martedì 30 luglio 2024

Dodicesimo giorno - Koyasan

È iniziata la Golden Week, una serie di festività giapponesi che mettono in moto tutto il paese per una settimana di ferie generale. Tutto ciò genera uno tsunami di problemi per chi viaggia. Difatti il treno per Koyasan è a rischio ritardo, forse addirittura cancellazione.

Siamo in Giappone e quando si parla di ritardo, non sono minuti ma secondi. Cosa che non sarebbe comunque accettabile per questo paese così ordinato e tranquillo. Qui si rischia che l’autista si squarci per la vergogna il ventre con una spadina affilatissima mentre un suo fidato collega, il bigliettaio, lo decapita con un sol colpo di katana.

Ma abbiamo prenotato una notte al monastero buddista di Koyasan e per arrivarci dobbiamo cercare un’alternativa.

Optiamo per il bus.

Con pochissimi minuti di anticipo la mattina della partenza arriviamo alla fermata. Vedendo il nostro allegro gruppo di italiani arrivare alla spicciolata e temendo che gli facessimo fare ritardo, l’autista inizia a prendere la sua spada e a pulirla con dignità.

Il resto del gruppo arriva tranquillo e inconsapevole che la loro mancanza di puntualità potrebbe essere lavata solo col sangue.

Solo quando siamo finalmente tutti seduti e l’autista vede che ha ancora un tesoro di ben venti secondi prima di avviare il motore in tempo, con un sospiro ripone la spada e chiude le porte.

Partenza in orario nonostante gli italiani.

Quando sarà vecchio potrà raccontare ai nipotini di quella volta che gli italiani per poco non gli hanno fatto fare seppuku.

Il viaggio è lungo ma tranquillo, con una sosta di mezzora in un’area di servizio, dove non ho resistito al solito mochi dolce. Arriveremo poco prima di mezzogiorno.

Troviamo subito il tempio dove dormiremo e lasciamo i bagagli prima di venire fagocitati dai templi shintō buddisti e subito iniziamo l’esplorazione dei vari templi di Koyasan.

Con calma gironzoliamo tra vari piccoli templi, che come il nostro sono anche luoghi di accoglienza per i turisti. Koyasan non è molto grande, non ci mettiamo molto.

Primo grande tempio, il Kongobu-ji. Già da fuori si intuisce che è il posto giusto per cominciare la giornata.

Io e pochi altri facciamo il biglietto cumulativo per 5 templi ed entriamo.


Le prime sale sono con pareti dipinte come al castello di Nijō. Entriamo in una grande area aperta dove c’è la cucina e la dispensa. Molto bello, ma c’è qualcosa di diverso in questo tempio. Ciò che lo rende differente è la vita che lo anima: monaci ovunque e pare siano in fermento.


Si intravede anche un monaco anziano che viene accompagnato da una sala all’altra. C’è poi una stanza con due novizi che assistono un monaco in preparazione per qualcosa. Stai a vedere che ora devono fare qualche cerimonia e ci sbattono fuori?

Dopo aver ammirato la grande sala, un po' intimoriti ci dirigiamo verso l’uscita e stiamo per andarcene quando vedo altre stanze sul corridoio principale.

Proprio nel mezzo del portico diversi monaci stanno preparando una portantina, credo si apprestino a iniziare una processione. Forse abbiamo ancora tempo prima che comincino.

Dopo aver visto le altre stanze trovo anche un corridoio esterno coperto che costeggia un giardino zen e porta ad un’altra ala del tempio.














Io e Cassandra ci entriamo subito e finiamo per trovare molte più stanze dipinte, tutte bellissime, e una grande sala per le celebrazioni che si affaccia su un giardino zen ancora più grande. Questo circonda la struttura dove siamo ed altre che emergono camminando sul portico che si affaccia sul giardino. Un’altra grande struttura sembra emergere dalla ghiaia come se fosse un’isola, mentre i massi e gli alberi qui sono così tanti che anche volendo non si riuscirebbe a contarli in una sola volta.

Questo tempio è pieno di sorprese.

Cerco di immortalare il grande giardino dalle angolazioni migliori ma è troppo vasto per catturarne la bellezza con una sola foto.

