martedì 14 ottobre 2014

Turkolento - sesto giorno



Sveglia alle 5:45, il furgone ci aspetta per il volo in mongolfiera.
In realtà mi ci eravamo svegliati anche prima. Qui in Cappadocia il richiamo alla preghiera islamica delle 5:30 è stato molto più forte e vivo, perfino interpretato meglio secondo me, ma comunque ci ha svegliato.
Mentre andiamo verso il punto di partenza il sole non e' ancora sorto, ma nel cielo limpido ci sono già molte mongolfiere.

Incredibilmente ci portano in un locale a fare colazione. Io non ce la faccio, sono talmente elettrizzato che non vedo l'ora di imbarcarmi. Ma come si fa a perdere tutto questo tempo? Il richiamo del vento mi dice che dovevo già essere in volo, quasi sento il sole nascente sussurrare il mio nome!
Per fortuna la sosta dura poco, così in pochi minuti siamo sul sito di partenza dove diverse persone stanno predisponendo due mongolfiere.
Appena metto piede giù dal furgone inizio a correre qua e là per fare un pò di foto e selphie, ormai ne sono tristemente diventato uno schiavo, ovunque vado devo raccogliere una testimonianza del tipo: ecco, io c'ero,
Bastano pochi minuti per mettere in piedi e gonfiare i palloni, quindi si salta dentro il cestello. Manco a dirlo, sono il primo.


Ogni scomparto può contenere fino a cinque persone, con me ci sono Isabella e Lucilla, infermiera di Udine. Purtroppo si intrufola anche una coppia di turchi sui sessant'anni che si riveleranno molto ingombranti, non tanto per la stazza quanto per l'arroganza di pensare che tutta la sponda sia di loro proprietà. Sgomitando a gesti e parole si riesce a prendere un pò di posto ma la battaglia coi turchi è appena cominciata.
Il sole intanto e' appena spuntato all'orizzonte e noi siamo in volo. Il pallone galleggia, ma le fiammate di gas ci portano in alto molto velocemente.


In pochi minuti siamo a 700 metri, immersi in un panorama spettacolare e limpido. Nel cielo di un azzurro luminoso ci sono decine di mongolfiere tutte diverse a formare un caleidoscopio di colori e forme.
Sotto di noi si apre la bella valle delle rose con le case scavate nelle rocce appuntite e ancora abitate. Lo scopriamo quando il pilota si abbassa cosi tanto che finiamo per sorvolare il giardino di una casa nella roccia da cui, sono le 6:30, esce in mutande l'adirato proprietario che ce ne dice di tutti i colori.
Riprendiamo quota e passiamo sopra altre piccole e colorate valli fino a trovarci di fronte un monte piatto sulla sommità. I suoi lati erosi dall'acqua e dal tempo rivelano colori che vanno dal rosso, al giallo al bruno come in un canyon di quelli più famosi americani.


Il tempo scorre lento come il volo della mongolfiera e tra una sgomitata e l'altra per prendere posto sul bordo, scendiamo in un'altra valle di casette, stavolta disabitate ma che sembrano sempre più appartenere alla terra d'oltremare. Poco ancora e già si intravvede il furgone con il rimorchio che ci segue per indovinare dove andremo ad atterrare. Beh, inutile dire che sul carrello del furgone, ci andremo addirittura ad atterrare sopra.
Che precisione.
Dopo il volo come da tradizione iniziata dai fratelli Mongolfier si beve dello champagne, turco però.


