venerdì 9 ottobre 2020

Lockdown – UnlockUp

Che brutta parola Lockdown, non mi è mai piaciuta. Per fortuna è finita e, speriamo non torni. Già da qualche mese siamo liberi di uscire, ma definirlo un periodo post lockdown mi sembra anche più brutto e inappropriato. Ci vuole qualcosa di diverso.

Inizialmente avevo pensato di chiamarlo “Hanno aperto le gabbie" oppure "Welcome to the jungle” come mi veniva da dire le prime volte che uscivo e trovavo una marea di gente che passeggiava. Non ci ero più abituato. Effettivamente non suonava molto bene, così ho pensato anche a “Liberate i cani!!!”, ma anche questo non è il massimo... Il più politically correct forse è semplicemente il contrario di quello che c’era prima, e quindi il contrario di lockdown che è unlockup, ovvero bloccare e sbloccare.

Il lockdown è stato un periodo strano, brutto per tutti.

Personalmente ho combinato poco di quello che pensavo avrei potuto fare in caso di pandemia o invasione zombie. Suonerà strano, ma da quando vivo a Roma ogni tanto mi sono trovato a pensare a queste due eventualità. Forse erano pensieri dettati dal fatto di aver cambiato vita in modo radicale, o forse era un’idea nata solo per le scorte dell’ottava armata che Cassandra è solita stipare in tutta la casa. Effettivamente avremmo potuto sopravvivere con esse per tutto il lockdown senza mai dover uscire di casa. Avremmo.

Nelle mie fantasie apocalittiche avevo anche immaginato che con così tanto tempo a disposizione mi sarei messo a scrivere chissà quanti romanzi. La realtà è stata molto differente e in fin dei conti ho scritto veramente poco. In parte è stata colpa del fatto che stavo lavorando a due libri contemporaneamente e la cosa mi rallentava. Mentre stavo scrivendo per una storia infatti, mi veniva in mente un’idea per l’altra, e così e mi toccava fermarmi, buttare giù l’idea per non farla evaporare, quindi riprendere da dove avevo interrotto.

Forse però è stato lo shock del cambiamento a frenarmi.

Per me tutto è iniziato due giorni prima della scoperta del focolaio di Codogno. Il 19 febbraio mio nonno Gino detto “Baraonda” ci ha lasciato.

Tornato a Milano per il funerale, il caso vuole che il giorno successivo, venerdì 21, ci fosse un evento aziendale.

La mattina del 21 febbraio arrivai in ufficio, dove ho rivisto con piacere i miei colleghi e ritrovato per la prima volta dopo cinque anni un volto amico. Mario si era infatti licenziato ed era andato in Brasile a fare il gelataio, aveva anche comprato casa e trovato una compagna. Tornato in Italia nemmeno da un mese, sono andato dritto da lui a salutarlo anche perché, se devo essere sincero, non pensavo lo avrei più rivisto dopo che si era dimesso.

Proprio mentre gli stringo la mano inizio a sentire voci su un possibile caso di Covid proveniente da Codogno.

Mario è di Codogno.

Quando le voci si intensificarono ipotizzando una fantomatica zona rossa, Mario torna a casa senza salutare. Nessuno se l’è presa per questo.

Ero tranquillo, Mario stava bene, figurati se mi ha contagiato. Poi durante il giorno le voci sono aumentate e un altro collega, di Lodi, scopre altre notizie sul “paziente uno”. Il lodigiano era stato ad una gara podistica dove anche il “paziente uno” aveva partecipato.

Premetto che Mario non si è mai ammalato, ma quando sono tornato a Roma mi hanno subito messo in quarantena facendomi così lavorare in smart working.

"Sono solo tre settimane, forse poche, ma va bene così, non si può avere tutto. Avrò più tempo per uscire ad allenarmi."

Sfortunatamente allo scadere delle tre settimane è iniziato il vero lockdown.

Come dicevo, ho lavorato poco ai libri, specie se si considera tutto il tempo che avevo a disposizione.

Che cosa hai fatto allora?

Riordinato casa.

Cassandra è stata presa dalla furia della dea dell’ordine e così abbiamo passato buona parte del nostro tempo libero, (non abbiamo TV), a setacciare la casa in cerca di cianfrusaglie, oggetti o vestiti fuori posto. Non potevo immaginare che in una piccola casa di cinquanta metri quadri ci fosse così tanta roba inutile.

Il resto del tempo è stato impiegato per cercare di capire tramite internet cosa stesse succedendo fuori.

Dato che la mia connessione internet a casa faceva schifo, per lavorare dovevo andare dai genitori di Cassandra, Priamo ed Ecuba. Anche se era per lavoro, dovevo farmi un paio di chilometri al giorno in auto. Inevitabilmente è scattata l'ansia da autocertificazione. Ogni volta che usciva un nuovo decreto dovevo stampare quattro autocertificazioni, così alla fine avevo un blocco di autocertificazioni pronte all’uso, che però non ho mai usato. Nessuno mi ha mai fermato.

Il peggio però doveva ancora arrivare per me. All’inizio del lockdown si poteva ancora uscire per svolgere attività fisica, ma sono riuscito comunque a correre pochissimo e ho imparato una cosa: il tiro al piattello non fa per me, soprattutto se nei panni del piattello ci sono io.

Appena uscivo di casa per correre, sempre ad orari tardi, con il buio che poteva iniziare a coprire la presenza dei runner, la prima cosa che sentivo era:

Pool!

