Alle 9 siamo tutti
nella hall, già colazionati come raccomandato da Claudio. Alla fine non ho
dormito molto ma ancora non lo sento.
Ad aspettarci c’è
Atsuko, il cui nome e cognome significano bianca signora gentile.
Parla italiano,
abbastanza bene per una giapponese, coi suoi tempi. Per iniziare va benissimo.
Usciamo a piedi in
direzione della metropolitana dove facciamo il biglietto giornaliero, cosa che
servirà molto oggi.
Prima passiamo per caso sotto due ciliegi i cui petali sono sopravvissuti alla tempesta che la settimana scorsa ha praticamente spazzato via quasi tutti i petali della città.
Facciamo solo una
fermata.
Livello metro Tokyo?
Vulcaniani.
Pulitissima e tutti in
fila per salire senza ammassarsi attorno alle uscite impedendo la discesa a chi
deve uscire. Ah, in metropolitana non parla nessuno. Silenzio sul vagone, gli
unici che parlano siamo noi italiani.
In tutto quel silenzio,
anche se non stavamo facendo baccano, mi sono sentito po’ come quando a Roma
sale sulla metro un gruppo di ubriaconi molesti. Tutti fanno finta di niente ma
in realtà so benissimo che pensano:
Tacci loro!
Usciti dalla metro ci
troviamo a camminare in un quartiere che sembra nuovo, dove tutto è in ordine,
con spazi calcolati al centimetro. In realtà Atsuko racconta che a Tokyo
essendo stata bombardata tantissimo durante l’ultima guerra mondiale, non è
rimasto quasi nulla di antico, o anche solo di prima della guerra.
In pochi minuti
arriviamo ad Asakusa, dove c’è il tempio Sensō-ji.
Sulla destra dopo il
fiume Sumida spicca un palazzo dorato che dovrebbe sembrare un bicchiere di
birra: è la sede della marca di birra Asahi.
Il fiume era lo sbocco principale della città verso l’oceano, per cui era molto importante per il commercio. Oggi invece è navigato solo per turismo.
Anche questa porta è
stata ricostruita più volte, l'ultima nel dopoguerra dal fondatore di
Panasonic.
Per arrivare al tempio
si deve attraversare un viale di negozietti per turisti. Ne vedo alcuni con i
mochi, dei dolci che devo assolutamente assaggiare!
Sensō-ji è un tempio
antico ma ricostruito almeno venti volte. Essendo in legno non ha potuto
resistere molto ad incendi e terremoti. Ogni volta è stato sempre ricostruito dai commercianti del quartiere.
I pescatori ributtarono
a mare la statua, ma ogni volta che ritiravano le reti,
ce la ritrovavano dentro. In questo modo si convinsero che dovevano
costruire un tempio a lui dedicato, così lo
fecero proprio nella zona dove siamo oggi.
Non è un tempio molto
grande. Per essere il primo che visitiamo ci sembra bello. Anche i giardini con
le coloratissime carpe Koi sono piccoli e carini. Sul ponticello avvisto
perfino un piccolo serpentello verde.
Avendo una mezz'ora di
tempo per gironzolare tra templi e negozietti, mi dirigo direttamente da
Kagetsudo, uno storico negozio di dolci melonpan e non essendoci quasi fila ne
compro subito uno. Sembra un panino tipo tartaruga, dolce ma non molto, il
giusto. Diventerà la mia colazione quotidiana, devo ammettere che quello che ho
mangiato qui è stato il migliore.
Sulla via del ritorno
prendo anche tre mochi tempura. Buoni, sebbene il melonpan era meglio.
Poi prendo dei biscotti
di riso e salsa di soia, per merenda.
Il discorso cibo in
questo viaggio è particolare per me, dato che il concetto di vegetariano per i
giapponesi non è molto chiaro, mi limiterò ad esplorare la loro cultura
culinaria dei dolci, praticamene privi di latticini e strutto.
Sono già sazio? Oltre a
dormire poco ora mangio poco? Sono proprio scombussolato.
Nonostante il nostro
credo alimentare, ci è piaciuto molto questo
mercato. Come sempre i mercati sono uno dei posti migliori da vedere.
