lunedì 11 giugno 2018

Giorno 2 – Ohm Al Jimal – Al Azraq – Qusar Amra - Qasr Kharana


Che dormita epica. Circa undici ore, ma saremmo andati avanti ancora... Facciamo un'abbondante colazione e ci rimettiamo in marcia, ovvero nel traffico. La capitale Amman, pur essendo a 1600 metri d'altezza non è così fresca come lo sarebbe una sua corrispettiva in Italia. Solo la mattina fa un po' freddino, ma tutto sommato si sta bene. Il traffico invece è paragonabile alle nostre metropoli. Mentre siamo imbottigliati Zu prende il microfono e ci spiega una paio di cose sulla Giordania: è divisa in tre regioni, nord, Amman e sud. La gente di questo paese è da sempre considerata molto ospitale, ce ne siamo accorti ieri sera al mercatino della frutta. Su queste terre sono passati molti popoli, e ancora ci passano, compresi noi italiani. Zu ci tiene a spiegare che questa “lotta” tra cristiani e musulmani qui non esiste. Lui la prima volta che ne ha sentito parlare è stato attraverso i telegiornali quando ha vissuto in Italia. Anche se sono molte le persone che fuggono dall'Iran e dall'Iraq o dallo Yemen per questo motivo, ed ora anche dalla Siria, qui si sta ancora benissimo.



Dopo un'ora e mezza di viaggio, arriviamo a destinazione: Ohm Al Jimal, una grande città tutta di basalto nero che ci accoglie in una piana a est di Amman. Zu ci spiega che Ohm in arabo significa madre, mentre Jimal è cammello. Quindi Ohm Al Jimal si potrebbe tradurre come “Madre dei cammelli”.

Questa era una cittadina nabatea, probabilmente la prima fondata dagli arabi quando sono arrivati in queste zone. Col tempo divenne greca, romana e bizantina. Venne infine abbandonata nel 749 d.C. quando un tremendo terremoto la distrusse rendendola quello che è oggi.

Molti edifici sono ancora in parte in piedi, altri, pochi in rapporto a quanto grande è la città, sono stati parzialmente restaurati. La cosa interessante di queste rovine è che i resti sembrano essere rimasti lì, dove sono crollati. Sembra di vedere un enorme lego smontato: infatti tutta la città fu costruita in opera a secco. Se questo sito dovesse diventare patrimonio dell’umanità, per restaurarlo basterebbe raccogliere le pietre cadute e rifarle combaciare tra loro, cosa decisamente più facile di un sito dove si deve scavare per ritrovare i reperti.

Giriamo per le grandi strutture e troviamo chiese bizantine, stalle per i cammelli, palazzi a più piani con solai e scale tutti fatti sempre in pietra basaltica.

Ci sono ancora tracce degli acquedotti e dei canali per l’acqua che veniva attinta dalle grandi vasche e cisterne. Zu ci tiene a dire che i siriani, prima ancora dei romani, utilizzavano gli acquedotti e che questi vennero assimilati dalla loro conquista. Se è veramente così, i romani li hanno perfezionati rendendoli quanto meno spettacolari.

Zu ci fa vedere anche una porta originale, ancora sul suo cardine. Non è di legno, bensì di pietra come le case. Un blocco unico che si apre e chiude ancora bene, per avere 1300 anni. Ci vuole un po' di energia fisica eh, però funziona a meraviglia. Il mio box, pur essendo decisamente più leggero a volte fa molta più fatica ad aprirsi.

Osservando tutto quel basalto a Roberto viene il mio stesso dubbio e chiede a Zu se questa era una zona vulcanica. La guida risponde probabilmente sì, perché la roccia vulcanica si trova a poca profondità. Basta scavare poco per trovarla ed estrarla. Lui non sa a quando risale l’eruzione, che deve essere stata davvero grande, perché per ora non sono state trovate tracce di crateri vulcanici in questa zona.

Mentre stiamo visitando le rovine incontriamo diverse ragazzine che attraversano il sito mentre tornano da scuola. Alcune ci fermano e tentano di stabilire un dialogo, ma pur essendo simpatiche e spigliate, non sanno quasi l’inglese.

Una in particolare di affeziona a Vittoria che ricambia commuovendosi.
Lo scoglio della lingua diventa ben presto insormontabile, soprattutto quando iniziano ad indicare prima Michele (da non confondere con Michele il cassiere), e poi me. Sembra che stiano facendo degli apprezzamenti sul nostro fascino. Ovviamente non ci stiamo capendo nulla, per cui salutiamo e proseguiamo la visita.
Il prossimo sito è quello del castello di Al Azraq, che significa “il blu”. Questo castello è famoso tra le altre cose perché vi dimorò Lawrence d’Arabia con il suo compagno. La stanza in cui alloggiava è ancora visitabile, nel senso che le mura ed il tetto sono ancora intatti e ci si può entrare. Zu ci fa notare che alcune rocce del soffitto sono nere. Pensando di conoscere la risposta accenno ad un possibile focolare che le ha annerite, ma non è così. Pare che siano impregnate di petrolio.
Anche se finora nessuno ha ancora trovato l'oro nero in Giordania, sono molto diffuse queste pietre e stanno studiando un modo per estrarre gli idrocarburi da esse.
Giriamo per il castello visitando le cucine, la moschea e la rimessa dei cammelli, che con i suoi archi tutti diversi e irregolari, secondo me è la struttura più affascinante di quello che resta del castello.



