venerdì 18 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 24

Johannesburg - Dubai – Roma




Nottata quasi in bianco durante il volo per Dubai.

Comunque io, Cassandra, Pier, Giovanni e Pietro decidiamo di uscire a fare una visita veloce della città.

E' mattina, ma appena fuori dell'area condizionata dell'aeroporto, ci imbattiamo nel muro di calore che opprime questa zona desertica.

Con un taxi, qui costano davvero poco, ci facciamo portare al Suk dell'oro e in venti minuti ci reimmergiamo nell'atmosfera afosa degli emirati.

In giro non c'è molta gente, il caldo è asfissiante. Basta un'occhiata ai negozi di oro per capire quanto ci tengano e quanto il livello medio di ricchezza sia alto. Vetrine stipatissime di gioielli a ventidue carati che stordirebbero qualunque uomo che accompagna una donna a fare shopping, vengono ignorate da Cassandra. Per fortuna non le interessano, dice che è troppo puro, si ammaccherebbe al primo colpo.

Cercando di rimanere all'ombra, attraversiamo il primo suk e approdiamo a quello delle spezie, dove ci riconoscono subito come italiani.

Fa troppo caldo, Pier non ci sta più dentro e propone di cercare un centro commerciale con aria condizionata per rinfrescarci le idee e decidere cosa fare.

Camminiamo per una decina di minuti prima di trovare il più brutto e piccolo centro commerciale di Dubai, dove però la frescura ci restituisce la parola e la ragione.



Decidiamo di andare a vedere il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa. Usciamo e prendiamo un altro taxi che in un quarto d'ora ci scarica all'ingresso del Dubai Mall.

Questo si è che un centro commerciale. Immenso, sconfinato, non so quanti piani abbia, considerando anche i sotterranei. Quello che vediamo subito sono il grandissimo acquario, un mare di negozi e un paio di cascate.

Poi troviamo la biglietteria del Burj Khalifa e scegliamo di pagare 35 dollari a testa per salire fino al centoventicinquesimo piano del grattacielo. Il centoquarantottesimo, l'ultimo visitabile, sarebbe costato più di cento dollari. Anche no.

Seguendo le indicazioni della hostess, ci incamminiamo verso l'ingresso del grattacielo attraversando tutto il centro commerciale mettendoci una decina di minuti a passo veloce.

Prendiamo l'ascensore e in un batter d'occhio siamo al centoventicinquesimo.

Una vista incredibile. Probabilmente siamo più in alto di alcuni voli panoramici fatti durante il viaggio.



Tutto il quartiere di grattacieli attorno a noi sembra un plastico in scala e la famosa vela, che si scorge in lontananza leggermente ottenebrata dalla foschia afosa, non appare così imponente come un tempo. Dietro di lei si intravede la forma della palma artificiale costruita in mezzo al mare.

Giovanni vede altre isole e dice che le stanno costruendo a forma di mappa mondiale. Io gli dico che si sbaglia, saranno solo isolette di sabbia, sembrano abbandonate.

In realtà aveva ragione lui, ma è anche vero che per contenziosi con l'Oman il progetto è stato interrotto, forse abbandonato.

Giriamo tutto il piano fotografando ogni angolo del panorama, poi ce ne torniamo alla base, dobbiamo incontrarci con Pier che è rimasto a terra.

Il volo ci aspetta, l'ultimo di questa vacanza.

Salutiamo i milanesi e ci mettiamo in attesa, cercando di non addormentarci.

Ormai è finita. Mentre salgo i gradini dell'aereo, mi chiedo se e quando verrò colto dal famoso mal d'Africa. Chissà se colpirà anche me?

Quello che so però, è che nonostante la vita in tenda, perennemente in viaggio attraverso paesi che non brillano per condizioni igienico sanitarie, non sono mai stato male. Non ho portato a casa neanche un mal di testa, un raffreddore o un mal di pancia.

