Istanbul,
Costantinopoli, Bisanzio. Una città immensa, forse anche per questo
ha cambiato nome così tante volte, è diventata talmente ingombrante
che i vecchi nomi non riuscivano a rappresentarla ed a trattenere i
circa venti milioni di abitanti che oggi occupano le sue strade.
E'
il primo giorno che mi sveglio in Turchia, e vorrei iniziare bene.
Tanto per non perdere troppo dell'allenamento fatto fin'ora, per cui
decido di andare a correre. Esco alle 7,15 e, al contrario della sera
prima, non c'e nessuno. Percorro tutto il vialone principale su cui
ogni tanto passa un taxi con andatura pigra. Nonostante sia presto fa
già abbastanza caldo, inoltre non mi sento ancora di sconfinare
molto nelle viuzze laterali che non conosco, per cui dopo solo venti
minuti inverto il senso di marcia.
Alla
fine avrò corso solo cinque, ma li ho sentiti, soprattutto nei reni.
Ahi ahi. Oggi devo assolutamente bere, non voglio sperimentare
qualche cura turca.
Dopo
la doccia scendo a far colazione assieme a tutti gli altri. E'
domenica mattina e già si intuisce che in hotel c'è un certo
fermento. All'esterno ci sono strane corone di fiori, a guardarle
sembra ci sia stato un naufragio. In realtà sono per più matrimoni.
Mentre
siamo in attesa di poter iniziare la nostra esplorazione di Istanbul,
una dopo l'altra, arrivano dei macchinoni da cui scendono gli
invitati: sembra di assistere in prima persona ad una puntata del mio
grosso grasso matrimonio gipsy. Non l'avete mai visto? Ve lo
consiglio caldamente, se avete del gran tempo da perdere.
Gli
uomini sono molto eleganti, a loro modo, mentre le donne hanno abiti
coloratissimi e luccicanti, molto poco tradizionali per il nostro
punto di vista. Molto appariscenti, troppo poco gusto. Le bambine
invece sembra che debbano fare la comunione con i loro vestitini di
raso e organza bianca.
Terminata
la sfilata ci dirigiamo a prendere il tram che ci porterà nel cuore
della città, nel cuore del corno d'oro, ovvero a Sultanhamet. Dopo
dieci minuti sudati di viaggio a strettissimo contatto con la realtà
urbana turca, sbarchiamo all'ippodromo, e ci perdiamo subito di vista
in mezzo a centinaia di persone. Lo faremo spesso, anche più volte
al giorno.
Quando
finalmente riusciamo a ricompattarci entriamo nel cortile della
moschea blu, che già da fuori sembra spettacolare. Peccato che per
accedervi ci sia una fila chilometrica. Pensando di tornare ad un
orario migliore e con meno turisti, cambiamo destinazione: la moschea
chiamata Aya Sofia che sta nella stessa grande piazza. Un tempo la
più grande chiesa bizantina mai costruita, seconda solo a San
pietro, è stata trasformata in moschea dopo la conquista della città
da parte dei musulmani. Al momento è in ristrutturazione e non è
attiva come luogo di culto, ma pare che vogliano farla riaprire in
tal senso.
E'
maestosamente grande. Non sono molte le decorazioni, l'arte islamica
è molto povera da questo punto di vista. I pochi resti che ornano
ancora qualche parete sono le decorazioni della cupola e dei mosaici
bizantini, tra i quali ci sono ancora figure bibliche, lasciate
intoccate dai musulmani, lasciate però alla mercé del tempo.
Particolarità
che risalta, penso aggiunta dagli ottomani, un secondo piano a cui
solo le donne potevano accedere per pregare, infatti al pian terreno
erano ammessi solo gli uomini.
Fuori
da Santa Sofia ci dirigiamo al Topkapi, l'immenso complesso dove
risiedevano i sultani. Non prima di aver acquistato una pannocchia
arrostita per ben due lire turche, meno di un euro, ed un succo di
melograno spremuto al momento: eccezionale.
Fa
caldo al sole, all'ombra invece si sta benissimo. Per essere
tranquillo ogni tanto mi bevo un pò d'acqua, sento infatti dei
fastidi ai reni che non mi fanno star tranquillo... Sperem.
Entriamo
nella prima corte del Topkapi, un parco che contiene la moschea di
Sant Irene, detta piccola Aya Sofia e un paio di musei. Dovrebbe
esserci anche la pietra del monito, su cui il Sultano era solito far
tagliare le teste di chiunque, a suo giudizio, lo meritasse. Perfino
i gran Visir, se questi diventava una minaccia. Erano i Giannizzeri,
gli eunuchi addestrati per essere la guardia reale del Sultano che a
volte pilotavano le esecuzioni ordinate dal Sultano. Questo infatti,
temendo una loro rivolta, era costretto ad accontentarli. Purtroppo
la pietra non l'ho vista, così come la fontana del boia, in cui esso
si lavava dopo l'esecuzione.
Entriamo
nella seconda corte. Qui c'erano l'oreficeria e la sala dei divani
dove i Visir ed il gran Visir vi si riunivano sedendosi su un divano
lunghissimo. Nel muro alle Spalle del Gran Visir, c'era una finestra
protetta da una grata, il sultano poteva assistere a tutte le
riunioni, ma i Visir non sapevano mai se era presente o meno.
Sull'altro
lato della corte c'erano, sormontate da decine di grandi camini a
cupola, le immense cucine in cui lavoravano 1100 uomini. Questi
dovevano cucinare ogni giorno per 5000 persone, mentre nelle
festività potevano arrivare fino a 10000.
