Per me sarà difficile
raccontare questa giornata surreale. Sinceramente avrei preferito concludere
questo viaggio meraviglioso e questo racconto in un modo differente, ma le così
sono andate così…
L’appuntamento è alle 9.
La guida si presenta alle 9:20, ottimo biglietto da visita.
Zita è una signora
anziana e di origine armena, con una protesi alla gamba e un italiano a tratti
un po’ incerto.
Racconta che oggi ci
farà fare un tour panoramico che di solito non fa fare a nessuno.
Siamo fortunati, pensa
te che culo!
Del Corano originale
però abbiamo capito solo che i russi lo avevano preso e portato a Mosca. Dopo
ripetute richieste di restituzione Lenin aveva acconsentito a rimandarlo
indietro, ma finì in un’altra città. Come è tornato a Tashkent non l’abbiamo
mai capito.
Qui lo stato
confusionale aumenta. Prima veniamo portati in un parco dove c’è la statua del
Petrarca uzbeko, poi rimaniamo bloccati nel traffico del centro e Zita parte
con altre storie dell’Unione Sovietica miste a suoi ricordi ed episodi di vita.
Vediamo solo da fuori e velocemente il teatro Alisher Navoi. Di nuovo in pulmino
con le “magiche” storie di Zita. Si fa molto fatica a seguirla e a volte a
trovare un filo logico.
Tra un semaforo e
l’altro arriviamo all’ora di pranzo.
Il malumore inizia ad
essere evidente da entrambe le parti.
Dopo pranzo la situazione degenera.
Ci fermiamo per vedere
una chiesa armena, molto bella, ma il tempo a nostra disposizione era solo per
scendere dal pulmino, fare una foto dalla strada e ripartire.
Poi Zita ci porta a
vedere la scuola dove ha studiato e il suo quartiere, così ci parla per la
quarta volta del terremoto che colpì la città e dei canali. Vediamo l’imponente
e bruttissimo l’hotel Uzbekistan e il museo dei timuridi, che sarebbe
interessantissimo, ma non possiamo neanche scendere dal pulmino. Per gentile
concessione facciamo la rotonda due volte, così lo vediamo meglio.
La prima sosta arriva
ad una moderna chiesa gotica. Il dibattito del gruppo ormai è incentrato: di
quanto dobbiamo diminuire la mancia di Zita?
Speriamo che ci faccia
cambiare idea.
Quando risaliamo e ricominciamo a girare, all’ennesimo racconto del terremoto, le chiediamo se ora possiamo andare al mercato Chorsu. Scoppia la bomba. Non ci porta e inizia a fare storie per la benzina che stiamo consumando, più altre chiacchiere che ci fanno rimanere imbottigliati perdendo tempo e arrabbiare ancora di più.
Qualcuno inizia a
perdere la pazienza…
Pausa caffè?
Dopo il caffè proviamo
a dirigere la visita su alcune cose che c’erano nel programma originale, ma c’è
poco da fare… Quando passiamo per la terza volta davanti allo stesso monumento,
che tra le altre cose è anche vicino alla piazza dell’Indipendenza che dovevamo
vedere, chiediamo che si fermi così da poterla vedere di persona, non dal
finestrino.
Meglio così perché
ormai il gruppo aveva deciso di cancellare del tutto la sua mancia.
Il suo atteggiamento,
chiaramente avverso e poco professionale palpabile anche senza le traduzioni di
Gaia, hanno fatto sì che il nostro ultimo giorno degenerasse in un’altra
giornata inutile.
Ci sfogheremo a cena,
in un locale all’aperto, su uno dei tanti canali che attraversano la città.