La cosa mi fa ben sperare perché se mai mi verrà il mal d'Africa, quando tornerò da queste parti non mi ammalerò, se non di nostalgia.

giovedì 17 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 23

Cascate Vittoria – Johannesburg

Non c'è molto da dire su questa giornata.
Divine viene a prenderci verso le dieci di mattina e ci accompagna in aeroporto, dove prendiamo il primo volo per Johannesburg, si torna quindi in Sudafrica.
In aeroporto chiedo a quelli della Emirates se stavolta mi daranno un pasto senza carne e pesce, ma ancora una volta mi dicono che loro non sapevano nulla delle mie preferenze.
Non possono fare niente nemmeno per il volo da Dubai a Roma. Due giorni senza mangiare?
Li mortacci loro!
Per fortuna abbiamo ancora gli ultimi scampoli delle nostre riserve, altrimenti avrei dovuto svaligiare tutte le pringles del duty free.
Atterriamo tardi a Johannesburg, è pomeriggio inoltrato. Anche cercando di fare in fretta, non c'è molto tempo per uscire a fare una veloce visita di Soweto. Inoltre Cobus ce lo ha sconsigliato vivamente perché è troppo pericoloso di giorno, figuriamoci al calar della sera.
Effettivamente nessuno opta per la visita, così attendiamo il volo notturno.

mercoledì 16 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 22

Cascate Vittoria - Zambia - Cascate Vittoria

Mi sveglio presto, vorrei cercare di risolvere in fretta la faccenda del vetro. Ieri sera ho portato il sacco con i resti del comodino al guardiano di notte e ho chiesto di farmi sapere quanto avrei dovuto pagare. Scendo senza troppe speranze, ma poi scopro che il danno ammonta a soli 10 dollari.
Tutto qui? Quasi quasi ne faccio rompere un altro paio.
Sollevati dal peso del debito estinto, ci avviamo verso le Cascate Vittoria, che distano due o tre chilometri a piedi dal nostro hotel.
Resistiamo al solito assalto dei venditori ambulanti. Ho scoperto che se non gli si dà retta facendo scena muta, mollano il colpo più facilmente.
E
d eccoci all'ultima grande tappa di questo viaggio.
Anche se sono state scoperte dal Dottor Livingstone, di cui troneggia una grande statua all'interno, Cassandra ci tiene a puntualizzare: "Scoperto de che? Le cascate stavano qua anche prima del suo arrivo!"
Doctor Cassandra, I suppose.
Il prezzo del biglietto è un po' troppo caro, trenta dollari. Del resto, siamo a Victoria Falls, dove tutto è caro.
Già dai primi affacci sugli strapiombi capiamo che sarà una visita fortunata, ovvero bagnata.
Ognuno si attrezza come può per impermeabilizzarsi. Io e Cassandra adottiamo il metodo maratona: un grosso sacco nero della monnezza da cui facciamo sporgere testa e braccia. Ci copre fino ai polpacci proteggendoci bene. Tutto il resto finirà a mollo.
Ci dirigiamo verso il bacino da cui il fiume spicca il salto nel vuoto e poi proseguiamo verso i vari punti panoramici, scattando foto quando si può, catturando arcobaleni, singoli e doppi.

Man mano che si avanza verso il punto di osservazione finale, la faccenda si inumidisce sempre più. Alcuni affacci sembra siano spazzati da una fitta pioggia talmente è tanta l'acqua sollevata dalle cascate. A volte non riusciamo nemmeno a estrarre la fotocamera. In ogni caso avanziamo imperterriti, incuranti delle scarpe che fanno acqua da tutte le parti, anche perché di bagnato abbiamo solo quello. Caterina, Pier e Giovanni, senza la minima protezione, sono letteralmente fradici. Temerari fradici, ma temerari.
Dall'affaccio finale si vedono quasi tutte le cascate, quando l'acqua non ci inonda. Uno spettacolo naturale davvero imperdibile. Anche alle spalle delle cascate c'è poi un angolino dove il doppio arcobaleno è visibilissimo e probabilmente il più fotografato.
Questo è un posto magico e mi dicono che sia uno degli unici siti dove, quando c'è la luna piena, sia possibile ammirare l'arcobaleno lunare.

Zuppi, ma contenti, arriviamo fino al ponte che fa da confine con lo Zambia, però il passaggio è chiuso: dobbiamo uscire per tentare lo sconfinamento.
Ritorniamo all'ingresso per consentire ai fracicati (come si dice a Roma) di asciugarsi e cambiarsi. Poi prendiamo la strada per il confine seguendo la lunghissima fila di camion parcheggiati in attesa di poter passare sul ponticello che divide i due stati.