Oltrepassando
la porta della felicità si accede alla terza corte, dove c'era la
sala delle udienze, il museo dei tesori, visto sudandoci una bella
coda sotto il sole e il museo delle reliquie, saltato per mancanza di
energie psicologiche necessarie per sostenere un'altra fila. Si
racconta che in questo museo avrei potuto vedere il bastone di Abramo
e altre reliquie. Non ce la potevo fare…
Andiamo
invece diretti invece all'Harem, il luogo più custodito ed intimo di
tutto il Topkapi. Qui vivevano le concubine e le moglie del Sultano,
come anche la Valide, potentissima madre del Sultano.
A
guardia di questo magnifico complesso di stanze c'erano gli eunuchi
che vivevano in una corte tutta loro, i più anziani al pian terreno,
i più giovani a quello superiore.
Passando
dalla zona delle concubine a quella della consorte le stanze
diventano sempre più belle. Anche la Valide, che a volte era ancora
più potente del Sultano, aveva delle stanze magnifiche, ma non
quanto quelle del sultano.
E'
pomeriggio inoltrato quando usciamo e ci dirigiamo verso sant Irene.
Mentre camminiamo parte il canto islamico che annuncia l'ora della
preghiera. Sono le 16.35 ma mi spiegano che non è sempre allo stesso
orario, dipende dalle stagioni. Mi sembra strano sentirlo dal vivo,
fino ad ora lo avevo sentito solo in televisione. Devo dire che ha un
suo fascino.
Sant
Irene sembra una piccola copia di santa sofia, ma è quasi del tutto
spoglia. Trasformata anch'essa in moschea, poi distrutta da un
incendio, ne sono rimaste solo le mura. Qui si respira un'aria
decisamente più romanico bizantina.
Riuniti
nella piazza di Sultahamet, ci dirigiamo verso il ponte di Galata per
imbarcarci sul battello che ci porterà a fare una crociera sul
bosforo.
Scendiamo
a piedi verso il porticciolo e passiamo vicino ad una stazione. Solo
poi scopriremo che era il punto di partenza e arrivo dell'orient
express.
A
fatica troviamo il punto d'attracco, appena in tempo. Purtroppo non
c'è nessuno.
Sono
già partiti?
Fabio,
il coordinatore, ha lasciato in hotel il telefono. Ma come si fa?
Giriamo
lungo il molo a chiedere se qualcuno conosce Adil della Allegro
Turco, ma nessuno sa niente.
Ci
spargiamo ai quattro venti in cerca di Adil, risultato: perdiamo
Fabio e tre compagni. Nel frattempo arriva Adil, l'allegro turco, che
ci riconosce e ci dice di imbarcarci. Lo faremo solo dopo un quarto
d'ora quando avremo ritrovato tutti.
Girando
per il porto è impossibile non notare barche e battelli addobbati a
festa: sono matrimoni. Pare che qui invece che andare al ristorante
si affitti una barca e si faccia la festa in battello. Ma la cosa che
più mi colpisce è il fatto che in poco tempo vedo almeno dieci
matrimoni! Che Istanbul sia un’altra la Las Vegas?
La
crociera sul Bosforo è molto bella, passiamo accanto prima alla
costa europea, quindi a quella asiatica. Molto belle entrambe, ma
forse quella asiatica, caratterizzata dalle tipiche case in legno
Yali, è più piacevole. Il rientro nel canale interno con le luci
della sera è molto bello, un'esperienza da fare.
Appena
sbarcati ci imbattiamo in altri matrimoni... Inutile, non riesco a
non pensare che oggi è il 14 settembre...
Per
distrarmi la butto in caciara!
Isabella,
napoletana verace, vorrebbe andare in cerca di un ristorantino di
pesce nel quartiere Beyoglu, sopra la collina dove c’è la torre di
Galata. Per raggiungerlo però c'è ancora un bel po' di strada da
fare. Stanco e con i piedi un po’ malconci sollevo la proposta di
dividerci. Dalla discussione si decide di andare a mangiare al
mercato del pesce, ma non da Faruk. Giunti al ristorante scopro che
Alba è vegetariana. Al solo sentire l'odore del pesce sta male.
Vorrebbe andarsene in giro da sola in mezzo alla bolgia di Istanbul
per mangiarsi la sua schiscetta. Mi offro di accompagnarla e con me
si unisce Mariagrazia, la mamma di Davide e moglie di Pietro, la
famiglia torinese detti Tallons.
Abbandonati
gli altri che in fondo ero stato io ad aver subdolamente dirottato,
scendiamo tra le decine di ristoranti sotto il ponte di Galata.
Troveremo qualcosa di vegetariano, o no?
Purtroppo
le proposte che ci fanno non soddisfano minimamente Alba, per cui
decidiamo di tornare al porticciolo, io e Mariagrazia prenderemo il
panino turkolento con sgombro e cipolle, Alba, de Roma, se magna la
sua robba.
Memore
della pesantezza sperimentata la sera precedente stavolta tolgo le
cipolle, e infatti dormirò meglio.
Alba
non e vegana, il formaggio e le uova li mangia, ma non sopporta carne
e pesce. Lo è da vent'anni per cui la capisco. Io sono vegetariano
da solo due anni e per me' è più facile fare eccezioni, specie se
in un paese straniero dove la cosa meno peggio che posso mangiare e'
il pesce.
Eh
lo so, c'è gente strana in giro per il mondo.
Consumato
il panino torniamo dagli altri, prendiamo il taxi sportivo e torniamo
in hotel. Purtroppo il mio compagno di stanza Andrea, romano DOC
trapiantato a Milano, s'è preso il raffreddore. Tento di curarlo con
le medicine che ho, sperando che non peggiori e si rovini le vacanze.
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