La cosa interessante della zona è che qui attorno fino agli anni 70 c’era una palude. Era la maggiore fonte di approvvigionamento d’acqua della Giordania. Poi si è praticamente prosciugata. Anche questo è uno dei motivi della odierna carenza d’acqua in questo paese. L’altro motivo, secondo Zu, pare che sia il fiume Giordano, che facendo da confine con Israele, è stato incluso nel trattato di pace alla fine della guerra. In pratica due terzi dell’acqua del fiume vengono prelevati da Israele. Zu però dice che l’acqua non serve per le coltivazioni, bensì per raffreddare la centrale nucleare, al confine con la Giordania, dove la gente giordana si ammala moltissimo di tumore. Queste sono notizie che a noi non arrivano, per cui non ho modo di dire se siano vere o meno, però con le centrali non si scherza, anche in altre parti del mondo. Va be, meglio non entrare troppo in temi politici che non conosciamo...

Per fortuna pare che ultimamente, mentre si cercava il petrolio, la Giordania abbia scoperto un giacimento di acqua fossile e che per i prossimi vent’anni siano a posto, dopo si vedrà...

Proseguiamo il giro andando a vedere uno dei castelli nel deserto meglio conservati. Qusar Amrà è talmente particolare che al suo interno ci sono degli affreschi, ma, cosa ancora più rara, ci sono ritratti donne nude, segni zodiacali e simboli cristiani come Gesù e altro.



L’edificio faceva parte di un complesso molto più grande con anche un caravanserraglio, tutto del califfo Onayyadi, costruito intorno al 705-715 a.C. Gli affreschi sono da restaurare ma sono comunque belli e meritano davvero la visita.
Pare che si siano salvati dalla furia iconoclasta solo perché la struttura, lontana e isolata da tutto, divenne sconosciuta e nessuno seppe della sua esistenza fino alla sua riscoperta.

L’ultima tappa dei castelli nel deserto è Qasr Kharana, un castello in mezzo al nulla dove sulla porta ci attende un ragazzo vestito di bianco con la kefiah bianca e rossa. Rita gli corre subito incontro sperando che sia uno sceicco da sposare, ma quando Roberta nota il suo fascino le si mette in mezzo e lo ricopre di.... selfie.

La struttura sembra un mini caravanserraglio. Anche se piccolo com'è non è detto che lo fosse veramente. Al piano terra del palazzo rettangolare, c’erano le cucine e qualche stanza che giravano attorno alla corte, mentre al piano superiore vi erano le stanze vere e proprie per i viaggiatori. Alcune erano decorate in modo più ricco di altre e tutte avevano delle piccole prese d'aria che se ci si mette davanti si sente aria più fresca. In questa stagione si sta ancora bene, ma in quelle più calde Zu ci assicura che il caldo è davvero insopportabile e questi “condizionatori” aiutano parecchio.

Per i cammelli non c'era posto, rimanevano fuori.

Dopo aver preso le misure di tutte le stanze visitabili, ridiscendiamo e andiamo a bere il the nella tenda dei venditori di gadget.

Ci sediamo su sedili bagnati apposta per noi per bilanciare il the bollente, peccato che non lo sapevamo. Io e Cassandra salviamo le terga perché arriviamo per ultimi e non hanno fatto in tempo ad “accoglierci”.

In realtà l’unica cosa interessante che c’è nella tenda, dove altri acquistano, sono oggetti non in vendita: dei fossili.

Ovviamente vado in solluchero. Trovati in questa zona, ci sono ammoniti interi, pesci, uno dei quali sembra un’anguilla molto ben conservata, e infine: uova di dinosauro. O almeno credo. Ovviamente è la mia immaginazione, potrebbero essere di altri rettili o di struzzi, purtroppo non sono così esperto. Visto che non c’è nemmeno la controprova, per me sono di dinosauro: uno di Triceratopo e l'altro di Titanosauro. E stop.

A cena decidiamo di uscire con gli altri. Sappiamo che difficilmente mangeremo qualcosa per noi buono (se mangeremo), ma almeno si sta in compagnia. La meta è Hashem, consigliata da Zu, per noi non sarà il massimo: vegetariano sì, ma troppo speziato e condito di aglio e cipolla. Lo so, non siamo difficili, siamo “Gli impossibili”, come i cartoni animati di Hanna e Barbera.

Comunque scopriamo un’altra Amman. Diversa da quella grigia e trafficata del giorno, è coloratissima e allegra. Piena di gente che esce a cena e passeggia o va nei localini balconati che si affacciano sulla strada. 
 


Tra la cena e la passeggiata per il gelato chiacchieriamo con gli altri ragazzi del gruppo e come sempre si scopre piacevolmente la passione per i viaggi che si ha in comune, ritrovandosi a parlare di avventure passate come se ci conoscessimo da anni, ridendo e scherzando. Dei sognatori che incontrano altri sognatori, magari fosse sempre così.

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