Continuiamo ad esplorare Tokyo. Al contrario di ieri ad accompagnarci non ci sarà Atsuko, bensì un ragazzo molto giovane originario della Liguria che vive qui da circa cinque anni e si è pure sposato con una giapponese da un paio di anni.
Ovviamente anche questo
tempio non è originale perché ricostruito dopo i bombardamenti. Pure la guida
tiene a precisare che le costruzioni antiche giapponesi erano fatte di legno e
già prima della seconda guerra mondiale quasi tutto era stato più volte
ricostruito. Il legno, per quanto possa essere solido e di ottima qualità, col
tempo si deteriora comunque e ha bisogno di continui restauri o sostituzioni.
In proposito mi viene
in mente il paradosso della nave di Teseo, l’argonauta che usò la sua nave per
andare a Creta e sconfiggere il Minotauro. Considerata dei greci un tesoro, col
tempo si deteriorò e poco alla volta le parti più compromesse vennero
sostituite. Finché un giorno non rimase più nessuno pezzo della nave originale.
A questo punto la nave si può ancora considerare come “nave di Teseo”?
Va be’, lasciamo la
filosofia ai filosofoni. Noi siamo viaggiatori e sognatori, continuiamo il
nostro lavoro che è decisamente più semplice: fantasticare.
Il parco è molto bello, così come i templi shintoisti. Una grande strada sterrata tra gli alberi altissimi ci porta a dei giganteschi Torii, i tradizionali portali di accesso ad un santuario shintoista e che rappresentano un passaggio simbolico tra mondo umano e divino, poi al muro delle botti di sake donato per essere consacrato e lasciato qui. Di fronte al sake c'è un muro di botti di vino francese di Borgogna. Donato anch’esso per essere consacrato.
Ci sono diverse persone
che vanno davanti al tempio, dove c’è una grande cassa di legno, vi lanciano
dentro una moneta, battono le mani, si inchinano e pregano.
Mentre lentamente
torniamo indietro, la guida racconta che questo tempio è visitatissimo nei
giorni festivi, ma il 70% dei giapponesi è ateo. Il fatto che comunque vengano
quasi tutti al tempio, si spiega con il loro essere tradizionalisti. Anche
questo aspetto non mi dispiace.
Fuori dal tempio
prendiamo la metropolitana e andiamo ad Harajuku dove veniamo accolti da un
mega monitor con un gigantesco gatto in animazione computerizzata che
interpreta diverse scenette simpatiche.
Quindi proseguiamo
verso il grattacielo sulla cui terrazza c’è Godzilla che afferra il parapetto e
si affaccia.
Ora di pranzo, liberi tutti.
Io e Cassandra
gironzoliamo per il quartiere sgranocchiando il pranzo al sacco e, attirato dal
fascino dei videogiochi, finiamo in alcune sale giochi sperando di rivivere le
atmosfere degli anni ottanta e novanta. Purtroppo non sono quello che mi
aspettavo perché ricolme di giochi troppo moderni e macchine pesca premi,
quelle con gli artigli. Finiamo per capitare anche nel quartiere a luci rosse,
torniamo indietro.
La guida narra un’altra
contraddizione dei giapponesi: sono un popolo civilissimo, tranquillo e
rispettoso del prossimo e dell’ambiente… ma quando bevono si trasformano. Diventano
rumorosi come non mai e basta pochissimo per far uscire allo scoperto un lato
della loro personalità che viene tenuta segregata e nascosta. In pratica non
reggono minimamente l’alcol.
Per concludere la
visita ad Omotesando saliamo in cima ad un palazzo ad un grande incrocio. Lì in
alto, un giardino a terrazze su più livelli dà la sensazione di essere ancora
più piccoli rispetto alla città, ma ne mostra una buona parte.
Racconta inoltre,
conoscere ragazze giapponesi è molto facile, non tanto perché l’uomo straniero
sia più affascinante, quanto perché i giapponesi sono molto introversi. Se esci
con qualcuno e sei molto silenzioso, difficilmente farai venire voglia ad una
ragazza giapponese di rivederti. Lui non è un chiacchierone, ma rispetto alla
media giapponese è molto “espansivo”.
I rapporti tra uomini e
donne sono ancora più complicati di così: pare che gli uomini giapponesi
vogliano che anche la loro compagna sia prevalentemente introversa e
silenziosa. Insomma, una festa...
Questa la sua versione
eh, se fosse veramente così… Che noia e che barba!
La serata sta per
volgere al termine e la guida ci conduce fino a Ueno, dove io e Cassandra ci
staccheremo dal gruppo per andare ad Akibahara, mentre gli altri andranno al
museo Archeologico Nazionale all’interno del parco di Ueno.
Usciti dalla
metropolitana perdiamo un pezzo del gruppo, tanto per cambiare. Per uscire
dalla stazione alcuni hanno preso l’ascensore e sono finiti chissà dove. Tra
loro c’è perfino Claudio, il capogruppo.
