E'
l'ultimo giorno che passiamo ad Istanbul. Un pò mi spiace, ma sono
anche contento di poter andare in quel posto magico chiamato
Cappadocia.
La
prima tappa del giorno è la chiesa bizantina di san salvatore in
Chora. Consultando la mia mappa si vede che è vicina al nostro
hotel. Ci incamminiamo lungo le mura bizantine, che una volta
cingevano tutto il corno d'oro e se ne poteva percorrere l'intero
perimetro su un sentiero senza tempo. Oggi le mura sono state
circondate, attraversate e sormontate da case, strade e costruzioni
varie. Notiamo subito che quasi tutte le abitazioni, dalle villette
ai mini condomini, oltre alla recinzione, di capitolato hanno anche
il filo spinato. In Italia ci accontentiamo dell'allarme.
La
chiesa di san salvatore è molto piccola ma molto bella. I mosaici,
pur rovinati dal tempo e dai vandali, sono ancora spettacolari.
Terminato
il breve giro, Margherita, fotografa torinese, supportata
dall'immancabile amica Mariagrazia, suggeriscono di recarci alla
prossima tappa attraversando il quartiere poco turistico di fatih.
Giusto per vedere un pò di vera vita turkolenta. Effettivamente non
c'è molto da vedere, così lo attraversiamo senza perderci troppo
tempo.
Le
torinesi, non troppo soddisfatte, propongono un'altra deviazione:
un'altra chiesa bizantina nel quartiere ottomano.
Lungo
la strada ci fermiamo a bere il famoso caffè turco in un localino
all'aperto niente male.
Il
caffè, tanto decantato, non mi sembra così buono, ma forse sono io
che pur avendo atteso i cinque fisiologici minuti di decantazione per
farlo depositare, non ci sono abituato.
Ripartiamo
e lungo la strada si scorge un pezzo dell'acquedotto romani di
Valente, un tempo fonte d'acqua potabile che andava a depositarsi
anche nella basilica cisterna.
Giunti
alla moschea di Zeyreki la delusione non e' poca: tutto ciò che era
bizantino è stato trasformato e ricoperto dalla semplicità e
l'essenzialità della moschea.
Per
fortuna la giornata è ancora lunga e, rimesso lo zaino in spalla,
riattraversiamo la città alla volta di Sultanhamet per vedere il
museo di arte islamica, che troviamo chiuso, quello dei mosaici,
piccolo ma carino, e il mastodontico museo archeologico.
La
visita di quest'ultimo museo è ricca di storia, preistoria ed arte.
Suddivisa in quattro padiglioni, due dei quali su tre o quattro
piani, risulta molto bella, ma estremamente estenuante. Alla fine io
e Andrea, l'unico superstite del gruppo che non ho smarrito tra i
reperti, ne usciamo talmente ubriachi che facciamo fatica a stare in
piedi. Preso possesso di una panchina ci togliamo le scarpe lasciando
prendere aria ai piedi ormai sfatti. Andrea si mette perfino a fare
stretching.
Per
cena torniamo dalle parti del mercatino dietro la moschea blu.
Mangeremo all'aperto in un localino dove suonano e ballano uno
spettacolo dei Dervisci. Non a tutti piace, anzi, a qualcuno provoca
un po' di fastidio e noia. A me ricorda vagamente certi pezzi dei
Porcupine tree, per cui si, mi è piaciuto. Soprattutto quando
Mariagrazia e Margherita hanno preso un narghilè offrendo boccate di
vapore aromatizzato alla mela a tutti.
Per
fortuna che da domani si mangerà a buffet in hotel, perché anche
questa sera lo scoordinatore ha pensato per se ordinando un menù a
lui gradito, mentre a me, Alba e stavolta anche Margherita e
Isabella, hanno lasciato degli antipasti dei pancake, una specie di
piadina ripiena di formaggio e spinaci.
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