Che
dormita epica. Circa undici ore, ma saremmo andati avanti ancora...
Facciamo un'abbondante colazione e ci rimettiamo in marcia, ovvero
nel traffico. La capitale Amman, pur essendo a 1600 metri d'altezza
non è così fresca come lo sarebbe una sua corrispettiva in Italia.
Solo la mattina fa un po' freddino, ma tutto sommato si sta bene. Il
traffico invece è paragonabile alle nostre metropoli. Mentre siamo
imbottigliati Zu prende il microfono e ci spiega una paio di cose
sulla Giordania: è divisa in tre regioni, nord, Amman e sud. La
gente di questo paese è da sempre considerata molto ospitale, ce ne
siamo accorti ieri sera al mercatino della frutta. Su queste terre
sono passati molti popoli, e ancora ci passano, compresi noi
italiani. Zu ci tiene a spiegare che questa “lotta” tra cristiani
e musulmani qui non esiste. Lui la prima volta che ne ha sentito
parlare è stato attraverso i telegiornali quando ha vissuto in
Italia. Anche se sono molte le persone che fuggono dall'Iran e
dall'Iraq o dallo Yemen per questo motivo, ed ora anche dalla Siria,
qui si sta ancora benissimo.
Dopo
un'ora e mezza di viaggio, arriviamo a destinazione: Ohm Al Jimal,
una grande città tutta di basalto nero che ci accoglie in una piana
a est di Amman. Zu ci spiega che Ohm in arabo significa madre, mentre
Jimal è cammello. Quindi Ohm Al Jimal si potrebbe tradurre come
“Madre dei cammelli”.
Questa
era una cittadina nabatea, probabilmente la prima fondata dagli arabi
quando sono arrivati in queste zone. Col tempo divenne greca, romana
e bizantina. Venne infine abbandonata nel 749 d.C. quando un tremendo
terremoto la distrusse rendendola quello che è oggi.
Molti
edifici sono ancora in parte in piedi, altri, pochi in rapporto a
quanto grande è la città, sono stati parzialmente restaurati. La
cosa interessante di queste rovine è che i resti sembrano essere
rimasti lì, dove sono crollati. Sembra di vedere un enorme lego
smontato: infatti tutta la città fu costruita in opera a secco. Se
questo sito dovesse diventare patrimonio dell’umanità, per
restaurarlo basterebbe raccogliere le pietre cadute e rifarle
combaciare tra loro, cosa decisamente più facile di un sito dove si
deve scavare per ritrovare i reperti.
Giriamo
per le grandi strutture e troviamo chiese bizantine, stalle per i
cammelli, palazzi a più piani con solai e scale tutti fatti sempre
in pietra basaltica.
Ci
sono ancora tracce degli acquedotti e dei canali per l’acqua che
veniva attinta dalle grandi vasche e cisterne. Zu ci tiene a dire che
i siriani, prima ancora dei romani, utilizzavano gli acquedotti e che
questi vennero assimilati dalla loro conquista. Se è veramente così,
i romani li hanno perfezionati rendendoli quanto meno spettacolari.
Zu
ci fa vedere anche una porta originale, ancora sul suo cardine. Non è
di legno, bensì di pietra come le case. Un blocco unico che si apre
e chiude ancora bene, per avere 1300 anni. Ci vuole un po' di energia
fisica eh, però funziona a meraviglia. Il mio box, pur essendo
decisamente più leggero a volte fa molta più fatica ad aprirsi.
Osservando
tutto quel basalto a Roberto viene il mio stesso dubbio e chiede a Zu
se questa era una zona vulcanica. La guida risponde probabilmente sì,
perché la roccia vulcanica si trova a poca profondità. Basta
scavare poco per trovarla ed estrarla. Lui non sa a quando risale
l’eruzione, che deve essere stata davvero grande, perché per ora
non sono state trovate tracce di crateri vulcanici in questa zona.
Mentre
stiamo visitando le rovine incontriamo diverse ragazzine che
attraversano il sito mentre tornano da scuola. Alcune ci fermano e
tentano di stabilire un dialogo, ma pur essendo simpatiche e
spigliate, non sanno quasi l’inglese.
Una
in particolare di affeziona a Vittoria che ricambia commuovendosi.
Lo
scoglio della lingua diventa ben presto insormontabile, soprattutto
quando iniziano ad indicare prima Michele (da non confondere con
Michele il cassiere), e poi me. Sembra che stiano facendo degli
apprezzamenti sul nostro fascino. Ovviamente non ci stiamo capendo
nulla, per cui salutiamo e proseguiamo la visita.
Il
prossimo sito è quello del castello di Al Azraq, che significa “il
blu”. Questo castello è famoso tra le altre cose perché vi dimorò
Lawrence d’Arabia con il suo compagno. La stanza in cui alloggiava
è ancora visitabile, nel senso che le mura ed il tetto sono ancora
intatti e ci si può entrare. Zu ci fa notare che alcune rocce del
soffitto sono nere. Pensando di conoscere la risposta accenno ad un
possibile focolare che le ha annerite, ma non è così. Pare che
siano impregnate di petrolio.
Anche se finora nessuno ha ancora trovato l'oro nero in Giordania, sono molto diffuse queste pietre e stanno studiando un modo per estrarre gli idrocarburi da esse.
