martedì 23 luglio 2024

Quinto giorno – Tokyo in libertà – Teamlab – Tokyo tower – Miriakan fallito

Liberi tutti!

Alla mattina iniziano a circolare messaggi di ammutinamento sul gruppo whatsapp. Causa mal tempo alcuni rimarranno a visitare Tokyo in libertà, altri andranno al museo Nazionale Archeologico di Ueno e nel pomeriggio a Kamakura come da programma.

Io e Cassandra stiamo a Tokyo per conto nostro. Già la sera prima lo avevamo deciso e così siamo riusciti a prendere due biglietti on line per il TeamLab e la Torre di Tokyo.

Ho studiato il percorso e, muniti dal nostro santino Pasmo, raggiungiamo il TeamLab sotto la pioggia.

Si tratta di un museo interattivo e sensoriale.

Prima cosa da fare una volta entrati è togliersi scarpe e calze e riporle assieme a zaini ecc in un armadietto.

Prima di entrare ci sono i bagni. Ma come faccio ad andare in bagno a piedi nudi?

Non c’è problema: decine di ciabatte di gomma sono pronte all’uso all’ingresso dei bagni.


Ok ora possiamo entrare.

La prima prova sembra uscita da una puntata di “Mai dire banzai”.

In un corridoio quasi buio, si deve camminare in salita a piedi nudi su un pavimento nero inondato da una cascata d’acqua. Mentre mi aggrappo ai corrimano per non cadere, ogni tanto alzo lo sguardo per vedere se dall’alto non sta cadendo una palla gigante per travolgermi, o se qualcuno è cascato e sta simulando la palla gigante…

Superata la prima prova c’è uno stanzino con degli asciugamani usa e getta per i piedi, quindi si entra nella prossima camera: anch’essa in penombra ma con il pavimento morbido, molto morbido. Sembra fatto da enormi cuscini tutti diversi tra loro e coperti da un telo nero. Impossibile capire dove si stanno mettendo i piedi. Speriamo non ci sia il cosiddetto ago nel pagliaio. Anche le pareti sono ricoperte protuberanze morbide, per fortuna non cadiamo e non troviamo aghi.

Insomma, per ora niente di che.


La prossima mi ricorda molto il museo della fotografia di Plan de Corones. 

Si entra in una stanza immensa, con specchi sul pavimento, sul soffitto e sulle pareti. Qui il percorso è obbligato attraverso un corridoio libero da migliaia di luci led appese al soffitto come le frange dei negozi alimentari degli anni settanta.


Il pavimento è freddo e ci sono suoni elettronici che echeggiano nella stanza, quasi fossimo nello spazio, anche se in realtà nello spazio il suono non c’è, del resto i film di fantascienza sono così.

All’inizio è difficile capire quale direzione prendere per esplorare tutte le stanze che si aprono tra i led. Ci metteremo almeno una mezz’ora, devo dire è stato molto divertente.

Ogni tanto i led si animano seguendo dei suoni, scopro grazie all’app del TeamLab, si può scegliere tra sei animazioni stellari da vedere e provare in tutta la stanza.

Mentre passiamo alla successiva sento il rumore dell’acqua e una musica ci attira verso una vasca dove prima di entrare, un cartello avvisa di arrotolarci bene i pantaloni fino al polpaccio.

Siamo nuovamente in una stanza buia con specchi alle pareti, dove l’acqua arriva fino quasi al ginocchio ed è illuminata con colori che vanno dal rosso al rosato.


Ci guardiamo attorno come se fossimo ad una festa in spiaggia, la musica ci riporta all’acqua colorata che gira in un vortice e si ferma diventando quasi del tutto nera.

Uniche eccezioni luminose rimaste sono delle grosse e coloratissime carpe Koy animate che nuotano tra noi. La musica ora ha un ritmo molto blando, così come le carpe si muovono in ordine sparso e lentamente. 

