imodium.
Owen capisce il nostro timore e dice "tranquilli, potete mangiarlo, qui è tutto buono, anche la cacca di mucca è buona" così dicendo ne raccoglie un pezzo e tenta di passarcelo. Non ottenendo seguito fa un altro tentativo e lecca il pezzo di sterco.
"È buono vedete, non succede niente "
Oste? Il conto!
Pier allora dice di spiegare al capo di non offendersi se non accettiamo, ma siamo tutti deboli di stomaco e soprattutto sprovvisti dei loro millenari anticorpi.
Per fortuna il capo capisce, del resto non siamo i primi visitatori.
Tornando alla cacca di mucca, sembra che sia anche l'ingrediente principale per l'impasto che ricopre le capanne in cui vivono. Capanne resistenti alle forti piogge e che possono durare fino a dieci anni.
Owen ci porta a vedere la capanna del capo, dove ci spiega che le donne Himba non possono lavarsi mai. Inizialmente pare fosse per la mancanza di acqua, successivamente per tradizione.
Possono però profumarsi per mezzo di erbe bruciate, nel cui fumo si immergono impregnandosene.
Ultima tappa della visita l'immancabile mercatino.
C'è da contrattare con le donne, sarà dura. Riesco a strappare una collanina per 40 dollari namibiani, circa due euro e rotti. Per loro è tanto, per me poco poco.
Prima di andarcene Cassandra lascia anche due magliette che le Himba accettano volentieri, quindi torniamo alla Jeep dove scopriamo che Cobus ha una nuova inquietante rivelazione da farci: anche una ruota di questo nuovo carrello è a rischio rottura. Mentre facevamo la visita le ha smontate entrambe e fatto un po' di manutenzione. Quindi per telefono ha ordinato un pezzo di ricambio in modo da trovarlo pronto in una delle nostre prossime tappe. Speriamo di arrivarci senza problemi. Secondo lui dovremmo stare tranquilli.
Torniamo a Opuwo dove salutiamo Owen e ci concediamo un giro al supermercato e poi uno al mercato rionale. Niente di eccezionale, se non quando incontriamo una vecchia Herero che ci viene addosso urlandoci qualcosa nella sua lingua in modo un po' minaccioso e intimandoci a comprare una teiera e un calice intagliati nel legno.
Non capiamo nulla di quello che dice ma sembrava qualcosa come "cosa siete venuti a fare qui? Cosa venite a rompere le scatole se almeno non mi comprate le mie cose? E non pensate che poi sarei contenta eh! Dopo urlerei anche più forte così ve ne andate a quel vostro paese!"
Non contenti entriamo nel mercato, quello vero, quello delle baracche, per soli namibiani. Difatti siamo gli unici bianchi. La gente quando ci vede rimane senza parole, oppure inizia a chiamarci a gran voce. Qualcuno ci saluta, come se fosse l'ultima volta che ci vede.
Noi avanziamo senza fermarci, e penso che sia una fortuna. Pier sembra tranquillo e guida il gruppo salutando tutti. 
A chi ricambia chiede come sta, un po' come quando il geometra Calboni arriva a Cortina salutando chiunque, facendo finta di conoscerli:
Principe! Ma che bella sorpresa trovarla qui.”
Ueh mascalzone! Ci si vede dopo da Gepi!”
Commendatore, ossequi alla signora.”
Ah ma ci sei anche tu avvocato?”
Ne usciamo senza nessun problema, senza soste, cosa che secondo me avrebbe potuto costarci carissimo.
Riprendiamo il viaggio e sono le tre del pomeriggio quando arriviamo a un camping indicatoci da Cobus.
Nonostante i prezzi siano molto bassi, chiedendo lo sconto lo otteniamo subito.
Anche le camere costano pochissimo così io e Cassandra ne approfittiamo.
È un camping molto basico, le camere pure, anzi, sono al limite. La prima impressione, chiudendo un occhio può andare bene, alla seconda e alla terza no. Dopo aver constatato la presenza di ragni grossi come medaglie, usciamo e decidiamo invece di montarci la nostra cara vecchia tenda.
Come sempre scelgo un posto all'ombra, ma pieno di sassi. Per di più non abbiamo quasi chiodi e devo piantare molti picchetti. Piantare è un parolone. Alla fine, con molta fatica tiriamo su una roba molle che ricorda gli orologi di Dalì. Del resto non c'è vento per cui non dovrebbero esserci problemi.
Il camping è forse il più scalcinato incontrato finora e capiamo perché ci hanno fatto pure lo sconto.
Nelle camere, oltre che brutte e infestate, non c'è l'acqua. Così come nella sola doccia dei bagni maschili. In quella delle donne c'è, ma è poca e fredda.
La cucina è un buco infestata da ragni, falene e formiche.
Nonostante tutto, Daniele prepara un ottimo riso agli asparagi e per secondo sfodera i fagioli all'uccellone.
Dopo cena accendiamo un bel falò e ci rilassiamo sotto le stelle con la musica alta, ci siamo solo noi in tutto il camping.
Anche stavolta la Via Lattea è visibile, anzi, forse meglio di ieri.
Nonostante il posto al limite, ne esce proprio una bella serata.

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