Sveglia
alle 5:45, il furgone ci aspetta per il volo in mongolfiera.
In
realtà mi ci eravamo svegliati anche prima. Qui in Cappadocia il
richiamo alla preghiera islamica delle 5:30 è stato molto più forte
e vivo, perfino interpretato meglio secondo me, ma comunque ci ha
svegliato.
Mentre
andiamo verso il punto di partenza il sole non e' ancora sorto, ma
nel cielo limpido ci sono già molte mongolfiere.
Incredibilmente
ci portano in un locale a fare colazione. Io non ce la faccio, sono
talmente elettrizzato che non vedo l'ora di imbarcarmi. Ma come si fa
a perdere tutto questo tempo? Il richiamo del vento mi dice che
dovevo già essere in volo, quasi sento il sole nascente sussurrare
il mio nome!
Per
fortuna la sosta dura poco, così in pochi minuti siamo sul sito di
partenza dove diverse persone stanno predisponendo due mongolfiere.
Appena
metto piede giù dal furgone inizio a correre qua e là per fare un
pò di foto e selphie, ormai ne sono tristemente diventato uno
schiavo, ovunque vado devo raccogliere una testimonianza del tipo:
ecco, io c'ero,
Bastano
pochi minuti per mettere in piedi e gonfiare i palloni, quindi si
salta dentro il cestello. Manco a dirlo, sono il primo.
Ogni
scomparto può contenere fino a cinque persone, con me ci sono
Isabella e Lucilla, infermiera di Udine. Purtroppo si intrufola anche
una coppia di turchi sui sessant'anni che si riveleranno molto
ingombranti, non tanto per la stazza quanto per l'arroganza di
pensare che tutta la sponda sia di loro proprietà. Sgomitando a
gesti e parole si riesce a prendere un pò di posto ma la battaglia
coi turchi è appena cominciata.
Il
sole intanto e' appena spuntato all'orizzonte e noi siamo in volo. Il
pallone galleggia, ma le fiammate di gas ci portano in alto molto
velocemente.
In
pochi minuti siamo a 700 metri, immersi in un panorama spettacolare e
limpido. Nel cielo di un azzurro luminoso ci sono decine di
mongolfiere tutte diverse a formare un caleidoscopio di colori e
forme.
Sotto
di noi si apre la bella valle delle rose con le case scavate nelle
rocce appuntite e ancora abitate. Lo scopriamo quando il pilota si
abbassa cosi tanto che finiamo per sorvolare il giardino di una casa
nella roccia da cui, sono le 6:30, esce in mutande l'adirato
proprietario che ce ne dice di tutti i colori.
Riprendiamo
quota e passiamo sopra altre piccole e colorate valli fino a trovarci
di fronte un monte piatto sulla sommità. I suoi lati erosi
dall'acqua e dal tempo rivelano colori che vanno dal rosso, al giallo
al bruno come in un canyon di quelli più famosi americani.
Il
tempo scorre lento come il volo della mongolfiera e tra una sgomitata
e l'altra per prendere posto sul bordo, scendiamo in un'altra valle
di casette, stavolta disabitate ma che sembrano sempre più
appartenere alla terra d'oltremare. Poco ancora e già si intravvede
il furgone con il rimorchio che ci segue per indovinare dove andremo
ad atterrare. Beh, inutile dire che sul carrello del furgone, ci
andremo addirittura ad atterrare sopra.
Che
precisione.
Dopo
il volo come da tradizione iniziata dai fratelli Mongolfier si beve
dello champagne, turco però.
Estasiati
torniamo in albergo dove, dopo colazione ci aspetta Tolga, la guida
che ci accompagnerà per tutto il giorno.
Inizialmente
ci racconta un paio di cosette interessanti, poi arriviamo al sito
delle chiese rupestri e, invece di accompagnarci e farci da guida,
compito che a parere di tutti dovrebbe rientrare nelle sue mansioni,
ci lascia liberi di girarci il sito.
Come
dire: si Tolga di mezzo.
E'
il primo sito di chiese rupestri e d anche se piuttosto spoglio e, in
alcuni casi, danneggiato, è carino. Le piccolissime stanze scavate
nella roccia, affrescate e purtroppo lasciate esposte sono oggetto di
un gruppo di studenti italiani umbri che sta troviamo qua e la per
monitorare lo stato di conservazione delle chiese.
Terminato
il giro ci ritroviamo al furgone e Tolga la candela ci porta a vedere
dall'alto la valle dei piccioni. All'ora di pranzo invece ci
parcheggia in un self service, con il solito discorso del prezzo
fisso. Purtroppo, o per fortuna, con l'abbondante colazione fatta in
hotel, nessuno ha molta fame, cosi intravediamo un primo segno di
disappunto di Tolga la corrente, il quale ingoia la mancata
percentuale e andiamo a vedere dall'alto la magnifica veduta della
valle dell'amore. Un canyon bellissimo dalle particolarissime forme
naturali, uniche nel loro genere.