Una mi attraversa come se fosse stata un fantasma.

L’acqua è abbastanza calda. Facciamo un po' di foto e video, entriamo in una piccola stanza buia dove numerosi rivoli d’acqua coloratissimi scendono a ritmo della musica dal soffitto. È una stanza chiusa così torniamo indietro e sentiamo che il ritmo sta aumentando. Anche le carpe nuotano sempre più veloci e numerose, finché si uniscono in un branco e creano un vortice di colori che alla fine colorerà tutta la stanza di un'unica mistura di rosata, senza più carpe, ma con un tappeto fluttuante.

Bellissimo.

Ci stiamo dentro un paio di cicli, poi le dita dei piedi iniziano a raggrinzirsi e controvoglia ci forziamo ad andare nella prossima stanza.


Altra sala per asciugarsi i piedi e ci ritroviamo tra le palle. Un salone con specchi ovunque, più piccolo, con gigantesche palle di gomma ovunque. Molte sono appese al soffitto con dei cavi, molte altre sono libere sul pavimento o quasi. Lo spazio per muoverle non è molto.


Spostiamo un po' di palle per giocarci, il gioco è bello quando dura poco, per cui cerchiamo l’uscita. Cosa non facile da trovare. Con un po' di spintoni ne usciamo.

Prepariamoci, arriva il gran finale.

L’ultima sala è rotonda e le istruzioni dicono che dobbiamo sdraiarci a pancia in su, il più vicino possibile al centro della sala.

Io e Cassandra lo facciamo mettendoci in Upside-Down, ovvero con la testa attaccata l’uno all’altra, ma con il corpo dalla parte opposta.

Apriamo gli occhi e il mondo comincia a girare. Un vortice di piante, fiori e petali vengono proiettati su tutto il soffitto circolare accompagnati nella danza da una musica coinvolgente. Oltre al mondo inizia a girare anche la testa. Non provoca nessun malessere, la sensazione di essere in movimento è fortissima. Siamo letteralmente ipnotizzati e lo saremo per non so quanto. Rimarremo lì sdraiati a guardare il soffitto, ridere e scherzare per un tempo indefinito.

Quando ci alziamo la testa gira ancora e non smette di farlo finché non usciamo.

Era l’ultima stanza, o meglio, c’è ancora il giardino da vedere, ben poca cosa rispetto a quello che abbiamo appena visto. Riprendiamo possesso delle nostre calzature e ci dirigiamo verso la prossima destinazione.

Monorotaia, metropolitana, altra metropolitana e siamo a qualche centinaio di metri dalla famosa Torre di Tokyo.


Quasi arrivati e in attesa di un semaforo, arrivano alcuni go kart guidati da della gente vestita come i personaggi di Mario Kart. Avevo visto su internet c’era la possibilità di girare per le strade di Tokyo come si fosse nel videogioco, sapevo anche erano stati vietati perché pericolosi.

Evidentemente li hanno rimessi…


Ed eccola lì, la Torre di Tokyo, con i suoi colori arancione e bianco. Quante volte l’ho vista nei fumetti e negli anime. Avvicinandoci da sotto sembra più alta di quello che pensavo. È una giornata uggiosa per cui non c’è fila per salire. Prendiamo l’ascensore e siamo al primo piano, da dove si gode una bellissima vista che ci godiamo con calma e da tutte le possibili angolazioni. La Torre è stata costruita in mezzo ad un parco e dall’alto si vedono anche delle costruzioni tradizionali, come dei templi e un cimitero. Dalla parte opposta c’è un gigantesco tempio buddista dalla stranissima forma piramidale e ovviamente in lontananza c’è anche la Skytree.


Scopriamo che si può salire ulteriormente con un altro biglietto. Lo prendiamo subito.