La caccia era aperta, venivo bersagliato di insulti e, in alcuni casi, da oggetti contundenti. Per fortuna “gli sportivi” avevano bisogno di molta pratica per centrare il bersaglio, ma io non ho voluto dargli questa possibilità ed ho deciso di ritirarmi definitivamente in casa.

Mi sono dato allora agli esercizi a corpo libero, e dopo due settimane non ne potevo più.

Come i matti di cui si vedevano i filmati su whatsapp, e di cui ho riso anche io, mi sono messo a correre in casa… Una cosa quasi impossibile e con risultati pressoché inutili, sebbene dopo quaranta minuti di corsa, nonostante uno strano dolore alle ginocchia, mi sentissi un pochino meglio. Non era un vero allenamento, anzi, ma almeno l’appuntamento serale dava quell’illusione di normalità che ero solito rispettare, soprattutto quando ero in preparazione per la maratona, cosa che quest’anno non avrei potuto fare. Per fortuna ho degli amici runner molto smart. Il giorno in cui ci sarebbe dovuta essere la maratona di Roma, il gruppo G6 ha organizzato una maratona virtuale a staffetta, la MartHome: ognuno di noi doveva correre almeno due chilometri in casa e possibilmente in diretta internet su Zoom. Sfruttando anche il terrazzo, e aprendo una porta finestra che non pensavo si potesse aprire, ne è uscito un bel circuito di circa venti metri. Agitato ed emozionato come prima di una gara mi sono allora vestito da runner, ho stampato il pettorale della MaratHome con il mio numero di pettorale 1000 applicandolo alla maglietta e, supportato da Cassandra che ha ripreso l'evento, sono partito. Mi sono anche divertito, ma da lì ho capito che dovevo fare qualcosa di più se volevo uscirne ancora sano di mente.

Mi sono messo alla ricerca di un tapis roulant che potessi ordinare e farmi arrivare a casa. Ovviamente ci avevano pensato molte altre persone prima di me. Tutte le scorte erano esaurite e il sito di Decathlon terminava la possibilità di acquisto per ogni giorno in meno di cinque minuti. Solo a partire dalla mezzanotte infatti si poteva ordinare sul sito. Peccato che ogni volta il sito era talmente intasato che quando mi appariva la pagina, gli acquisti erano già esauriti.

Per due o tre settimane sono stato concentrato su come riuscire a recuperare un tapis roulant, poi il padre di Cassandra, Priamo, mi dice: “Mi pare che in catacomba ci sia un tapis roulant”.

Sapevo che c’era una piccola palestra nella cantina del loro palazzo, ma non del tapis roulant.

Mi precipitai nelle catacombe dove ho trovato un’intera palestra amatoriale pronta per essere spolverata da due dita di polvere. C’erano anche un vecchio tapis roulant ed una cyclette. Erano vecchi attrezzi rotti che non avevano più il computer di gestione, ma in quella situazione potevano ancora essere usati.

Il tappeto era solo a spinta, non c’era il motore e non ci si poteva correre, solo camminare come se si fosse in montagna, ma l’ho usato lo stesso, a volte per quasi un’ora al giorno. Essendo molto faticoso, mi sono diviso tra il tappeto e la cyclette, poi col tempo ho usato di più la cyclette, decisamente più comoda.

Ho trascorso tutto il resto del lockdown rinchiuso in questa palestra-cantina ad allenarmi in attesa di trovare uno spiraglio informatico che mi facesse penetrare le difese del sito Decathlon.

Purtroppo il tappeto sono riuscito ad ordinarlo solo alla fine del lockdown, quando era già possibile uscire di casa per recarsi in negozio a fare il ritiro degli acquisti on-line.

Quando accadde l’evento, mi recai assieme a Cassandra a prenderlo, ma al momento del ritiro, in attesa della scatola, la profetessa ne ha sparata una delle sue: “Sei sicuro che sto coso ci sta in auto?”.

"Certo che ci sta, ho caricato delle librerie ben più lunghe senza problemi."

Il tappeto non ci stava. La mia macchina era troppo piccola per la scatola.

Stavamo quasi per andarcene per recuperare il carro reale di Priamo, quando Cassandra ha lanciato un altro dei suoi anatemi: “Non sarebbe possibile farselo spedire a casa? Tenervelo in negozio non credo sia utile per nessuno, chissà cosa ne penserebbero gli Dei”. Spaventati da questa possibilità, i gentilissimi ragazzi di Decathlon ci proposero la consegna, dovevamo solo avere la pazienza di aspettare qualche altro giorno.

Come ad un vincitore del superenalotto a cui viene sottratta la schedina vincente per la verifica notarile, ho accettato a malincuore.

Pochi giorni dopo il tappeto era in consegna. Purtroppo la mia via era stata chiusa per essere asfaltata proprio quella mattina. Io e Cassandra allora siamo dovuti correre dietro il camion e farcelo lasciare in strada così com’era. Dato che a mano era impossibile trasportarlo, lo abbiamo caricato sull’auto e per duecento metri siamo andati in retromarcia e con il portellone aperto, dove finalmente abbiamo scaricato l’oggetto dei miei sogni e incubi degli ultimi mesi.

Acquisto inutile? Non credo proprio. Il lockdown era finito, ma quando provai ad uscire per correre scoprii che avevano veramente aperto le gabbie: in barba al decreto anti-assembramenti, tutti i luoghi dove ero solito allenarmi, quasi desolati per la mancanza di presenze umane, erano stati invasi da sciami di persone.

Per fortuna avevo il mio tapis roulant.

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