Arriviamo al ponticello che porta alle altre strutture ma il passaggio non ci è consentito e un via vai di signore e signori vestiti con kimono tradizionali fanno presumere che ci sia un evento privato in corso.

Quando però rimango solo e non ci sono più turisti oltre me, mi attardo per fare le ultime foto, mi giro per andarmene ma sento un verso:

Pst! Pst!

Mi volto e uno dei signori in kimono mi fa segno di avvicinarmi.

Non me lo faccio ripetere due volte. A Cassandra invece viene fatto cenno di restare lì dov’è. Maschilismo giapponese?

Arrivo dove sta lui e mi indica il giardino dicendomi che da lì ho una visuale migliore.

Scatto!

Arigatou gozaimazu!

E mi inchino meglio che posso con un sorrisone mentre torno indietro da Cassandra che mi guarda un po’ incredula.

Mi inchino ancora da lontano al signore e questo di nuovo:

Pst! Pst!

Mi richiama.

In un inglese giapponesato mi dice che mi vuole mostrare un giardino riservato ai soli membri della famiglia imperiale.

Lo seguo inchinandomi continuamente per tutto il percorso ad ogni persona che incontriamo. In una stanza ci sono uomini e donne in kimono inginocchiati e composti davanti ad un tavolino. Sembrano finti, come se fossero dei manichini in un museo. Mi inchino lo stesso, per precauzione.

Arriviamo sull’affaccio ad un altro grande giardino zen nascosto a tutti e il signore mi dice che lì posso fare la foto.

Scattooooo!

Sto per farne un’altra, arriva una signora in kimono che in un inglese molto più comprensibile e lapidario mi dice:

Gentile signore, questa è un’area riservata e chiusa al pubblico. Lei non può stare qui.

Io non dico niente e acconsento inchinandomi.

Non faccio la spia.

Allora interviene il signore e le dice che mi ci ha portato lui.

La signora allora scoppia a ridere, alla fine me ne devo andare lo stesso.

Il signore mi fa segno di non preoccuparmi e di mantenere il segreto.

Io lo dico solo a voi eh, mi raccomando.

Facciamo il percorso inverso e ritorniamo dove stavano preparando il baldacchino. Ci ritroviamo in mezzo all’inizio della processione. Gli altri sono già usciti tutti e noi siamo bloccati dentro.

Dobbiamo attendere che carichino il vecchio monaco sulla portantina. Finalmente l'anziano riesce ad entrare e con canti e preghiere la processione lascia il tempio. In soli venti minuti usciamo anche noi.


Prima di proseguire mangiamo qualcosa e andiamo verso la prossima tappa del biglietto cumulativo. Una grande strada verde circondata da alberi e piante colorate ci conduce ai piedi verso altre strutture, tra cui spicca una grande pagoda arancione e un grande tempio. Ce n’è anche uno più piccolo dove è giunta la processione con tutta la gente che l’ha seguita.

Vado subito a vedere l’interno della pagoda, forse la più grande vista finora, poi l’altro tempio. Entrambi dentro sono molto belli e ricchi di statue colorate e decorazioni.

 

La maggior parte della gente giunta sin lì è come ipnotizzata dalla cerimonia. Sarà che non essendo buddisti e non capendo la lingua non ne subiamo il fascino, continuiamo a vagare qua e là scoprendo altre strutture.

Ce ne è perfino una con dei bracci di legno che sporgono da un grande cerchio anch’esso di legno. Spingendoli si può fare il giro della struttura.

Ci provo da solo andando in senso orario, arrivo solo ad un certo un punto in cui la ruota si blocca.

Solo quando si unisce Cassandra riesco a sbloccarlo e a completare il giro. 

 

Ci sarebbe un altro tempio da visitare, prima di salirci avvisto un calabrone che fa da guardiano. Non ho studiato abbastanza e per evitare di essere “bocciato”, desisto ed evito questo tempio.

Usciamo dal complesso dei templi per andare al prossimo, prima facciamo uno spuntino. Ne approfitto per prendere anche i mochi.

Dopo si va alla cerimonia buddista compresa nel biglietto cumulativo.

