Oggi salutiamo Tokyo e ci muoviamo verso sud.
Prendiamo come sempre
una serie di mezzi e arriviamo alla stazione da dove si prendono gli
Shinkansen.
Nell’attesa passano un
paio di treni pallottola quasi sotto i nostri occhi. Quasi perché abbiamo
giusto il tempo per dire “Guarda!”, e il treno è già passato. “Dove?” e ne è
passato un altro.
Ora sta arrivando il
nostro di Shinkansen. Non è un treno normale, è rosa! È la versione dello
Shinkansen di Hello Kitty!
Non sono un fan di Hello Kitty, Cassandra è contenta ed effettivamente è una cosa divertente. Tutto il treno è griffato di rosa e con Hello Kitty. Anche il pavimento è tutto rosa.
Tra una battuta e
l’altra vediamo che diverse persone vanno verso il vagone di testa. C’è
qualcosa da vedere? Andiamo anche noi. Difatti scopriamo c’è un negozietto che
vende gadget di Hello Kitty e una zona con la statua di Hello Kitty Controllore
con cui ci si può fare la foto.
Abbiamo giocato,
giochiamo fino in fondo.
Arriviamo con lo zaino
per una notte e camminiamo per venti minuti fino al castello.
Facciamo il biglietto e
ci spargiamo all’interno delle mura, non abbiamo molto tempo, almeno non quanto
vorrei io.
Si sale a piedi verso la struttura principale passando attraverso vie che potevano essere facilmente controllate dall’interno, così come i nostri castelli medievali.
La prima cosa che pare
chiara è l’eleganza artistica impiegata nella costruzione. È talmente evidente
che fa sembrare la struttura medievale una villa in grado di rivaleggiare con
quelle rinascimentali.
A parte pochissime
eccezioni, i signori medievali europei non si sono mai curati di rifinire in
questo modo le loro fortezze.
Bellissimo.
Quando entriamo, essendo tutto in legno, ci fanno togliere le scarpe. Anche se non è un tempio, mi pare più che giusto.
Iniziamo a perlustrare
le stanze inizialmente semibuie. Illuminate solo dalla luce fioca delle
lanterne si ha veramente la sensazione di essere tornati al medioevo
giapponese.
La luce è così poca che non notiamo quanto le stanze siano vuote, non individuiamo neanche le due botole a scomparsa nel pavimento che venivano utilizzate come toilette.
Non che fossero molto
più arredate ai tempi, sicuramente qualche cosa in più avevano.
Perlustriamo il primo
grande piano, troviamo una scaletta ripida. Si può veramente salire? Guardo
verso l’alto pensando che qualcuno ha lasciato sbadatamente aperto un
passaggio, poi vedo che al piano superiore ci sono dei turisti.
Sì che si può salire!
Uno alla volta si
salgono tutti i piani del castello, fino in cima. Visitiamo tutte le stanze che
si rimpiccioliscono man mano che si procede verso l’alto. La struttura si
stringe vicino ai due grandissimi pilastri che la sorreggono tutta, proprio
come fossero i due alberi maestri di un veliero.
A volte ci sono delle
botole nel pavimento per gettare qualcosa sui nemici sottostanti, a volte le
botole si aprono sulle pareti dove si potevano nascondere degli assassini che
volevano compiere attacchi a sorpresa.
In cima, nonostante sia
tutto in legno, posso affermare di non aver mai sentito uno scricchiolio
sinistro. Nemmeno il pavimento ondeggia mai sotto il peso delle persone che vi
camminano.
Ovviamente il castello di Himeji è stato restaurato, anche recentemente, ma dal mio punto di vista sembra nuovo.
Senza rendercene conto
il tempo è tornato a scorrere velocissimo. Ci ritroviamo catapultati nel
presente quando scopriamo che abbiamo sforato i tempi stabiliti per la visita.
Corriamo all’uscita, ci
uniamo al gruppo per andare a vedere il giardino giapponese.
Per di più abbiamo un po’ di tempo prima di prendere il treno, così io e Cassandra gironzoliamo per Himeji in un paio di templi vicino al castello. Inizia a piovere e ci dobbiamo rifugiare nel mercato coperto che arriva fino alla stazione.
Anche se abbiamo già mangiato al volo, incrociamo moltissimi posticini con street food. Questa volta decido di prendere dei mochi. Al contrario di tutti gli altri viaggi fatti, in Giappone sto sperimentando solo i dolci perché sono tra le poche cose veramente vegetariane. Melon pan e mochi in particolare.
Stavolta ho voluto
provare la versione vista più volte in giro: uno spiedino di tre palline di
mochi immerse nella salsa di soia calda.
Che schifo!
Era meglio rimanere sul
dolce.
Giunti alla stazione ci
ritroviamo con il resto del gruppo che era andato a mangiare in vari piccoli
ristorantini.
Con altri treni andiamo
a Hiroshima, dove ci accoglie una bella serata fresca. Giusto il tempo di
posare i bagagli e possiamo uscire a vedere la città.
Sì lallero.
Dobbiamo prima fare il
check-in.
Come sempre ci mettiamo
più del previsto, anzi, finisce che danno a tutti una camera per fumatori.
Cassandra sente appena
usciamo dall’ascensore che qualcosa non va. I suoi sensi di profetessa non
sbagliano mai sulle profezie funeste. In camera troviamo l’arma fumante, o per
lo meno lo è stata: il posacenere.
Corriamo in reception
per farci cambiare la camera e per fortuna, parlando piano e scandendo bene le
parole, riesco a farmi capire e ad ottenere il cambio. Pericolo scongiurato.
Sai che incubo dormire in una camera che puzza di fumo???
Quando usciamo per
andare a cercare l’autobus turistico, quello che fa il giro della città, piove
copiosamente.
Chiediamo informazioni
alla reception, come abbiamo già potuto constatare, l’inglese non è il loro
forte.
Usciamo e chiediamo ad
altre persone. Sembra che tutti siano addestrati a rispondere in inglese
solamente per quanto riguarda il loro ambito lavorativo: in un hotel rispondono
solo se vogliamo fare il check-in, in un Kombini ci chiedono solo se paghiamo in
contati o carta, al limite se vogliamo la busta compostabile.
Ormai completamente
zuppi proviamo a tornare in stazione e finalmente peschiamo il jolly: un
signore molto gentile che fa proprio la guida turistica, ci dice che la sera
quell’autobus non fa più servizio.
Ok, liberi tutti.
Pochissimi irriducibili
continuano a cercare un autobus o un tram per farsi comunque un giro della
città fino al parco della pace, dove c’è il famoso museo.
Tutti gli altri vanno a
cercare un ristorantino o ad asciugarsi in hotel.
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