Stamattina
lasciamo la piccola ma accogliente Madaba.
La
prima tappa è molto soleggiata e calda, ma quello che dà più
fastidio è la luce. È così intensa che faccio fatica a tenere gli
occhi aperti.
Siamo
ad Uhm Ar Rasas, dove un tempo sorgeva una città nabatea, divenuta
in seguito un castrum romano e poi un insediamento bizantino.
È
un sito molto grande e ricco, ma gli scavi sono fermi per questioni
burocratiche ed è un peccato perché potrebbero portare alla luce
chissà quali meraviglie. A riprova di questa mia affermazione Zu ci
porta in una chiesa bizantina dove ci sono dei teli posati a terra e
ricoperti di sabbia. Qui c’è sotto qualcosa, sicuro. Come
escavatore viene sorteggiato Carlo che lavora di mano, spostando la
sabbia per rivelare il mosaico che si nasconde dalle intemperie.
Poco a poco emergono due leoni che si fronteggiano, separati da un
albero in fiore. Un magnifico esempio di arte bizantina che una volta
pulito e bagnato con un po’ d’acqua, rivela la brillantezza dei
colori e la sua incredibile bellezza.
Davvero
fantastico.
Tutta
la chiesa è così, solo che purtroppo non possiamo scavarla tutta. A
malincuore ricopriamo i due leoni per preservarli e andiamo alla
struttura che copre la chiesa di santo Stefano.
In
realtà sono più chiese costruite in epoche diverse. Le prime due
sono più piccole e più semplici, mentre le altre sono decisamente
più ampie ed hanno un grandissimo mosaico a terra.
Purtroppo
le figure umane e gli animali rappresentati hanno subito la censura.
Quasi tutte sono state ricomposte ma senza che si possano
riconoscere. Questo perché la legge islamica imponeva che non si
potesse rappresentare nulla che avesse un’anima.
Zu
ci dice che questo è l’iconoclasma, o iconoclastia.
Proseguiamo
verso il castello di Karak, un’immensa fortificazione in cui è
avvenuta la vicenda rappresentata nel film di Ridley Scott, “Le
crociate”.
Già
da fuori si vede che è immenso, molto più grande di quello di
Ajlun, anche se non è così ben restaurato. In rapporto alle sue
dimensioni ci sono poche parti visitabili: le stalle e alcune zone
sotterranee.
Imponente
è dir poco, le mura sono mostruose è inquietanti, peccato che siano
ancora poco visitabili.
Terminato
il rapido giro sotterraneo che dimostra però quanta gente ci dovesse
vivere, probabilmente almeno un migliaio, ci muoviamo verso il
villaggio della riserva naturale di Dana.
Ci
aspetta l’ostello più spartano del viaggio e tutti siamo un po’
preoccupati per quello che potremmo trovare.
Durante
il viaggio il cielo, fino a quel momento soleggiatissimo, si
incupisce man mano che avanziamo. All'orizzonte è comparsa una nube
bassa e scura. Anche il vento si sta alzando e in pochi minuti
vediamo la sabbia volare in ogni direzione. Una tempesta di sabbia ci
investe quasi in pieno, ma per fortuna noi giriamo verso ovest e ce
la lasciamo alle spalle. Se fosse stata questa la sera che avremmo
dovuto dormire nel campo tendato... meglio non pensarci.
Appena
prima di arrivare a Dana scendiamo a dare un'occhiata alla valle
dall’alto. La vista è molto bella ma c’è un vento fortissimo
che riesce quasi a spostarci. Una specie di Bora.
Per
avere un assaggio della giornata di domani scendiamo fino al
piccolissimo villaggio a piedi lungo un sentiero per le capre.
Giunti
a destinazione scopriamo finalmente le camere. Innanzitutto hanno
tutte il bagno e poi sono solo doppie.
Sollevati
dalla notizia ci dirigiamo a scaricare i bagagli. A noi capita una
stanza tripla, non del tutto terminata, ma per compensare la cosa ci
hanno fornito di un'ampia provvista di zanzare. Giusto per farci
sentire come a casa.
Insomma,
io che mi aspettavo qualcosa del tipo Bolivia, devo dire che sono
stato contento, le zanzare pure. Chi è stato punto meno.
Dato
che c'è il ramadan aspettiamo che il canto del muezzin permetta ai
locali di mangiare, poi li seguiremo anche noi.
Nel
frattempo ci godiamo il tramonto sui tetti del villaggio, salutati da
una brezza rinfrescante.
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