Ci metteremo almeno mezz’ora per capire dove sono: assieme alla guida organizziamo le ricerche e arriviamo ad un incrocio molto lontano da cui hanno trasmesso la loro posizione. Sono usciti quasi un chilometro più in là.
Si tratta del quartiere
dell’elettronica e del mondo dei manga. Siamo al tramonto e i negozi da nerd
non so quanto ancora resteranno aperti, per cui avendo poco tempo, vado diretto
sul negozio che tutti i siti raccomandano di visitare: Mandarake.
Un monolite nero
composto da Sette piani di nerdità.
Quando entro devo dire che
ne rimango alquanto deluso.
Partiamo dall’ottavo
piano, quello dell’usato. Ci sono molti robot e giocattoli d’annata.
Praticamente sono quelli di 40 anni fa quando io ero bambino, ma giapponesi, il
che significa che molti di quei robot e giocattoli non sono mai arrivati in
Italia. Ne cito uno solo perché altrimenti la lista sarebbe infinita: Jeeg
robot d’acciaio. Costo: oltre 400 euro. Per un collezionista forse non sono
tanti.
Per un collezionista.
Certo, io sono un nerd,
ma un nerd povero. Tutti i soldi che guadagno li spendo nei viaggi con
Cassandra, al massimo posso permettermi un paio di Gachapon.
Scendiamo e al settimo
piano troviamo robot e action figure contemporanei. Neanche così tanti come mi
sarei aspettato.
Niente che mi attiri.
Soprattutto i prezzi.
Piano 5: fumetti usati,
ma in giapponese.
Piano 4 fumetti non
usati, ma in giapponese.
Piano 3 anime. In
giapponese.
Piano 2 Hentai. La
lingua in questo caso è indifferente, ma non è il mio genere.
Piano 1 accessori per
fare cosplay.
Piano zero anticaglia e
petrella. Ma nerd.
Quando siamo entrati
tutti nel palazzo ero entusiasta, ad ogni piano lo diventavo sempre meno.
Alla fine abbiamo
resistito solo io Alba, Francesca e Jessica.
Fuori ci sono tutti gli
altri del gruppo ad aspettarci. La maggior parte decide di andare a cercare un
ristorante.
Io, Cassandra, Jessica
e Francesca invece continuiamo a cazzarare in cerca di chissà quale nerdità da
portare in patria.
Primo negozietto in cui
ci imbattiamo la mercanzia mi sembra già molto meglio. Trovo una action figure da
portare a mia nipote Giorgia.
Ci sono anche
moltissimi Gundam, alcuni molto economici, ma resisto… Ora che ci penso avrei
dovuto prenderne almeno due o tre. Tornerò! Forse l’anno prossimo o quello dopo
ancora, tornerò.
Il prossimo negozio
forse sarà meglio.
Insomma.
Proviamone un altro.
Peggio di prima.
Credo che siano le
rappresentanti di alcuni Maid caffè: locali dove le ragazze sono vestite da
cameriere in modo succinto e si rivolgono ai clienti con l’appellativo di
“padrone”. Ci sono diversi tipi di questi locali, cercando su internet avevo
trovato che in alcuni la gente paga un supplemento per farsi imboccare, in
altri peggio: si fanno prendere a schiaffi.
Mi viene in mente la
scena di un vecchio film dove Bombolo seduto ad un tavolo dice “Acameriere? Ma
quando arriva ‘sta pizza?” Da dietro arriva Thomas Milian e gli molla uno
sberlone in faccia dicendo “Eccola”.
Sinceramente non so
quanto paghino per farsi menare, se venissero in Italia… Ok, ci sarebbe sempre
il biglietto aereo da comprare, ma poi potrebbero farsi prendere a pizze finché
vogliono. A gratis. Farebbero un’indigestione di pizze.
Lasciamo perdere il
cibo e continuiamo a perseverare nella vana ricerca delle nerdità.
Proprio quando stavo
per gettare la spugna trovo un altro negozietto ben fornito e a prezzi
accessibili. Prendo altri piccoli pensieri per Giorgia e finalmente posso
sentirmi soddisfatto.
Ora possiamo anche
tornare a casa.
Per questa sera.
Cosplay?
Quando però sei in metropolitana a Tokyo con
personaggi del genere e non capisci se vanno sempre in giro così o stanno
facendo cosplay, un attimo di confusione te la creano nonostante gli anni di
studio della cultura giapponese...
Come? Dove sta contraddizione? Semplicemente nel
fatto che non vedi mai una via di mezzo: da una parte ci sono gli studenti
vestiti tutti uguali con la divisa, o ancora i colletti bianchi in giacca e
cravatta, dall’altra ci sono loro… Probabilmente si vestono così tutti i
giorni.
A me piace questa libertà creativa e sono convinto
piaccia anche a tantissimi turisti. Non
oso immaginare cosa succederebbe se anche da noi la gente iniziasse a vestirsi
così tutti giorni…
In fondo cos’è la moda se non una fuga dalla realtà
quotidiana?
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