Cascate Epupa -
Villaggio Himba - Mercato Opuwo - Camping più scalcinato della
Namibia
Ci
svegliamo con il suono delle cascate che ci ha cullato per tutta la
notte. Smontiamo il campo e facciamo colazione, in un ora e mezza
siamo pronti per farci accompagnare da Owen al villaggio Himba. Prima
di partire il ragazzo, anch'esso Himba, mi prende da parte
chiedendomi quanto voglio per la mia maglietta con la scritta di
G. Best.
Mi sta simpatico così gliela regalo facendolo contento. Andiamo a
fare la spesa per il villaggio in modo da avere un dono da portare:
in uno spaccio chiuso da una grossa inferriata prendiamo farina di
mais, olio, sale e zucchero. Praticamente un biglietto d'ingresso per
villaggio.
Il
viaggio verso il villaggio è breve, ma solo Owen riesce a vedere la
pista che si allontana dalla strada sterrata per infilarsi tra i radi
alberi della savana.
Giunti
a destinazione Owen va a parlare col capo: deve chiedere il permesso
di visitare il villaggio e la sua famiglia. Un paio di minuti dopo
torna con l'assenso.
Nel
frattempo vediamo la mandria di piccole mucche e vitelli che vanno al
pascolo nel bush.
La
guida ci spiega che il villaggio è formato da poche case in cui
vivono le varie mogli del capo coi loro figli e nel centro c'è la
capanna principale in cui dorme il capo con la sua prima moglie.
Davanti
alla sua capanna c'è il fuoco sacro con cui gli Himba parlano con i
loro antenati.
Sono
infatti di religione animista.
Gli
Himba non sono originari di questi luoghi, ma provengono dall'Africa
dell'est e sono discendenti dei Bantu.
Quando
arrivarono nel sud dell'Africa presero il nome di Owa jimba,
diventato poi Owa Himba, popolo delle montagne. La loro ultima
migrazione risale a circa centocinquanta anni fa, quando una grande
siccità fece morire il novanta per cento del loro bestiame e li
portò a stabilirsi in queste terre più fertili.
Oltre
a loro c'erano altre due tribù,
gli Owa Herero e un'altra di cui però Owen si scorda di parlarci.
Gli
Herero oggi si vestono con grandi vestiti coloratissimi che coprono
tutto il loro corpo, e cappelli triangolari che sembra nascondano
delle corna.
Originariamente
anche loro si vestivano come gli Himba, ovvero le donne erano a seno
nudo. Il cambiamento avvenne quando in questa zona arrivarono i
tedeschi, all'inizio del secolo scorso. Vedendo queste donne
bellissime e a seno scoperto, i crucchi persero la testa. Così le
loro mogli imposero questo modo di vestire alle donne Herero.
Gli
Himba invece continuano a vestirsi come sempre, coprendo solo la
parte inferiore del corpo con pochi indumenti, tutto il resto della
pelle invece la proteggono dal sole con una mistura di ocra e burro
rancido.
Andiamo
a conoscere le donne e le salutiamo con il loro Buongiorno "Moro",
chiedendo poi come stanno "Perivi" e ricevendo la risposta,
bene grazie "Perinaua".
Dai
documentari che avevo visto in passato, le donne Himba erano
bellissime e magre, così anche i bambini e gli uomini.
Come
bellezza ci siamo, ma in quanto alla linea possiamo tranquillamente
affermare che le donne non superano la prova costume. Forse perché
sono sempre in cinta e in allattamento, forse perché la loro
alimentazione viene ormai contaminata dalla nostra ricca di zuccheri.
Non essendo un dietologo non saprei dirlo. Comunque tengo a ripetere
che anche con qualche chilo in più rispetto ai racconti di Piero
Angela, sono molto belle.
I
bambini sono tantissimi e, mentre siamo impegnati a fotografarli,
viene a salutarci il capo villaggio, il marito di almeno cinque o sei
mogli, se le abbiamo contate tutte.
Il
capo ci lascia a giocare coi suoi
figli e poi torna a intrattenersi con un amico visitatore venuto
assieme al figlio, probabilmente in cerca della sua prima moglie.
I
bambini si divertono con i telefoni, ma non giocando con le
applicazioni: il solo vedere la loro immagine riflessa nello schermo
spento è qualcosa di prodigioso. Se poi gli si fa una foto o un
filmato tipo selfie,
allora
il divertimento aumenta.
Nel
frattempo le donne Himba iniziano a preparare la colazione: una
specie di polentina di mais su un fuoco rovente a cui non riusciamo
nemmeno a stare vicini. Loro ci stanno tranquillamente sedute davanti
a gambe scoperte, rigirando il pastone con un semplice bastone di
legno.
Le
molte galline, affamatissime, cercano di avvicinarsi e, ogni tanto
beccano dentro la pentola, altre volte invece beccano una bastonata.
Mi
viene un dubbio: non è che stanno preparando da mangiare anche per
noi?
Ossignur.
Già mi vedo febbricitante sulla tazza del water, o chinato dietro un
cespuglio mentre invoco san Imodium.
Owen
capisce il nostro timore e dice "tranquilli, potete mangiarlo,
qui è tutto buono, anche la cacca di mucca è buona" così
dicendo ne raccoglie un pezzo e tenta di passarcelo. Non ottenendo
seguito fa un altro tentativo e lecca il pezzo di sterco.