Metà del gruppo non riuscirà a vederla per un disguido sul biglietto.

La cerimonia ovviamente sarà in giapponese, di questo non avevo dubbi.

Ci fanno togliere le scarpe e ci portano in una sala del tempio dove ci fanno accomodare su delle seggioline, dopodiché scatta la trappola.

Tutte le porte vengono chiuse e rimaniamo soli al buio. È una prova di coraggio? È un test per vedere se scappiamo e appena mettiamo piede fuori ci decapitano?

Da fuori arriva solo il rumore dei passi di due monaci che camminano sul legno cigolante.

Si fermano davanti a una delle porte e cominciano la cerimonia. Fuori.

Dopo un paio di minuti aprono le porte ed entrano.

Al buio si piazzano davanti a noi e ricominciano una cantilena che va avanti per un po’ fino a quando sento qualcosa impossessarsi di me. Ho visto la luce?

No, la luce proprio no, anzi.

Sento che gli occhi mi si chiudono e probabilmente mi addormento.

Finisce la cantilena e mi sveglio.

Il monaco parla, forse è il corrispettivo della nostra predica.

Anche qui riparto in tromba.

Altra cantilena.

Neghini neghini nasalukolò.

Neghini neghini nasalukolò.

Neghini neghini nasalukolò.

PS: non diceva queste parole, ma l’unica cantilena che conosco era quella della Regina Himika quando tenta di risvegliare il Signore del drago (episodio 41 di Jeeg robot d’acciaio).

Ed ecco che il signore del drago…

Quando mi sveglio il monaco sta chiamando una persona per ogni gruppo di partecipanti. Questi vengono invitati a salire i gradini dell'altare, al buio, e a inginocchiarsi per ricevere la benedizione.

Per noi va Matteo, che incredibilmente riesce a non cadere sugli scalini.

Se ci fossi andato io sicuramente avrei sbattuto come minimo ogni dito del piede, tirato giù mezzo tempio e invocato svariati buddha e bodishattva… Altro che cerimonia di benedizione, mi avrebbero dovuto fare un esorcismo.

Solo dopo un altro paio di cantilene i monaci riaprono le porte, la luce rientra e il sonno evapora come un vampiro colpito dal sole.

Claudio se ne va contrariato con un solenne “Non ci ho capito una mazza.”

Nemmeno io, ne ero consapevole, del resto cosa ci aspettavamo? Uno schermo con i sottotitoli e la persona che fa il linguaggio dei segni per i non udenti?

Sciocchi noi a pensare che sarebbe potuta essere una cosa interessante.

Va be’, lasciamo perdere la religione, è una vacanza e non voglio indire lo scisma di Koyasan.

Usciamo diretti al prossimo punto della visita: il mausoleo Tokugawa, quello di Hideyoshi e Hidetata, Shogun e figlio.

Ovviamente non sono sepolti lì perché le ceneri di Hideyoishi sono state portate a Nikko. Però i mausolei, anche se in legno sono molto belli.

Prima dell’ultima tappa, la classica ciliegina sulla torta: torniamo al nostro tempio per prendere possesso delle camere. Ci aspetta l’ultima fatica della giornata: il check-in.

Come abbiamo amaramente sperimentato, in Giappone non è cosa da sottovalutare. A Koyasan inoltre dormiamo in un tempio gestito da semplici monaci la cui filosofia non è proprio la vita sempre di corsa.

Non la vedo bene.

E invece... Nonostante i loro modi pacati e ben lontani da quelli europei, facciamo il check-in più veloce di tutta la vacanza.

Tolto le scarpe e infilato le ciabatte messe a disposizione per tutti, due monaci con un inglese ciancicato, ovvero masticato malissimo, ci mostrano i bagni: uno per gli uomini e uno per le donne. Ci sono le docce alla giapponese: quattro doccini con quattro sgabellini. Nessuna struttura. Evidentemente la doccia la fanno da seduti.

 

Non so quanti di noi abbiano approfittato di questa occasione, anche perché su internet avevamo letto che i templi non avevano l’acqua calda…

I monaci ci mostrano anche la sala da pranzo dove ci sono già tutti i vassoi e i cuscini pronti. Altezza tavolini? Quindici centimetri.