Prima di salire entriamo in un mini museo in cui si racconta la storia della Torre, che venne costruita ispirandosi a quella francese di Eiffel. L’idea era che dovesse servire per le trasmissioni radio e TV, cosa che ha fatto per moltissimi anni, diventando così il simbolo di Tokyo così come il suo ideatore aveva voluto.

A questo punto prendiamo un altro ascensore dove si vede tutto. Si sale attraverso la struttura nuda della torre verso l’ultimo piano visitabile dal pubblico.

  

Qui la vista è ancora meglio. Nonostante il cielo sempre più cupo per il temporale che sta arrivando, nonostante i grattacieli che negli anni sono sorti attorno al parco, alcuni ben più alti della Torre, la vista è eccezionale e si vede molto bene la città fino addirittura ad Odaiba.

Quando ormai abbiamo radiografato l’intera città, decidiamo di scendere, anche perché ho un certo appetito…

Prima dobbiamo vedere un altro piano con negozi e le finestre di vetro sul pavimento per poter vedere bene quanto siamo in alto.

Dopo aver consumato il nostro pranzo al sacco decidiamo di tentare la fortuna andando a vedere anche il Miraikan, un museo interattivo sul futuro della scienza e della tecnologia.

Ci tentiamo perché è un po' lontano e non sappiamo se facciamo in tempo. Riprendiamo un paio di metropolitane e monorotaia fino a Odaiba. Stavolta proseguiamo quasi fino al capolinea. Sorpassando la fermata del Gundam lo vedremo in lontananza stagliarsi nella luce della tardo pomeriggio.

Quando scendiamo alla nostra fermata ci troviamo di fronte anche il museo del mare, il cui edificio è stato costruito con la forma di una gigantesca nave.

Purtroppo alla biglietteria del Miraikan, un tizio del museo ci avvisa che abbiamo solo un’ora per vederlo e generalmente ne servono due e mezza se non tre. Inoltre gli spettacoli interattivi sono già chiusi.

Va be’, ora abbiamo un altro motivo per tornare a Tokyo, come se non ne avessimo abbastanza…

Torniamo in hotel a spedire la valigia visto che domani viaggeremo con il solo zaino. La valigia la ritroveremo tra due giorni a Kyoto.

La pratica per la spedizione dovrebbe essere veloce, visto che spediamo i bagagli ad un altro hotel della stessa catena dove alloggiamo, purtroppo la pessima elasticità mentale dei giapponesi ci ha fatto perdere non poco tempo, anzi. Per spiegare la situazione basta dire che il foglio da compilare per ogni bagaglio, con nome, cognome, indirizzo di destinazione e indirizzo di partenza, abbiamo dovuto farlo per tutti in giapponese!!!

Dato che nessuno di noi padroneggia ancora gli ideogrammi, abbiamo sequestrato una persona della reception e gli abbiamo fatto compilare tutte le 17 bolle dei bagagli.

No elasticità? Allora scrivi e taci. La giapponese obbedisce senza protestare. Se gli dai indicazioni chiare e precise non ci sono problemi, nonostante così gli aumenti il lavoro.

 

Artificieri o elettricisti?

Una delle cose più strane che a volte si vedono nei fumetti e cartoni giapponesi sono i cavi dell’alta tensione: aggrovigliati in modo assurdo sui pali ai lati di normalissime strade di città.

Ho sempre ritenuto quelle immagini come dei riempitivi, ora che cammino in quelle stesse strade e vedo i reali e diffusissimi grovigli, devo ricredermi: sono degli esercizi artistici non indifferenti.

Se non si sa dove puntare lo sguardo è difficile notarli, una volta individuati appaiono intricati e allo stesso tempo puliti e dall’aspetto efficiente, vere e proprie opere d’arte dell’ingegneria elettronica.

Purtroppo, distratto dall’intero Giappone, non ho avuto la freddezza di cercarne uno davvero intricatissimo e allo stesso tempo artistico, comunque mi chiedo se chi ha concepito un sistema simile abbia studiato come artificiere oltre che come elettricista…

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