Estasiati torniamo in albergo dove, dopo colazione ci aspetta Tolga, la guida che ci accompagnerà per tutto il giorno.
Inizialmente ci racconta un paio di cosette interessanti, poi arriviamo al sito delle chiese rupestri e, invece di accompagnarci e farci da guida, compito che a parere di tutti dovrebbe rientrare nelle sue mansioni, ci lascia liberi di girarci il sito.
Come dire: si Tolga di mezzo.
E' il primo sito di chiese rupestri e d anche se piuttosto spoglio e, in alcuni casi, danneggiato, è carino. Le piccolissime stanze scavate nella roccia, affrescate e purtroppo lasciate esposte sono oggetto di un gruppo di studenti italiani umbri che sta troviamo qua e la per monitorare lo stato di conservazione delle chiese.
Terminato il giro ci ritroviamo al furgone e Tolga la candela ci porta a vedere dall'alto la valle dei piccioni. All'ora di pranzo invece ci parcheggia in un self service, con il solito discorso del prezzo fisso. Purtroppo, o per fortuna, con l'abbondante colazione fatta in hotel, nessuno ha molta fame, cosi intravediamo un primo segno di disappunto di Tolga la corrente, il quale ingoia la mancata percentuale e andiamo a vedere dall'alto la magnifica veduta della valle dell'amore. Un canyon bellissimo dalle particolarissime forme naturali, uniche nel loro genere.
Prima di proseguire il programma abbiamo ancora un pò di tempo cosi Tolga i piedi dalla mia scrivania ci porta alla valle dell'immaginazione, dove le forze della natura hanno modellato centinaia di rocce dando loro forme più o meno famigliari, a seconda di chi le osserva.
Entrando tra queste strane rocce trovo subito un sentiero che si incunea tra esse, cosi parto all'esplorazione di nuovi spazi e in cerca di nuove forme, nuovi mondi, là, dove nessun Fondrini era mai stato prima.
Una valle molto bella.
Dopo esserci ritrovati al parcheggio, per Tolga le castagne dal fuoco è arrivato il momento clou della giornata, per noi un pò meno. Difatti i rapporti con la guida sono diventati sempre più rigidi e questi pare molto contento di accompagnarci alla fabbrica di tappeti, lasciandoci nelle mani di un simpatico venditore che parla perfettamente italiano.
Il tappetaio ci mostra come le ragazze creano un tappeto con il doppio nodo seguendo il disegno sulla carta millimetrata. Bravissime e velocissime. Pare che le ragazze vengano a fare un corso di sei mesi finanziato dallo stato solo per portarsi a casa un telaio nuovo e poter cosi produrre tappeti da casa. Ci mostrano poi come estraggono la seta dai bachi e la filano. Infine ci portano in un'altra sala e dopo averci offerto una tazza di tea, comincia lo spettacolo: uno dopo l'altro ci mostrano tappeti di ogni genere, uno più bello dell'altro. Ci mostrano anche come capire se un tappeto è fatto a mano o meno: quelli fatti a mano sono cangianti, ovvero cambiano colore a seconda dell'angolatura da cui li si guarda. I colori ed i disegni ci scorrono davanti in una cascata di creatività classica, nomade, imperiale e moderna. L'ultimo è il pezzo forte: un tappeto di seta da 12000 euro. Andrea, il mio compagno di stanza è così preso che alla fine ne acquista uno molto bello.
Usciti dalla fabbrica di tappeti il simpatico Tolga la cravatta, ci accompagna alla fabbrica di ceramiche. Qui la guida parla un italiano comprensibile, ma non troppo. La dimostrazione è abbastanza veloce, poi ci portano in altre sale dove ci spiega i vari tipi di lavorazione ed infine veniamo lasciati nel negozio. Tutto molto bello, ma non è il mio genere.
All'uscita dobbiamo attendere l'orario di inizio dello spettacolo derviscio che si terra nel locale a fianco la fabbrica. Mentre siamo in attesa Tolga il piatto dalla tavola è molto silenzioso. Se ne sta per conto suo a giocare a scacchi sul tablet. Quando gli si prova a chiedere altre informazioni pare un infastidito e solo dopo un pò che insistiamo ci accontenta, ma il tono è decisamente scocciato.
Finalmente arriva l'orario di apertura e ci fanno entrare. Come dire: dalla padella alla brace.
Preso posto nel locale circolare che ha il suo palco al centro della sala, le luci si spengono ed in silenzio entrano i dervisci. Dopo un tempo che sembra infinito, spezzano il silenzio, prima recitando, poi iniziando un'improvvisazione con un flauto dal suono crudo e sporco. Molto pesante. L'atmosfera si assottiglia un pochino quando anche gli altri strumenti iniziano a suonare. La musica mi ricorda alcuni pezzi dei Porcupine tree e alla lontana un improvvisazione dei Dream Theater, per cui per me non sono male. Agli altri invece non piace molto. Anzi.
Finalmente i dervisci iniziano a ballare roteando all'infinito su se stessi. Pare che per riuscirci entrino in uno stato di trance che gli consente di non perdere l'equilibrio. Lo facessi io dopo dieci secondi non mi reggerei in piedi...
 

Lo spettacolo va avanti per un'altra mezzora buona e la pesantezza si fa sentire sempre più, come il freddo che filtra dall'ingresso e dallo sventolio delle tuniche dei dervisci che turbinano davanti a noi. Ogni volta che si spegne la luce per creare atmosfera, dalla prima fila del nostro gruppo scompare una persona che si va ad accomodare in fondo dove è più riparato. Alla fine davanti rimarrà solo il povero Davide.
Sempre nel silenzio più totale, dopo un'altra estenuante recita, i dervisci se ne vanno. Nel silenzio più assoluto rientreranno per permettere di essere fotografati. E' Riccardo che chiude la sessione inserendo lo scatto continuo sulla sua grande fotocamera. Il rumore della sua raffica è così simile a quella di un'arma da fuoco a ripetizione che tutti si girano sorpresi e quasi spaventati. Da quel momento Riccardo guadagnerà il soprannome di ermitraglia, oltre che belin. 

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