Uhm
Qais, la prima tappa di oggi era una città tolomea, quindi greca,
poi ebrea e romana. Il suo vero nome era Gadara. Visitando le sue
rovine, nel nord della Giordania, essendo stata costruita su
un'altura, vi si possono vedere tre stati: la Siria, la Giordania e
Israele, con le sponde del lago di Tiberiade. Se non ci fosse tanta
foschia potremmo perfino scorgere il Libano, ma purtroppo c’è e
quindi ci dobbiamo fidare della parola di Zu, oltre che della
cartina.
Della
città romana non c’è rimasto molto se non il cardo, il ninfeo, un
tempio, e un cenno di un altro tempio. La maggior parte delle rovine
giace ancora sottoterra in attesa di uno scavo archeologico. Nel
frattempo i locali, “conservano” i reperti disputandovi sopra un
campionato di calcio.
A
causa della conformazione del terreno dove sorse la città, il cardo
venne fatto lunghissimo, mentre il decumano invece rimase corto. Come
spesso accadeva in questi casi però i romani ne costruivano più di
uno ad intersecare la strada principale.
Purtroppo
a parte pezzi di colonne di marmi pregiati adagiate sul cardo davanti
al ninfeo, non c’è molto altro da vedere, solo il piccolo
anfiteatro, quasi del tutto integro, in basalto nero. È particolare,
non ricordo di averne visto uno di questo colore e materiale.
Accaldati
e sudati per il sole a picco, riprendiamo posto sul pullman e andiamo
a vedere un castello fantastico, quello di Ajlun. Fatto costruire da
Saladino su un'altura, dominava tutto ciò che si vedeva fino
all’orizzonte. Restaurato recentemente, da fuori ha un aria
possente, circondato da un grandissimo fossato proprio come se
fossimo in Europa. Dentro poi è ancora meglio con le sue sale ampie
e scale intricate che portano verso l’alto, da dove si gode una
spettacolare vista.
Tra le sale ci sono anche una chiesa bizantina e una moschea. In una troviamo diverse palle da catapulta, ma la cosa che lascia più sbalorditi è il senso di solidità che questo castello trasmette. Le mura sono larghissime e sembra che non possano mai essere abbattute.
Purtroppo
abbiamo poco tempo da dedicare a questa meraviglia medievale,
dobbiamo andare a Jerash. Per cui di nuovo sul pullman e alé, verso
la prossima tappa.
La
grande città romana non è proprio dietro l'angolo e ci arriviamo
poco prima delle quattro. Dal punto di vista climatico è un bene
perché siamo in una piana completamente esposta al sole. Di contro
c'è che abbiamo i tempi stretti. Zu ci anticipa che nonostante
dovremo correre su e giù, ci metteremo almeno tre ore. Quasi una
gara? Ed eccoci al tappone marmoreo della città di Jerash. Centro
greco romano, era una città d’élite, che nel suo massimo momento
di splendore ed espansione, raggiunse un numero quantificabile sui
30000 abitanti.
Come
tutte le città romane aveva la via principale che era il cardo e
alcuni decumani che lo incrociavano.
La
prima cosa che vediamo è la grande porta celebrativa di Adriano, che
l’imperatore fece erigere in proprio onore quando morì Traiano e
fu nominato suo successore. Adriano in quel momento si trovava
proprio a Jerash.
Quindi
passiamo di fianco all’ippodromo e arriviamo alla porta vera e
propria della città, che poi era quella di uscita. Difatti noi
entriamo da sud, mentre la porta d'ingresso, quella nella direzione
di Roma, era a nord.
Appena
entrati ci imbattiamo nelle fondazioni del tempio di Giove dove
entriamo a vedere il piccolo museo con alcuni suoi resti che hanno
ancora l’intonaco bianco e colorato.
Purtroppo
il tempo è poco e non possiamo indugiare troppo, quindi partiamo
subito e saliamo sul sancta sanctorum del tempio di Giove/Zeus, dove
c’era l’altare sacrificale, poi da lì saliamo al teatro. Un po'
a sorpresa veniamo accolti da un giordano che suona le corna muse.
Che c’entrano le corna musa? Beh diciamo che il re di Giordania è
in parte inglese. E ho detto tutto.
Il
teatro è molto bello, non grande, ma molto ben conservato, ha
perfino mantenuto interamente il palco, cosa molto rara visto che i
teatri e gli stadi erano le prime strutture che venivano smantellate
per recuperare materiali di costruzione. Dopo la dimostrazione
dell’ottima acustica fatta da Franca che ci ostenta le sue doti
drammaturgiche urlando, saliamo verso la chiesa bizantina dei santi
Cosma e Damiano, originari proprio di Jerash.
Dall’alto ammiriamo quasi tutto il pavimento a mosaico. Bellissimo, davvero. Si è salvato e conservato così bene per la grande quantità di macerie che lo hanno ricoperto, lasciandolo indisturbato fino ai giorni nostri. La città infatti è esistita fino al 749 d.C., quando lo stesso terribile terremoto che distrusse Uhm Al Jimal, rase al suolo anche Jerash.