Sono le cinque e ci annunciano che la cena sarà tra mezz’ora…

Ci mostrano le camere: gigantesche!

Le ciabatte vanno lasciate fuori eh, altrimenti veniamo sgridati.

Con la porta scorrevole di legno e carta si accede ad un’anticamera grande quanto la stanza degli hotel a quattro stelle che abbiamo avuto finora.

Con un’altra porta scorrevole si entra nella vera camera, ancora più grande.

Al centro c’è il kotatsu: un tavolino quadrato di legno basso con una coperta elettrica incorporata i cui lembi escono dai quattro lati.

In un angolo ci sono dei piumoni ripiegati con coperta e i cuscini. Si dormirà direttamente sul tatami. Dice che fa bene alla schiena…

Un armadio contiene altre coperte e volendo c’è anche una stufa elettrica. Certo che messa sopra il tatami… ovvero una stuoia… non mi sembra un’ottima idea. Poi la gente si domanda come mai così pochi castelli medievali siano arrivati fino ai gironi nostri… tatami e stufetta? E la casa va in fumo!

Il tempo di lasciare a terra i bagagli, capire che non c’è neanche una sedia e che potremo stare solo in piedi o sdraiati, e ci vengono a comunicare che la cena è in tavola, o meglio in tavolino.

Sono lo 17:30.

Scendiamo e troviamo un vassoio per uno, su cui ci sono diverse ciotole con pochi ingredienti ciascuna. C’è anche un piccolo fornelletto scaldato da un lumino, su cui hanno messo a bollire funghi, verdure e un sacchettino morbido che sembra una frittatina ripiena.

La cena è vegana, stasera riusciremo a mangiare finalmente tutti assieme, anche se probabilmente l’apprezzamento non sarà generale.

Ero partito prevenuto leggendo i pessimi commenti di diversi blog, mi ero premunito comprando la cena per il dopo cena. Ho dovuto ricredermi. Ne sono uscito sazio e contento come un vegano in un paese dove i vegani possono mangiare tranquilli solo nei templi buddisti.

Tanto per capire, c’era una grande pentola dove si poteva prendere tutto il riso bianco che si voleva, giusto per accompagnare. Nelle ciotole c’erano verdure sottaceto, funghi, fagioli, un tofu morbidissimo con sopra un po’ di wasabi e peperoncino e immerso in un lieve strato di salsa di soia. Volendo c’era un brodino con delle palline colorate che sembravano il “succhia succhia che mai si consuma” di Willy Wonka, versione anni 70 con Gene Wilder, in realtà non sapevano di nulla.

Nel fornelletto c’erano delle verdure, una famigliola di funghi gustosi e il fagottino era ripieno di verdure. In un’altra ciotola altre verdure sottaceto e nell’ultima un altro fagottino che sembrava una frittatina.

Considerando che si tratta di cucina vegana, i fagottini non potevano essere frittatine, probabilmente erano di soia, a me sono piaciuti.

Per dessert un paio di fettine di arance servite su un budino bianco, che sarà stato di soia o di mandorla, non ho idea di cosa fosse, molto buono.

Tutto innaffiato con tazze di the verde, che di solito non bevo mai. Stavolta ci stavano benissimo.

Avendo consumato anche un paio di ciotole di Cassandra, fagioli e dolce per citarne alcuni, non sono riuscito a finire il riso…

Soddisfatto, torniamo un attimo in camera e ci prepariamo per l’ultima emozionante visita della giornata da fare esclusivamente al tramonto. Si potrebbe fare anche all'alba, ma domani sarà dura alzarci presto, così ci incamminiamo per il cimitero Okunoin.

A trenta minuti di cammino infatti c’è un cimitero famoso in cui si dice che non ci sono morti, bensì tutti coloro che vi giacciono siano in realtà addormentati, in attesa dell'arrivo del nuovo Buddha.

La passeggiata dell’andata è piacevole ed in leggera discesa.

Verso metà strada iniziano a comparire delle tombe sulla sinistra della strada. Molte tombe. Alcune sono illuminate da una flebile luce, tutte giacciono all’ombra degli altissimi alberi.