Alla dogana ci fanno un lasciapassare per permetterci di arrivare sul ponte senza espatriare, quindi proseguiamo.
Il ponte è piccolo e non mi sembra troppo solido, soprattutto quando un autotreno lo attraversa facendolo vibrare. Forse per questo c'è sempre una fila chilometrica sia in Zimbabwe che in Zambia, fanno attraversare un tir alla volta.

A piedi invece non ci sono problemi. Sono molti i turisti che vi passeggiano scattando foto al fiume sottostante, ai pazzi che si lanciano con il bungee jump e alla linea di confine bianca che in mezzo al ponte segna il limite di territorialità tra Zimbabwe e Zambia.
La attraversiamo cercando di andar anche oltre, magari entrando nell'altro parco delle Cascate Vittoria, ma ci dicono che per quello è necessario il visto, così ritorniamo indietro.
Schivando i venditori che cercano di accollarsi ritorniamo in terra zimbabwese.
Il resto della giornata è relax, in attesa che ci vengano consegnate le magliette che abbiamo fatto stampare.
Io e Cassandra ci spaparanziamo in hotel, poi usciamo per prendere qualcosa da mangiare a cena. Passiamo all'ufficio dove dovrebbero consegnarci le magliette ma ancora non sono arrivate. Forse ce le portano in albergo stasera.
Dopo aver mangiato in camera, e non aver rotto nessun vetro, scendiamo e troviamo finalmente le magliette, che indossiamo subito. Carine, un bel ricordo per un bellissimo viaggio.

martedì 15 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 21

Kazungula - Victoria Falls




Questa mattina affrontiamo l'ultima brevissima tappa che ci porterà in Zimbabwe. Per l'ultima volta carichiamo il trailer e pian piano ci muoviamo verso il confine, dove Divine, il contatto dell’autista, ci aspetta.

Cobus, alias Cobus Malus, alias Rufus, alias Huber, oggi ci saluta. Il suo lavoro con noi finisce qui. Lo aspetta ancora un lungo viaggio per andare a restituire il carrello a Windhoek, recuperare il vecchio trailer rotto, e infine ritornare a Pretoria.

Salutiamo così il grande sudafricano che ci ha fatto da guida oltreché da autista, qualche volta da cuoco (anche se io e Cassandra abbiamo ovviamente bypassato i piatti carnivori), comunque un simpatico compagno di viaggio. Nonostante il suo aspetto burbero, con piacere ho condiviso con lui una birra mentre cucinavamo, a volte un arancio, a volte una battuta. Era un attore nato. Dovevate vederlo durante i controlli alle dogane quando gli chiedevano se trasportavamo carne e lui rispondeva:

"Ma quale carne?! Questi sono italiani e pure vegetariani! Mi fanno mangiare solo spaghetti al pomodoro, 'sti 'nfami!".

In realtà non avevamo mai carne, ma in questo modo abbiamo evitato sempre perquisizioni e magari spiacevoli "sorprese" burocratiche. Un paio di volte, senza dire nulla a nessuno, ha pure comprato della legna per fare un falò sotto le stelle.

Un bravo ragazzo afrikaner insomma.

Ci affida quindi a Divine, un ragazzo con cui ha già avuto a che fare in passato. A lui lasciamo i nostri passaporti con i dollari per il visto, e una mancia per i funzionari, in modo da evitare la lunga fila.

Il problema è che il collaboratore di Divine, Joe, ha una sola macchina e noi siamo in 9 con bagagli. Le nostre valigie finiscono oltre che sulla nostra auto, anche su un'altra macchina che stava passando il confine in quel momento. Ricordiamoci che in Africa ci si aiuta tutti. Comunque speriamo di rivederle.

Noi come passeggeri, veniamo tutti caricati su una sola macchina. Siamo in dieci. Posti omologati: 6.

Viaggiamo un po' strettini ma il tragitto dovrebbe essere breve, quindi ci adattiamo meglio che possiamo. Del resto siamo ancora a Kazungula.

Giunti a Victoria Falls prendiamo possesso delle camere, belle quasi quanto quelle di Cape Town, quindi usciamo a dare un'occhiata in giro. Giovanni e Pietro invece decidono di sborsare la bellezza di 130 dollari per salire sull'elicottero e vedere le cascate dall'alto.

