Prosegue la fuga dal caldo. Stavolta per dargli un taglio netto,
dobbiamo salire di livello. Quindi ci dirigiamo verso il Gran Sasso, ma invece
di andare in direzione Campo Imperatore, andiamo a destra verso il rifugio
Racollo, presso il lago Racollo. Siamo a circa 1400 metri, per cui si sta
benissimo. Camminiamo un pochino in una grande piana verde, senza praticamente
anima viva all’infuori di noi. In lontananza, poco sopra una collina, spiccano
i resti di un monastero del 1200.
Siamo diretti proprio lì come prima tappa,
non posso fare quindi a meno di fotografarne ogni pietra, connessa o sconnessa
che sia, cercando di prendere gli scorci della valle sottostante da ogni
angolazione.
La prossima tappa è il secondo lago, poco più avanti del
monastero. Come il primo ha poca acqua, ma rispetto al precedente è sufficiente
per ospitare una colonia di rane e volatili, nonché piante acquatiche.
Il sentiero risale leggermente verso un’altra grande pianura
dove pascola un gregge di pecore, ma appena ci muoviamo per valicare il passo,
un paio di cani pastore iniziano a lanciare l’allarme intrusi. Sono pastori
maremmani, ‘sti infami. Memore dei quattro punti di sutura che mi hanno
lasciato come ricordo quattro anni fa, decido di desistere e cercare un posto
all’ombra dove consumare il nostro pranzo al sacco.
Saliamo sulla collina che separa il laghetto dal monastero e da
lontano osservo la situazione del gregge e dei pastori assassini. Ce ne sono
almeno dieci. Abbiamo fatto bene a fermarci lì, non si sa mai.
Con calma torniamo indietro fino alla macchina per dirigerci
verso luoghi più civilizzati.
Rocca Calascio è a circa venti chilometri dal lago Racollo, in
direzione Santo Stefano di Sessanio. Ci godiamo il viaggio su questo altipiano
rinfrescante, almeno finché non arriviamo a Rocca Calascio, dove troviamo
un’invasione in corso. Il borgo infatti è preda di un’orda di turisti che
cercano qualcosa da mangiare o un passaggio verso la rocca.
Dopo aver faticato per trovare parcheggio torniamo verso il
centro a piedi e ci informiamo per la navetta che porta su alla Rocca vera e
propria. Pare infatti che non ci sia alternativa con tutta questa gente.
Prendiamo i biglietti e ci mettiamo in fila assieme ad un sacco di gente che
brontola come se ci fosse uno sciopero dell’ATAC. Quando finalmente arriva il
nostro turno e saliamo in alto, ci rendiamo conto che forse abbiamo fatto bene
ad aspettare. La strada non è breve e in cima non c’è praticamente posto per parcheggiare.
Attraversiamo il borgo a piedi, tra effluvi di arrosticini e
gente che impreca perché i bar sono tutti chiusi e non ci sono bagni. Quando ne
usciamo non è ancora finita: si sale ancora. Percorriamo un sentiero abbastanza
ampio ma isolato, sopra il quale scorgiamo i resti di un altro borgo in rovina.
In fine arriviamo alla chiesa esagonale che troneggia davanti al
sentiero, sullo sfondo l’altipiano verde. Molto bello e panoramico, ma questo è
solo l’antipasto, perché alle nostre spalle c’è la vera Rocca Calascio.
Usata come cornice per film come “Ladyhawke” e “Il nome
della Rosa”, i resti della Rocca sono praticamente come nelle scene girate in
esterno di “Ladyhawke”,
con il ponte levatoio, qui fisso, che separa la Rocca dal resto dei ruderi.
Ovviamente nella Rocca non c’è niente da vedere, se non il
panorama. Gli scorci sono molto belli e meritano la fatica per arrivare qui,
così come la pazienza spesa nello schivare gli altri turisti. È pomeriggio
inoltrato e, se non ricordo male, quando Gaston porta il falco ferito ad
Imperius, è pressapoco la stessa ora. Certo la folla di turisti non aiuta, ma
in alcuni brevi momenti in cui la gente si dirada, si riesce ancora a
intravedere qualcosa di quell’atmosfera medievale.
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