Mi viene la tentazione di entrarci, ma controllando sulla cartina vedo che poco più avanti si inoltrerà su per la montagna e non vorrei perdermi ora che sta per far buio.

Proseguiamo dritti e arriviamo al grande piazzale dove c’è l’ingresso.

Questa è la parte più moderna del cimitero, tra tombe bizzarre, perfino aziendali come quella del signor Mitsubishi che però ha la forma di un razzo…

Fortunatamente più si va avanti, più diventa bello.

Pare sia uno dei luoghi più mistici e sacri di tutto il Giappone, per quanto riguarda il buddismo.

Molto più in là nel bosco sorge il mausoleo di Kobo Daishi, il fondatore del buddismo Shingon. Se non sbaglio anche la guida aveva detto di essere devota a Koyasan e quindi al suo fondatore.


La leggenda dice che Kobo Daishi non sia morto, bensì in meditazione eterna, in attesa che giunga il Buddha del futuro, Miroku Nyorai.

Continuiamo a camminare tra le tombe, sotto un cielo plumbeo, senza pensare a dove arriveremo. Nel frattempo la luce inizia a calare lentamente. Ci troviamo di fronte al ponte che porta al mausoleo di Kobo Daishi, facciamo tre inchini e ci apprestiamo a fargli visita.


La luce è quasi del tutto andata, le lanterne delle tombe e qualche sporadico lampione dovrebbero bastare a non farci perdere.

Siamo praticamente soli. Immersi in un silenzio spettrale possiamo ammirare il mausoleo e il padiglione delle lanterne.


Sembra  ne contenga circa diecimila e si dice ve ne siano alcune che vengono mantenute accese da ben novecento anni.

Ormai è praticamente buio, forse è meglio tornare indietro.

Poco prima di incamminarci sopraggiunge anche Tony, avanguardia del secondo gruppo che sta arrivando con Claudio. Lo lasciamo lì a scattare foto.

Scendiamo le scale e ci incamminiamo prendendo un altro sentiero, quello tra le tombe, comunque agibilissimo e illuminato. Se ci andate da soli forse è meglio quello dell’andata, però fatto in gruppo risulta molto bello.

Dopo una decina di minuti ci rendiamo conto che Roberto non c’è più.

Ma ‘ndo cavolo sta??


Sapendo che non ha neanche internet e per fare qualunque cosa chiede sempre aiuto a tutti, inizio a preoccuparmi. Roberto è buddista, non credo sia pronto per entrare in meditazione eterna come Kobo Daishi, piuttosto temo ci stia cercando imprecando in romanesco.

Obuddha, se si perde qui non lo troviamo più.

Io e Domenico torniamo indietro per vedere se è rimasto da qualche parte. Abbiamo già fatto un bel tratto senza incrociarlo, ci mettiamo a correre sperando sia rimasto con Tony al tempio.

Dobbiamo tornare proprio fino al mausoleo per ritrovarlo proprio assieme a Tony.

A Robbe’ avvisa la prossima volta!

Un po' sudati, ormai tranquilli, ci ricongiungiamo al gruppo. Anche senza Roberto però rimaniamo lo stesso numero di persone. C'è un imbucato! Un tizio di un altro gruppo di avventure, ammaliato da Jessica, ci ha seguiti come un cane randagio quando pensa di aver trovato un nuovo padrone.

Peccato che così facendo si è staccato dal suo gruppo finendo sul sentiero tenebroso delle tombe.

Per di più ‘sto frescone, dopo aver tentato l’abbordaggio all’abruzzese, viene smascherato continuamente dalle chiamate della fidanzata, che lo cerca con il suo gruppo di Avventure.

Jessica ci mette subito una pietra sopra, del resto siamo al cimitero.

Man mano che camminiamo incrociamo sempre più gente che sta andando a visitare il cimitero. Bello eh, per carità, come lo abbiamo fatto noi, con la luce che scompare gradualmente, credo che non abbia eguali.

Nel frattempo il nostro cammino prosegue tra tombe e alberi, ma dopo una mezzoretta usciamo finalmente sulla strada asfaltata sani e salvi.

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