Fin dall'inizio del viaggio pensavo di aspettare fino all'ultima tappa per fare acquisti. In questo modo volevo evitare di portarmi altro carico nei bagagli già pesanti e difficili da chiudere. Purtroppo non avevo considerato il turismo di massa delle Victoria Falls. Qui, come mai in questo viaggio, il turista è visto come un sacco di denaro da svuotare.

Qualunque cosa, dal cibo, al più piccolo souvenir, è aumentata di prezzo a dismisura. Anche i più brutti magneti dipinti a mano costavano addirittura cinque dollari, trattabili, ma solo fino a quattro.

Appena fuori dell'hotel, basta fare un centinaio di metri perché si venga assaliti dai venditori ambulanti che chiedono venti dollari per le statuine dei Big Five e dieci per delle bacinelle di legno. Come se non bastasse, ci seguono per tutta la città senza mai mollare l'osso. Già al secondo assalto fanno passare la voglia di comprare qualunque cosa.

Della città non c'è molto da vedere, se non i negozi e gli uffici dei tour operator che propongono qualunque genere di escursione (Ognuno pronto a battere di pochi dollari il prezzo del tour operator consultato poco prima).

L'unica cosa che decidiamo di comprare sono delle magliette che facciamo stampare con la mappa del nostro viaggio e le bandiere dei cinque stati che abbiamo visitato. Saranno pronte per domani alle cinque.

In realtà qualche angolo carino la città lo nasconde: una stazione da dove parte un treno a vapore, molto carino e pittoresco, una via di negozi presidiati dai poliziotti, quindi sgomberi dalle sanguisughe e, vicino al nostro hotel, una struttura ricca di negozi molto belli e particolari.



A sera il gruppo esce a cena ed io e Cassandra, sentendo puzza di carne bruciata ovunque, rimaniamo in hotel a consumare le nostre razioni vegane.

Purtroppo stavolta la cosa non è indolore.

Cassandra, probabilmente leggermente ingrassata (come tutti dopo venti giorni di inattività), si siede sul comodino di vetro mandandolo in frantumi.

In un attimo ci sono vetri ovunque e vedo Cassandra che mi guarda spaventata dal comodino, come se fosse caduta in un canestro da basket, con solo braccia e gambe che sporgono.

Eccallà!

Qui ci tocca andare in un ospedale dello Zimbabwe! E adesso?

Già mi vedo sfinito dalle ore di attesa passate in una sala d'aspetto. Ho fatto conoscenza con i parenti di un poveretto incornato da un rinoceronte, la moglie di un autista di game drive disperso e diverse persone morse da serpenti, iene, licaoni e sciacalli. Ci sono anche alcuni contagiati di malaria che tentano di vendermi un miracoloso antidoto.

Immagino Cassandra in corsia mentre lotta per avere una padella e le portano un secchio semi vuoto, con la raccomandazione di non riempirlo, che serve anche al dottore.

Poi vedo che Cassandra mi guarda e si muove.

Con calma verifico le sue condizioni e miracolosamente scopro è tutto ok. Non si è tagliata. Fortunatamente ha rimediato solo qualche livido.

Con pazienza raccogliamo tutti i vetri e iniziamo a fare il conto dei soldi che ci rimangono per poter pagare il comodino. Se per una cavolo di statuina di facocero vogliono dieci dollari, non oso immaginare quanto chiederanno per il vetro di un comodino.

lunedì 14 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 20

Kazungula - Kasane - Game drive – Kazungula




Sveglia alle 4:50. Che legnata. Fa un freddo becco e c'è ancora buio pesto.

Radunati nel villaggio turistico da dove partono le escursioni, ci siamo imbacuccati tutti come se stessimo partendo per una spedizione polare.

Saliamo sulla jeep, rigorosamente aperta, e anche se non dobbiamo fare molta strada per arrivare al parco, stavolta ci danno delle coperte calde da metterci addosso.

Entriamo nel parco che non c'è ancora luce. Meglio così, forse riusciamo a vedere qualche grosso gatto ancora in azione.

La prima cosa che noto, oltre alla strada ricca di buche da primato, è la moltitudine di jeep che scorrazzano per il parco. Non saranno troppe? Non faranno scappare gli animali?