Prima
di proseguire il programma abbiamo ancora un pò di tempo cosi Tolga
i piedi dalla mia scrivania ci porta alla valle dell'immaginazione,
dove le forze della natura hanno modellato centinaia di rocce dando
loro forme più o meno famigliari, a seconda di chi le osserva.
Entrando
tra queste strane rocce trovo subito un sentiero che si incunea tra
esse, cosi parto all'esplorazione di nuovi spazi e in cerca di nuove
forme, nuovi mondi, là, dove nessun Fondrini era mai stato prima.
Una
valle molto bella.
Dopo
esserci ritrovati al parcheggio, per Tolga le castagne dal fuoco è
arrivato il momento clou della giornata, per noi un pò meno. Difatti
i rapporti con la guida sono diventati sempre più rigidi e questi
pare molto contento di accompagnarci alla fabbrica di tappeti,
lasciandoci nelle mani di un simpatico venditore che parla
perfettamente italiano.
Il
tappetaio ci mostra come le ragazze creano un tappeto con il doppio
nodo seguendo il disegno sulla carta millimetrata. Bravissime e
velocissime. Pare che le ragazze vengano a fare un corso di sei mesi
finanziato dallo stato solo per portarsi a casa un telaio nuovo e
poter cosi produrre tappeti da casa. Ci mostrano poi come estraggono
la seta dai bachi e la filano. Infine ci portano in un'altra sala e
dopo averci offerto una tazza di tea, comincia lo spettacolo: uno
dopo l'altro ci mostrano tappeti di ogni genere, uno più bello
dell'altro. Ci mostrano anche come capire se un tappeto è fatto a
mano o meno: quelli fatti a mano sono cangianti, ovvero cambiano
colore a seconda dell'angolatura da cui li si guarda. I colori ed i
disegni ci scorrono davanti in una cascata di creatività classica,
nomade, imperiale e moderna. L'ultimo è il pezzo forte: un tappeto
di seta da 12000 euro. Andrea, il mio compagno di stanza è così
preso che alla fine ne acquista uno molto bello.
Usciti
dalla fabbrica di tappeti il simpatico Tolga la cravatta, ci
accompagna alla fabbrica di ceramiche. Qui la guida parla un italiano
comprensibile, ma non troppo. La dimostrazione è abbastanza veloce,
poi ci portano in altre sale dove ci spiega i vari tipi di
lavorazione ed infine veniamo lasciati nel negozio. Tutto molto
bello, ma non è il mio genere.
All'uscita
dobbiamo attendere l'orario di inizio dello spettacolo derviscio che
si terra nel locale a fianco la fabbrica. Mentre siamo in attesa
Tolga il piatto dalla tavola è molto silenzioso. Se ne sta per conto
suo a giocare a scacchi sul tablet. Quando gli si prova a chiedere
altre informazioni pare un infastidito e solo dopo un pò che
insistiamo ci accontenta, ma il tono è decisamente scocciato.
Finalmente
arriva l'orario di apertura e ci fanno entrare. Come dire: dalla
padella alla brace.
Preso
posto nel locale circolare che ha il suo palco al centro della sala,
le luci si spengono ed in silenzio entrano i dervisci. Dopo un tempo
che sembra infinito, spezzano il silenzio, prima recitando, poi
iniziando un'improvvisazione con un flauto dal suono crudo e sporco.
Molto pesante. L'atmosfera si assottiglia un pochino quando anche gli
altri strumenti iniziano a suonare. La musica mi ricorda alcuni pezzi
dei Porcupine tree e alla lontana un improvvisazione dei Dream
Theater, per cui per me non sono male. Agli altri invece non piace
molto. Anzi.
Finalmente
i dervisci iniziano a ballare roteando all'infinito su se stessi.
Pare che per riuscirci entrino in uno stato di trance che gli
consente di non perdere l'equilibrio. Lo facessi io dopo dieci
secondi non mi reggerei in piedi...
Lo
spettacolo va avanti per un'altra mezzora buona e la pesantezza si fa
sentire sempre più, come il freddo che filtra dall'ingresso e dallo
sventolio delle tuniche dei dervisci che turbinano davanti a noi.
Ogni volta che si spegne la luce per creare atmosfera, dalla prima
fila del nostro gruppo scompare una persona che si va ad accomodare
in fondo dove è più riparato. Alla fine davanti rimarrà solo il
povero Davide.
Sempre
nel silenzio più totale, dopo un'altra estenuante recita, i dervisci
se ne vanno. Nel silenzio più assoluto rientreranno per permettere
di essere fotografati. E' Riccardo che chiude la sessione inserendo
lo scatto continuo sulla sua grande fotocamera. Il rumore della sua
raffica è così simile a quella di un'arma da fuoco a ripetizione
che tutti si girano sorpresi e quasi spaventati. Da quel momento
Riccardo guadagnerà il soprannome di ermitraglia, oltre che belin.
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