Dall’alto ammiriamo quasi tutto il pavimento a mosaico. Bellissimo, davvero. Si è salvato e conservato così bene per la grande quantità di macerie che lo hanno ricoperto, lasciandolo indisturbato fino ai giorni nostri. La città infatti è esistita fino al 749 d.C., quando lo stesso terribile terremoto che distrusse Uhm Al Jimal, rase al suolo anche Jerash.
Continuiamo
e arriviamo al tempio di Diana, o Artemide. Era grandissimo e in
parte è ancora in piedi. A giudicare dalle sue dimensioni doveva
rivaleggiare con quello di Giove/Zeus. A tal proposito Zu ci spiega
che i due culti erano i maggiormente seguiti in questo luogo.
Le
colonne che ci fanno ombra sono immense e, nonostante siano
pesantemente provate dagli eventi e dagli anni, stanno ancora là, a
sorreggere un tetto che non c’è più, ma che tutti cerchiamo
disperatamente di immaginare.
Saliamo
fino in cima e assistiamo alla dimostrazione della perfezione
ingegneristica che sta dietro a questa struttura. Zu prende un
cucchiaio di metallo e ne infila l'estremità tra un blocco e l'altro
di una delle grandi colonne che si erge ancora fino ai capitelli.
Prende un volontario e gli dice di spingere sulle colonne.
Non
succede nulla. Ma poi interviene un venditore di the del luogo e con
una sola mano premuta nel punto giusto, vediamo il cucchiaio
ondeggiare. Questo perché gli incastri delle colonne posate a secco,
sono uno concavo e l'altro convesso. In questo modo, in caso di
terremoto, la struttura ondeggia senza cadere.
Dopo
la lezione di scienze scendiamo ai piedi del tempio dove c’era
l’altare sacrificale e Zu ci indica col dito verso est dove
iniziava il tempio. Doveva essere incredibile, probabilmente più
grande di quello di Zeus, il padre, con cui era continuamente in
competizione per le dimensioni, del tempio ovviamente. Che cosa avete
capito?
Proseguiamo
ed arriviamo ad un altro teatro, stavolta usato per la poesia e la
prosa. Molto bello anche questo. Anzi per un attimo mi ha tratto in
inganno perché appena mi affaccio dall’alto vedo l’intero
pavimento di marmi colorati integro. Fantastico. Sì, ma poi mi
accorgo che solo poche parti sono originali. Va bene lo stesso, in
questo modo hanno reso l’idea di cosa doveva essere.
Scendiamo
su un decumano calpestando i basolati posati in modo obliquo. Zu ci
dice che indicavano la loro funzione di autostrada. In alcuni punti,
i basolati sono orizzontali, questi sono gli attraversamenti
pedonali, in pratica le strisce. Camminiamo fino ad intercettare il
cardo. Quando queste due strade si incrociavano, veniva costruita una
grande struttura a quattro archi che sormontava l’incrocio. Il
tetraplano.
Il
cosa?
Zu
lo ripete: il tetraplano.
Aspetta,
'sta cosa non mi torna. Io ricordo un altro termine, così sembra un
incrocio tra il cartone del latte e un deltaplano.
Com’era
il termine esatto?
Tetrapalo?
Si va be, tetratraversa e tetraincrocio.
Tetrapolo?
Nord o sud?
Tetrapelo?
Questo è sicuramente superfluo.
Tetrapulo?
Tetrapulo tua sorella!
Tetrapilo?
Era tetrapilo!!!!
Nessun
problema, già stiamo sfinendo Zu, mica può ricordarsi tutti i
termini alla perfezione.
Prendiamo
la via dello struscio, il cardo, che corre lungo tutta la città da
una porta all’altra.
Una
fila infinita di colonne ancora in piedi testimonia quello che doveva
essere la città, con tutti i suoi portici coperti, sia da una parte
che dall’altra, con negozi, templi e chissà che altro.
Siamo
di fretta, il sito in teoria è già chiuso perché abbiamo sforato
coi tempi, per fortuna abbiamo Zu altrimenti ci avrebbero già
cacciato.
Continuiamo
a percorrere il cardo velocemente e ci fermiamo solo ad ammirare il
magnifico ninfeo e la porta del tempio di Diana con il propileo
dall’altra parte del cardo. Proprio lì accanto intravedo la
cattedrale, la più vecchia chiesa bizantina della città. Come
ultima tappa ci fermiamo in un ambiente esagonale con qualcosa al
centro che somiglia a delle fontane. È il mercato della carne, il
macello. Ai lati ci sono le botteghe dei macellai e su alcune pietre
si intravede ancora qualche iscrizione che indicava il proprietario
della bottega.
Terminiamo
di percorrere il cardo nella grande piazza ovale, utilizzata solo
come punto di incontro.
L’abbraccio
delle colonne è unico: tutte quelle strutture ancora in piedi dopo
tutti questi secoli, anche se sono sicuramente state rimesse una
sopra l’altra, rende molto bene l’idea di che città meravigliosa
e ricca doveva essere.
Per
cercare di dare una continuità di lusso a questo meraviglioso luogo,
un mese fa in questa stessa piazza si è tenuto un concerto di Andrea
Bocelli. Costo minimo del biglietto 500 Jod, ovvero 600 euro. A
saperlo...
Termina
così la nostra visita, uscendo dal sito, passando sulla pista
dell’ippodromo e infine dagli archi della porta di Adriano.
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