Tra una cosa e l’altra
chiedo ad Atsuko da quanto tempo fa la guida e dice che è solo dal 2019 che si
è messa in proprio, prima lavorava per una agenzia turistica. Ultimamente sta
lavorando moltissimo con gli italiani. In pratica dopo il covid gli italiani
sono arrivati in massa e parlando lei la nostra lingua… Praticamente sta
portando in giro quasi esclusivamente italiani invece degli inglesi. L’italiano
è molto apprezzato e molta gente lo studia. Lei per esempio lo ha imparato con
dei corsi privati.
La prossima tappa è il
Palazzo Imperiale, quello dove vive ancora oggi l'imperatore. Ci arriviamo a
piedi, dopo un paio di cambi di metropolitana. Prima però ci perdiamo Tony che
non riesce a salire in tempo sulla nostra stessa metropolitana. Per fortuna con
whatsapp lo avvisiamo di trovarci alla prossima fermata.
Per fortuna, dei 16
partecipanti al nostro viaggio, molti hanno la eSim installata con il traffico
dati, gli altri invece si appoggiano al wifi portatile che abbiamo noleggiato.
Tutto molto comodo perché nonostante nelle stazioni i cartelli siano anche in
inglese, internet è fondamentale per muoversi e non perdersi.
Quando arriva la
successiva metropolitana, vediamo Tony scendere di corsa, lui non vede noi e,
come un gatto di marmo che saluta (quelli che si vedono nei ristoranti
giapponesi), salta sulle scale mobili ed esce dalla stazione.
Ci mettiamo qualche
minuto in più a recuperarlo, ma riuniremo il gruppo.
Attraversando il
quartiere dei grattacieli, tutti uffici, veniamo a sapere che in questa zona un
metro quadro costa circa 200.000$.
Arrivati al grande
fossato che circonda l'isola del palazzo, veniamo a sapere che in realtà del
palazzo reale non vedremo nulla perché è visibile solo due giorni l’anno,
quando l'imperatore si mostra al pubblico con la sua famiglia.
Attraversiamo il ponte
ed entriamo nella grande porta difensiva, una delle 19 fortificazioni che un
tempo proteggevano l'isola. Ora ne sono rimaste solo tre come questa.
Ci sono anche due antichi posti di guardia dei soldati e un giardino fiorito che si può attraversare con un sentiero in mezzo agli alberi. Dopo qualche minuto sbuca nei pressi della casa del the e il laghetto con le carpe Koi.
È pomeriggio inoltrato,
il cielo è sempre più plumbeo quando usciamo dal Palazzo Imperiale. Ci
dirigiamo tra i grattacieli verso la stazione centrale. Anche questa è stata
distrutta durante i bombardamenti e poi ricostruita, lo hanno fatto come era
prima: in stile inglese. L’architetto che ha realizzato l’opera studiò a Londra nell'800 e volle ricrearne le
caratteristiche architettoniche.
Nel frattempo inizia a
piovere.
Mezz’ora più tardi ha
smesso. Decidiamo di andare comunque ad Odaiba, così salutiamo Atsuko e saliamo
sulla monorotaia sopraelevata.
Sfortunatamente il
biglietto giornaliero qui non va bene perché la monorotaia è di una compagnia
diversa da quella della metropolitana. In pratica per muoversi in tutta la
città ci sono tre compagnie differenti. Per fortuna c’è la Pasmo, una carta
prepagata da installare sul telefono e su cui caricare qualche yen giusto da
usare per i mezzi. Ovviamente è meglio avere un abbonamento, ma in caso di
necessità San Pasmo viene in tuo aiuto e non perdi tempo a fare il biglietto.
Purtroppo non tutti
sono devoti di San Pasmo, così dobbiamo
attendere che gli altri partecipanti, questi eretici, acquistino un biglietto
singolo.
Partiamo dal capolinea.
Non essendo ancora avvezzi ai meccanismi giapponesi, la prendiamo con troppa
tranquillità e Domenico rimane a piedi sulla banchina mentre la moglie Pina
perde un po’ le staffe vedendolo giù dal treno.
Gli facciamo segno di
prendere il prossimo convoglio e lui sembra aver capito.
La monorotaia
sopraelevata passa sopra le strade in mezzo a palazzi e grattacieli, molto
bella e panoramica, soprattutto quando sale a spirale come il trenino rosso del
Bernina per poi puntare in mezzo al mare dove c’è l’isola artificiale di
Odaiba. Atsuko ci aveva spiegato che quest'isola, e altre analoghe, nacquero
quando Tokyo era diventata troppo piccola e non c'era più terreno da occupare.
