mercoledì 24 luglio 2024

Sesto giorno - Castello di Himeji - Hiroshima

Oggi salutiamo Tokyo e ci muoviamo verso sud.

La prima tappa è Himeji dove c’è uno dei pochissimi castelli medievali salvatosi dal tempo e dai bombardamenti. O meglio, una bomba l’ha centrato in pieno, per fortuna non è esplosa.

Prendiamo come sempre una serie di mezzi e arriviamo alla stazione da dove si prendono gli Shinkansen.

Nell’attesa passano un paio di treni pallottola quasi sotto i nostri occhi. Quasi perché abbiamo giusto il tempo per dire “Guarda!”, e il treno è già passato. “Dove?” e ne è passato un altro.

Ora sta arrivando il nostro di Shinkansen. Non è un treno normale, è rosa! È la versione dello Shinkansen di Hello Kitty!

 

Non sono un fan di Hello Kitty, Cassandra è contenta ed effettivamente è una cosa divertente. Tutto il treno è griffato di rosa e con Hello Kitty. Anche il pavimento è tutto rosa.

Tra una battuta e l’altra vediamo che diverse persone vanno verso il vagone di testa. C’è qualcosa da vedere? Andiamo anche noi. Difatti scopriamo c’è un negozietto che vende gadget di Hello Kitty e una zona con la statua di Hello Kitty Controllore con cui ci si può fare la foto.

Abbiamo giocato, giochiamo fino in fondo.

Arriviamo con lo zaino per una notte e camminiamo per venti minuti fino al castello.

Già da lontano si vedeva che era bellissimo, più ci avvicinavamo, meglio è.

Facciamo il biglietto e ci spargiamo all’interno delle mura, non abbiamo molto tempo, almeno non quanto vorrei io.

Si sale a piedi verso la struttura principale passando attraverso vie che potevano essere facilmente controllate dall’interno, così come i nostri castelli medievali.

La prima cosa che pare chiara è l’eleganza artistica impiegata nella costruzione. È talmente evidente che fa sembrare la struttura medievale una villa in grado di rivaleggiare con quelle rinascimentali.

A parte pochissime eccezioni, i signori medievali europei non si sono mai curati di rifinire in questo modo le loro fortezze.

Bellissimo.


Quando entriamo, essendo tutto in legno, ci fanno togliere le scarpe. Anche se non è un tempio, mi pare più che giusto.

Iniziamo a perlustrare le stanze inizialmente semibuie. Illuminate solo dalla luce fioca delle lanterne si ha veramente la sensazione di essere tornati al medioevo giapponese.


La luce è così poca che non notiamo quanto le stanze siano vuote, non individuiamo neanche le due botole a scomparsa nel pavimento che venivano utilizzate come toilette.

Non che fossero molto più arredate ai tempi, sicuramente qualche cosa in più avevano.

Perlustriamo il primo grande piano, troviamo una scaletta ripida. Si può veramente salire? Guardo verso l’alto pensando che qualcuno ha lasciato sbadatamente aperto un passaggio, poi vedo che al piano superiore ci sono dei turisti.


Sì che si può salire!

Uno alla volta si salgono tutti i piani del castello, fino in cima. Visitiamo tutte le stanze che si rimpiccioliscono man mano che si procede verso l’alto. La struttura si stringe vicino ai due grandissimi pilastri che la sorreggono tutta, proprio come fossero i due alberi maestri di un veliero.

A volte ci sono delle botole nel pavimento per gettare qualcosa sui nemici sottostanti, a volte le botole si aprono sulle pareti dove si potevano nascondere degli assassini che volevano compiere attacchi a sorpresa.

In cima, nonostante sia tutto in legno, posso affermare di non aver mai sentito uno scricchiolio sinistro. Nemmeno il pavimento ondeggia mai sotto il peso delle persone che vi camminano.

 

Ovviamente il castello di Himeji è stato restaurato, anche recentemente, ma dal mio punto di vista sembra nuovo.

Senza rendercene conto il tempo è tornato a scorrere velocissimo. Ci ritroviamo catapultati nel presente quando scopriamo che abbiamo sforato i tempi stabiliti per la visita.

Corriamo all’uscita, ci uniamo al gruppo per andare a vedere il giardino giapponese.


Bello eh, ma per il mio gusto preferisco di gran lunga il castello… A saperlo sarei rimasto dentro il castello per vederlo meglio.

Per di più abbiamo un po’ di tempo prima di prendere il treno, così io e Cassandra gironzoliamo per Himeji in un paio di templi vicino al castello. Inizia a piovere e ci dobbiamo rifugiare nel mercato coperto che arriva fino alla stazione.


Anche se abbiamo già mangiato al volo, incrociamo moltissimi posticini con street food. Questa volta decido di prendere dei mochi. Al contrario di tutti gli altri viaggi fatti, in Giappone sto sperimentando solo i dolci perché sono tra le poche cose veramente vegetariane. Melon pan e mochi in particolare.

I mochi, delle palline dolci fatte pasta il riso, mi piacciono molto. Sono un po' gommose e lievemente dolci, ne vado matto.

Stavolta ho voluto provare la versione vista più volte in giro: uno spiedino di tre palline di mochi immerse nella salsa di soia calda.

Che schifo!

Era meglio rimanere sul dolce.

Giunti alla stazione ci ritroviamo con il resto del gruppo che era andato a mangiare in vari piccoli ristorantini.

Con altri treni andiamo a Hiroshima, dove ci accoglie una bella serata fresca. Giusto il tempo di posare i bagagli e possiamo uscire a vedere la città.

Sì lallero.

Dobbiamo prima fare il check-in.

Come sempre ci mettiamo più del previsto, anzi, finisce che danno a tutti una camera per fumatori.

Cassandra sente appena usciamo dall’ascensore che qualcosa non va. I suoi sensi di profetessa non sbagliano mai sulle profezie funeste. In camera troviamo l’arma fumante, o per lo meno lo è stata: il posacenere.

Corriamo in reception per farci cambiare la camera e per fortuna, parlando piano e scandendo bene le parole, riesco a farmi capire e ad ottenere il cambio. Pericolo scongiurato. Sai che incubo dormire in una camera che puzza di fumo???

Quando usciamo per andare a cercare l’autobus turistico, quello che fa il giro della città, piove copiosamente.

Chiediamo informazioni alla reception, come abbiamo già potuto constatare, l’inglese non è il loro forte.

Usciamo e chiediamo ad altre persone. Sembra che tutti siano addestrati a rispondere in inglese solamente per quanto riguarda il loro ambito lavorativo: in un hotel rispondono solo se vogliamo fare il check-in, in un Kombini ci chiedono solo se paghiamo in contati o carta, al limite se vogliamo la busta compostabile.

Ormai completamente zuppi proviamo a tornare in stazione e finalmente peschiamo il jolly: un signore molto gentile che fa proprio la guida turistica, ci dice che la sera quell’autobus non fa più servizio.

Ok, liberi tutti.

Pochissimi irriducibili continuano a cercare un autobus o un tram per farsi comunque un giro della città fino al parco della pace, dove c’è il famoso museo.

Tutti gli altri vanno a cercare un ristorantino o ad asciugarsi in hotel.

Io e Cassandra andiamo a saccheggiare un paio di Kombini.

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