Anche se finora nessuno ha ancora trovato l'oro nero in Giordania, sono molto diffuse queste pietre e stanno studiando un modo per estrarre gli idrocarburi da esse.
Giriamo
per il castello visitando le cucine, la moschea e la rimessa dei
cammelli, che con i suoi archi tutti diversi e irregolari, secondo me
è la struttura più affascinante di quello che resta del castello.
La
cosa interessante della zona è che qui attorno fino agli anni 70
c’era una palude. Era la maggiore fonte di approvvigionamento
d’acqua della Giordania. Poi si è praticamente prosciugata. Anche
questo è uno dei motivi della odierna carenza d’acqua in questo
paese. L’altro motivo, secondo Zu, pare che sia il fiume Giordano,
che facendo da confine con Israele, è stato incluso nel trattato di
pace alla fine della guerra. In pratica due terzi dell’acqua del
fiume vengono prelevati da Israele. Zu però dice che l’acqua non
serve per le coltivazioni, bensì per raffreddare la centrale
nucleare, al confine con la Giordania, dove la gente giordana si
ammala moltissimo di tumore. Queste sono notizie che a noi non
arrivano, per cui non ho modo di dire se siano vere o meno, però con
le centrali non si scherza, anche in altre parti del mondo. Va be,
meglio non entrare troppo in temi politici che non conosciamo...
Per
fortuna pare che ultimamente, mentre si cercava il petrolio, la
Giordania abbia scoperto un giacimento di acqua fossile e che per i
prossimi vent’anni siano a posto, dopo si vedrà...
Proseguiamo
il giro andando a vedere uno dei castelli nel deserto meglio
conservati. Qusar Amrà è talmente particolare che al suo interno ci
sono degli affreschi, ma, cosa ancora più rara, ci sono ritratti
donne nude, segni zodiacali e simboli cristiani come Gesù e altro.
L’edificio
faceva parte di un complesso molto più grande con anche un
caravanserraglio, tutto del califfo Onayyadi, costruito intorno al
705-715 a.C. Gli affreschi sono da restaurare ma sono comunque belli
e meritano davvero la visita.
Pare che si siano salvati dalla furia
iconoclasta solo perché la struttura, lontana e isolata da tutto,
divenne sconosciuta e nessuno seppe della sua esistenza fino alla sua
riscoperta.
L’ultima
tappa dei castelli nel deserto è Qasr Kharana, un castello in mezzo
al nulla dove sulla porta ci attende un ragazzo vestito di bianco con
la kefiah bianca e rossa. Rita gli corre subito incontro sperando che
sia uno sceicco da sposare, ma quando Roberta nota il suo fascino le
si mette in mezzo e lo ricopre di.... selfie.
La
struttura sembra un mini caravanserraglio. Anche se piccolo com'è
non è detto che lo fosse veramente. Al piano terra del palazzo
rettangolare, c’erano le cucine e qualche stanza che giravano
attorno alla corte, mentre al piano superiore vi erano le stanze vere
e proprie per i viaggiatori. Alcune erano decorate in modo più ricco
di altre e tutte avevano delle piccole prese d'aria che se ci si
mette davanti si sente aria più fresca. In questa stagione si sta
ancora bene, ma in quelle più calde Zu ci assicura che il caldo è
davvero insopportabile e questi “condizionatori” aiutano
parecchio.
Per
i cammelli non c'era posto, rimanevano fuori.
Dopo
aver preso le misure di tutte le stanze visitabili, ridiscendiamo e
andiamo a bere il the nella tenda dei venditori di gadget.
Ci
sediamo su sedili bagnati apposta per noi per bilanciare il the
bollente, peccato che non lo sapevamo. Io e Cassandra salviamo le
terga perché arriviamo per ultimi e non hanno fatto in tempo ad
“accoglierci”.
In
realtà l’unica cosa interessante che c’è nella tenda, dove
altri acquistano, sono oggetti non in vendita: dei fossili.
Ovviamente
vado in solluchero. Trovati in questa zona, ci sono ammoniti interi,
pesci, uno dei quali sembra un’anguilla molto ben conservata, e
infine: uova di dinosauro. O almeno credo. Ovviamente è la mia
immaginazione, potrebbero essere di altri rettili o di struzzi,
purtroppo non sono così esperto. Visto che non c’è nemmeno la
controprova, per me sono di dinosauro: uno di Triceratopo e l'altro
di Titanosauro. E stop.
A
cena decidiamo di uscire con gli altri. Sappiamo che difficilmente
mangeremo qualcosa per noi buono (se mangeremo), ma almeno si sta in
compagnia. La meta è Hashem, consigliata da Zu, per noi non sarà il
massimo: vegetariano sì, ma troppo speziato e condito di aglio e
cipolla. Lo so, non siamo difficili, siamo “Gli impossibili”,
come i cartoni animati di Hanna e Barbera.
Comunque
scopriamo un’altra Amman. Diversa da quella grigia e trafficata del
giorno, è coloratissima e allegra. Piena di gente che esce a cena e
passeggia o va nei localini balconati che si affacciano sulla strada.
Tra
la cena e la passeggiata per il gelato chiacchieriamo con gli altri
ragazzi del gruppo e come sempre si scopre piacevolmente la passione
per i viaggi che si ha in comune, ritrovandosi a parlare di avventure
passate come se ci conoscessimo da anni, ridendo e scherzando. Dei
sognatori che incontrano altri sognatori, magari fosse sempre così.
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