"È
buono vedete, non succede niente "
Oste?
Il conto!
Pier
allora dice di spiegare al capo di non offendersi se non accettiamo,
ma siamo tutti deboli di stomaco e soprattutto sprovvisti dei loro
millenari anticorpi.
Per
fortuna il capo capisce, del resto non siamo i primi visitatori.
Tornando
alla cacca di mucca, sembra che sia anche l'ingrediente principale
per l'impasto che ricopre le capanne in cui vivono. Capanne
resistenti alle forti piogge e che possono durare fino a dieci anni.
Owen
ci porta a vedere la capanna del capo, dove ci spiega che le donne
Himba non possono lavarsi mai. Inizialmente pare fosse per la
mancanza di acqua, successivamente per tradizione.
Possono
però profumarsi per mezzo di erbe bruciate, nel cui fumo si
immergono
impregnandosene.
Ultima
tappa della visita l'immancabile mercatino.
C'è
da contrattare con le donne,
sarà dura. Riesco a strappare una collanina per 40 dollari
namibiani, circa due euro e rotti. Per loro è tanto, per me poco
poco.
Prima
di andarcene Cassandra lascia anche due magliette che le Himba
accettano volentieri, quindi torniamo alla Jeep dove scopriamo che
Cobus ha una nuova inquietante rivelazione da farci: anche una ruota
di questo nuovo carrello è a rischio rottura. Mentre facevamo la
visita le ha smontate entrambe e fatto un po' di manutenzione. Quindi
per telefono ha ordinato un pezzo di ricambio in modo da trovarlo
pronto in
una delle nostre prossime tappe. Speriamo di arrivarci senza
problemi. Secondo lui dovremmo stare tranquilli.
Torniamo
a Opuwo dove salutiamo Owen e ci concediamo un giro al supermercato e
poi uno al mercato rionale. Niente di eccezionale, se non quando
incontriamo una vecchia Herero che ci viene addosso urlandoci
qualcosa nella sua lingua in modo un po' minaccioso e intimandoci a
comprare una teiera e un calice intagliati nel legno.
Non
capiamo nulla di quello che dice ma sembrava qualcosa come "cosa
siete venuti a fare qui? Cosa venite a rompere le scatole se almeno
non mi comprate le mie cose? E non pensate che poi sarei contenta eh!
Dopo urlerei anche più forte così ve ne andate a quel vostro
paese!"
Non
contenti entriamo nel mercato, quello vero, quello delle baracche,
per soli namibiani. Difatti siamo gli unici bianchi. La gente quando
ci vede rimane senza parole, oppure inizia a chiamarci a gran voce.
Qualcuno ci saluta, come se fosse l'ultima volta che ci vede.
Noi
avanziamo senza fermarci, e penso che sia una fortuna. Pier sembra
tranquillo e guida il gruppo salutando tutti.
A chi ricambia chiede
come sta, un po'
come
quando il geometra Calboni arriva a Cortina salutando chiunque,
facendo finta di conoscerli:
“Principe!
Ma che bella sorpresa trovarla qui.”
“Ueh
mascalzone! Ci si vede dopo da Gepi!”
“Commendatore,
ossequi alla signora.”
“Ah
ma ci sei anche tu avvocato?”
Ne
usciamo senza nessun problema, senza soste, cosa che secondo me
avrebbe potuto costarci carissimo.
Riprendiamo
il viaggio e sono le tre del pomeriggio quando arriviamo a
un camping indicatoci da Cobus.
Nonostante
i prezzi siano molto bassi, chiedendo lo sconto lo otteniamo subito.
Anche
le camere costano pochissimo
così io e Cassandra ne approfittiamo.
È
un camping molto basico, le camere pure, anzi, sono al limite. La
prima impressione, chiudendo un occhio può andare bene, alla seconda
e alla terza no. Dopo aver constatato la presenza di ragni grossi
come medaglie, usciamo e decidiamo invece di montarci la nostra cara
vecchia tenda.
Come
sempre scelgo un posto all'ombra, ma pieno di sassi. Per di più
non abbiamo quasi chiodi e devo piantare molti picchetti. Piantare è
un parolone. Alla fine, con molta fatica tiriamo su una roba molle
che ricorda gli orologi di Dalì. Del resto non c'è vento per cui
non dovrebbero esserci problemi.
Il
camping è forse il più scalcinato incontrato finora e capiamo
perché ci hanno fatto pure lo sconto.
Nelle
camere, oltre che brutte e infestate, non c'è l'acqua. Così come
nella sola doccia dei bagni maschili. In quella delle donne c'è, ma
è poca e fredda.
La
cucina è un buco infestata da ragni, falene e formiche.
Nonostante
tutto,
Daniele prepara un ottimo riso agli asparagi e per secondo sfodera i
fagioli all'uccellone.
Dopo
cena accendiamo un bel falò e ci rilassiamo sotto le stelle con la
musica alta, ci siamo solo noi in tutto il camping.
Anche
stavolta la Via Lattea è visibile, anzi, forse meglio di ieri.
Nonostante
il posto al limite, ne esce proprio una bella serata.
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