Come al Moremi, anche qui la vegetazione accanto alle strade è ricca e piuttosto fitta. Dobbiamo tenere gli occhi aperti per cercare di scorgere ogni minimo movimento.

Procediamo al buio per una buona mezz'ora, poi l'alba.

Di animali ancora nulla, del resto era buio, difficile vederli.

La nostra jeep prende la strada che porta a sinistra, seguendo da lontano il corso del fiume Chobe, lo stesso che abbiamo navigato la sera prima.

Davanti a noi altre due mezzi che ogni tanto si fermano per fotografare dei fagiani o degli uccelli. Tutta roba già vista e rivista, proseguiamo.

Ad un certo punto le tre jeep si fermano in mezzo alla strada e gli autisti iniziano a parlottare tra loro. Puntano qualcosa sulla sabbia. Quando ci passiamo accanto, il nostro autista ce lo indica: grosse ed evidenti tracce di leoni. Cobus ci aveva spiegato che avendo visto tanti bufali il giorno prima, era possibile che oggi ci fossero anche loro. Li seguono a distanza. E ha aggiunto che qualche anno fa arrivò una grande mandria proprio sull'isola dove li abbiamo visti ieri. Quando i bufali si sono tuffati per tornare a riva nuotando, i leoni, 'sti volponi, si sono messi ad aspettarli sulla spiaggia. Il capo branco dei bufali allora si è fermato. Automaticamente anche tutto il branco ha smesso di nuotare. Peccato che in questo modo i bufali sono affondati affogando. I leoni hanno aspettato pazientemente con il tovagliolo al collo, per poi ringraziare per il pasto recuperato senza colpo ferire.

Le tracce dei felini sembrano fresche, per cui tutti, sfidando il gelo, estraggono la macchina fotografica per immortalare le belve.

Il game drive finisce qui.

Avremmo ancora molto tempo, ma in pratica giriamo a vuoto per un’ora, forse un’ora e mezza senza vedere mai nulla.

Perfino l'autista non sa più dove dirigersi per cercare qualche straccio di animale da farci vedere.

Dopo due ore troviamo un branco di babbuini che sta facendo colazione in riva al fiume.

Scendiamo pure dalla jeep per fare pipì.

Solitamente è pericoloso, stavolta l'autista non prova nemmeno a fermarci, forse perché ancora prestissimo.

In realtà credo che il motivo sia che tanto, oltre alle scimmie, non ci sono altri animali in giro.



Il tempo a nostra disposizione sta per scadere, così ce ne torniamo delusissimi verso l'uscita del parco.





I piccoli avvistamenti di un bufalo e un ippopotamo, ce l'ho, gazzelle, ce l'ho, un facocero, ce l'ho, qualche aquila, ce l'ho, un gruppo di avvoltoi, manca. Ma non sono leoni.



Nulla di tutto questo servirà a cancellare la nostra delusione.

Il resto della giornata la passeremo in totale relax, cercando sulla televisione locale qualche documentario sui grossi felini e, giusto per vedere che effetto fa, fotografando il quadro di un leopardo che c'è appeso in camera.

All'ora di cena Cobus si mette al braciere per il secondo apprezzato barbecue, quindi quando la luce cala, possiamo tornare ad ammirare la meravigliosa Via Lattea.

domenica 13 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 19

Kazungula - Boat cruise – Kazungula




Oggi ci si sveglia tardi. Ci voleva dopo tanti chilometri e tante levatacce. Ce la prendiamo comoda e andiamo a prenotare la crociera sul fiume che faremo nel pomeriggio e il game drive di domani mattina.

All'ultimo momento infilano un sovrapprezzo sulle escursioni, nonostante avessimo già concordato il tutto. Poca roba, però non ha fatto piacere vedersi prendere in giro.

Dopo una breve discussione decidiamo di prenderla con filosofia: siamo a Kazungula. Del resto non avevamo molte alternative e non ci andava di rimanere in camera tutto il giorno a fare un kazu.

Dietro suggerimento di Cobus, il pomeriggio ci presentiamo un po' in anticipo sul battello, ma meglio così. Il nostro autista ha avuto ragione: ci siamo piazzati nei posti migliori, così da essere in prima fila, per qualunque cosa si possa vedere.