Così le hanno create dal nulla ed ora fanno parte della città.
Arrivati a destinazione
ci disponiamo a rastrello sulle varie uscite dei vagoni, pronti a intercettare
Domenico in modo che non ci sfugga come ha fatto Tony questa mattina.
Arriva il primo treno,
di Domenico nessuna traccia.
Arriva il secondo.
Ancora nulla.
Mi viene un dubbio: non
sarà che è sceso alla fermata successiva sperando che fossimo li ad aspettarlo?
Lui non ha internet per
cui Francesca prova a chiamarlo, il telefono suona, lui
non risponde.
A questo punto prendo
Claudio e torniamo indietro per cercare di intercettarlo, forse si è un po'
spaventato e ci sta aspettando su qualche banchina non sapendo cosa fare.
Cassandra si unisce al rescue team, la quota rosa, e partiamo.
Arriviamo alla prima
fermata e mi sporgo dall’altra parte mentre arriva un treno. Eccolo!
Appena prima che si
richiudano le porte del nostro treno scendiamo e saltiamo sul treno di
Domenico.
Salvataggio compiuto.
Domenico è un po’
frastornato, più che altro perché ora dovrà affrontare la moglie.
Eh Domenico, mo so
cazzi tua, vedrai quanno tu moje te rimette e mani addosso.
Invece Pina è
tranquilla e contenta di poterlo riabbracciare.
A Odaiba pioviggina. Per prima cosa andiamo subito verso il Gundam.
Il colosso, tutto in
metallo sfavillante, è il simbolo di Odaiba. Fatto benissimo, in ogni minimo
particolare, sembra che possa prendere vita e andare a combattere da un momento
all'altro.
Bellissimo.
Il tempo di girarci
attorno per immortalarlo da ogni angolazione e poi inizia lo spettacolo.
Vengono proiettate
immagini dell’Anime sul grande muro dietro al Gundam e in sincrono con l’audio
della musica e dei combattimenti del video, il robot muove alcune parti mentre
altre si illuminano in combinazione con un gioco di luci che, accendendolo e spegnendolo
come un albero di natale, aumenta la sua dinamicità.
Non è come il Gundam
0078 di Yokohama che si muove veramente, ma è molto bello anche questo.
Dopo che lo spettacolo
finisce, mi accorgo che ormai piove bene.
Per completare la serata andiamo a vedere la riproduzione della statua della
libertà con alle sue spalle un ponte dalle fattezze di quello di Brooklyn. Sarà
la pioggia, saranno le luci e il buio ma dà proprio la sensazione di essere a
New York.
Mentre gli altri vanno
a cercare un ristorante al vicino centro commerciale, io e Cassandra facciamo
la prima fuga in solitaria e torniamo in hotel in autonomia. Prendiamo la
monorotaia e una metro che, in soli 40 minuti ci riporta
a Ryogoku, dove c'è la nostra base.
Questo ultimo viaggio
ci rende definitivamente consapevoli di poter girare la città senza problemi.
Una rapida incursione al Seven Eleven per procacciarci cena e colazione e la prima lunghissima giornata si conclude.
Il bagno giapponese
Prima di chiudere
questa intensa giornata devo raccontare ancora una cosa, il bagno giapponese.
Chiunque ho sentito
parlare del Giappone raccontava di quanto fossero fantastici i bagni
giapponesi. Ho sempre pensato che esagerassero, anzi, che fosse una cosa un po'
spaventosa e inquietante.
Invece mi devo
ricredere.
A partire dal più
basico al più fantascientifico sono praticamente degli attrezzi avveniristici. Se non fosse che ho
appena ristrutturato il bagno di casa… ce lo farei mettere anche io!
La prima volta che ho
sperimentato il bidet mi sono fatto quattro risate per quanto sia un’idea
semplice ma anche pratica, oltre al fatto che faceva ridere per il solletico.
I bagni, soprattutto in
hotel sono molto piccoli, quasi claustrofobici, ma hanno tutto e il WC con in
bidet e l’asse riscaldato è una cosa a cui noi italiani dovremmo convertirci al
più presto.
Sono di parte, lo so,
mastico la cultura giapponese da così tanto tempo che ormai a certe cose non ci
faccio più caso, questa è una di quelle che merita.
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