Partiamo alle tre, ma prima delle quattro meno dieci, causa pratiche burocratiche, la vera crociera non inizierà. This is Africa.

Già dall'inizio capiamo che le potenzialità di questa escursione sono alte: vediamo un paio di coccodrilli, un varano e poi ci avviciniamo all'isola contesa tra Botswana e Namibia, dove un ippopotamo sta brucando il prato voracemente.

Più in là sull'isola ci sono altri due grossi coccodrilli e, lontano nella luce del sole, scorgiamo le sagome di un gruppo di ippopotami.

Anche se abbiamo il sole proprio in faccia, si vede tutto benissimo. Basta alzare lo sguardo e darsi un'occhiata attorno per capire che siamo circondati. Ma non è finita.

Ci muoviamo nel canale girando attorno all'isola, un fazzoletto di terra, e sulla riva spuntano elefanti su elefanti. Ce ne sono anche molti piccoli e perfino di piccolissimi.

Una famiglia con elefantino mini si ferma proprio davanti a noi a bere. Il più giovane non è ancora capace di aspirare acqua con la proboscide e portarsela alla bocca, ma essendo basso ci si butta dentro con tutta la bocca. Sarebbe una facile preda per i grossi coccodrilli che infestano il fiume, ma è ben circondato e protetto dagli adulti e dai fratelli maggiori.

Ancora affascinati dallo spettacolo, per poco non ci perdiamo l'evento che sta avvenendo qualche centinaio di metri più in giù sulla riva del fiume: due elefanti stanno litigando.


C'è di mezzo anche un elefante più piccolo che viene difeso dal più grande. L'altro contendente invece le sta prendendo di santa ragione. I due se le danno finché il grande mette in ginocchio il medio e infine lo scaccia.



Non riuscendo a darsi pace, lo sconfitto inizia a correre ovunque agitando orecchie e proboscide come un pazzo. Non vede gli arbusti e gli alberi che trova sul suo cammino e li rade al suolo. Fugge nel bush ma ogni tanto torna correndo e poi se ne va lanciando barriti.

Ancora meravigliati ci spostiamo pian piano verso l'isola girandole attorno. Ci avviciniamo a un'altra famiglia di ippopotami che stanno a bagno. C'è anche un piccolo che emerge e avanza goffamente sul fango. Un adulto, semi infangato, spalanca la bocca in uno sbadiglio da primato che contagia metà degli occupanti della barca. Anche un altro in acqua spalanca la bocca, poi si ribalta su se stesso finendo sott'acqua.



Questi animali, così disinvolti, mi fanno tornare alla memoria un vecchio film visto e rivisto. Ho come il presentimento che da un momento all'altro spunti Bud Spencer dal fiume, sputando acqua dalla bocca.


Continuiamo a muoverci attorno all'isola fino a che vediamo altri elefanti che litigano. Forse però stavolta stanno solo giocando perché non sono così decisi come i due di poco fa.



Proseguiamo la crociera e sull'isola incontriamo una grande mandria di bufali. Questi sono gli animali di terra più pericolosi di tutta l'Africa. Anch'essi parte dei Big Five assieme a leoni, leopardi, elefanti e rinoceronti, sono secondi come pericolosità solo agli ippopotami (che appartengono all’acqua). Vedendoli pascolare così pacificamente, sembrano semplicemente delle grosse mucche, ma basta osservare meglio le corna massicce che coprono tutta la loro testa per immaginare i danni che possono creare.

Sono sconcertato, non credevo di vedere così tanti animali con questa escursione, del resto siamo nel Parco nazionale del Chobe, grande cinque volte l'Etosha, quindi cinque volte il Piemonte.

La zona dove ci troviamo è il Savuti, l'area forse più popolata di animali delle cinque che formano il Chobe.

Chissà cosa ci aspetta al game drive di domani mattina!





Il sole sta scendendo e con esso anche la temperatura sulla barca. Torniamo a riva per terminare questo meraviglioso giro, ma il tramonto è uno spettacolo incredibile, forse come non ne ho mai visti prima.



In serata, mentre prepariamo la cena, una mega caponata di verdure, oltre a subire il solito blackout, assistiamo ad un altro spettacolo più unico che raro: un grosso meteorite verde traccia la sua scia nel cielo del tramonto, scomparendo poco oltre l'orizzonte. E' un attimo, ma vi assicuro che è stato memorabile.

sabato 12 agosto 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 18

Maun – Planet Baobab - Kasane – Kazungula

Altra giornata di solo trasferimento. Sarà che ormai siamo in viaggio da quasi venti giorni, mettiamoci poi che siamo nel bush, praticamente immersi nella savana con alberi che coprono la visuale ovunque, animali liberi ovunque, ma oggi sembra più pesante del solito.
In quanto a pesantezza io non scarterei la fiatella generale che ammorba la Jeep. Causata dal pestilenziale pane all'aglio della sera prima, forse solo io e Cassandra, gli unici che non hanno assaporato tale prelibatezza, siamo i soli a soffrirla. Noi tapini.
In compenso ogni tanto si vede qualche animale vagare libero.
Le strade sono pessime, lo so, l’ho già detto, ma oggi sono ancora peggio.
Verso metà mattinata, a spezzare la monotonia di questa lunga strada rettilinea, troviamo un tratto dove ai lati della carreggiata, non asfaltata, è tutto allagato. Incrociamo perfino una fila di autotreni completamente impantanati nel fango. Probabilmente sono bloccati qui da giorni. Arriviamo proprio quando una ruspa sta per raggiungerli ad aiutarli.
Se ci fermiamo per noi potrebbe essere la fine.
Per fortuna siamo ancora troppo leggeri e anche se lentamente e con qualche preghiera, riusciamo a uscire dal pantano.


L'altra distrazione della giornata, questa più simpatica, è la sosta in un hotel e campeggio particolare chiamato Planet Baobab. Si tratta di un luogo privato ricchissimo degli enormi alberi. Gironzoliamo per tutta la struttura come se ne fossimo ospiti, fotografando i grandissimi colossi e poi risaliamo in Jeep. Cobus racconta, indicandoci il più grande che abbiamo visto, che fino a qualche anno fa ce ne era uno ancora più enorme. Era talmente gigantesco che quando fu colpito da un fulmine impiegò due anni interi per bruciare.
La lunga strada che sembra non finire mai, oggi ci porta a Kasane. Per essere precisi, in curioso posto, limitrofo a Kasane, che corrisponde al nome Kazungula.
Dall’evidente facile ironia, pare invece che qui siano nati diversi oggetti e costumi utilizzati ancora oggi nel mondo occidentale.
Primo fra tutti lo strumento musicale del Kazu. Chi lo conosce sa di cosa sto parlando, ha un suono inconfondibile.
Secondo una leggenda di giostrai, questa è la città natale del calcinculo.
Altri sostengono che sia la capitale mondiale delle fregature, per questo, se passerete da queste parti, vedrete molte persone camminare con le spalle aderenti alle pareti.
Personalmente non credo a nessuna di queste chiacchiere, anche perché da quello che ho visto a Kazungula, oltre a due supermercati, non c'è proprio un kazu.
Arrivati all'alloggio, contrariamente a quanto pensavamo, non ci sono più delle tende, bensì delle camere vere e proprie. Forse non siamo più abituati a tanto lusso, ma sembrano bellissime. Lo sono talmente che le troviamo occupate abusivamente da dei ragni giganti più grandi del camping scalcinato. Quando chiediamo spiegazioni, i suddetti aracnidi hanno la faccia tosta di mostrarci perfino la prenotazione di Booking.com, falsa ovviamente.
Chiarito il disguido, prendiamo possesso degli alloggi e ci mettiamo a cucinare. Daniele ha in mente di fare una bella carbonara. Il cortile dell'alloggio è ampio e spazioso, senza più la sabbia che ci ammorba. Per di più ben illuminato. Stavolta possiamo riporre le luci da speleologo ed evitare di accecarci l'un l'altro quando dobbiamo guardarci in faccia.
Dieci minuti più tardi arriva il blackout totale del quartiere. La sciura del posto ci dice che è frequente. Non si sa quando tornerà.
Riaccendiamo le luci da speleologo e ci rimettiamo a cucinare.
Come consolazione, non da poco, una fantastica visione del cielo notturno senza inquinamento luminoso.
Il Botswana ha veramente un cielo bellissimo in ogni momento, alba e tramonto compresi.