Dopo
una notte di riposo, accompagnata più volte dal canto del muezzin,
ci svegliamo un po’ più tardi del solito. Oggi saremmo dovuti
andare alle cascate, ma pare che l'acqua in questo periodo sia troppo
calda e abbondante, per cui cambiamo itinerario. Usciamo a piedi e in
pochi passi siamo dentro degli scavi dove un manipolo internazionale
di archeologi sta lavorando su un gruppo di case del 1800 costruite
su fondamenta bizantine, romane e su una grande chiesa bizantina con
magnifici mosaici. Tra gli altri ci sono anche archeologi italiani
che ci spiegano il loro intento di musealizzare la zona mostrando i
vari strati.
È
ancora un cantiere con muratori e operai, per cui siamo proprio in
mezzo al trambusto, anche se la maggior parte di essi non ha molto da
fare, forse a causa del ramadan. Stiamo quasi per andarcene quando
arriva Franco, un altro archeologo italiano amico di Zu. È molto
simpatico e aperto. In due minuti ci racconta come, con pochissimi
spiccioli, recupera le strutture scavate consolidandole e formando la
gente del luogo insegnando loro a restaurare i muri e perfino i
mosaici. Dice che qui gli archeologi stranieri vengono, ma si fanno
al massimo dieci giorni, poi scappano perché non hanno la
possibilità di fare spettacolo e recuperare così montagne di soldi.
Fondi che poi spenderebbero in minimissima parte per gli scavi.
L’italiano è uno alla mano, anzi lavora proprio con le mani, in
quasi totale assenza di attrezzi, cosa che, per esempio gli
americani, non fanno: Franco racconta che certi personaggi se non
hanno la particolare spatola speciale della determinata forma e
misura non si azzardano a fare nulla.
Dopo
qualche battuta lasciamo libero il nostro nuovo amico di usare le sue
mani in cantiere e ci mettiamo a girare per gli scavi mentre la gente
riprende a lavorare. Ecco perché stavano fermi, aspettavano solo che
ci togliessimo dalle scatole.
Oltre
le strutture della chiesa bizantina e delle case, c’è anche una
parte di cardo romano. Chissà che bel museo ne uscirà una volta
completato.
Torniamo
alla chiesa ortodossa greca che sta accanto al nostro hotel, quella
di san Giorgio. Qui per terra ci sono i resti di un grandissimo
mosaico che rappresenta la Terra Santa, di cui fa parte ovviamente
anche la Giordania.
Fuori
di lì prendiamo il bus e ce ne andiamo al monte Nebo, dove Mosè
arrivò e vide la Terra Santa, ma non ci poté entrare. Rimase a
vivere i suoi ultimi giorni in una grotta, proprio sotto la destra
del monte Nebo, dove con il tocco del suo bastone fece scaturire un
fonte di acqua fresca.
Dal
monte in lontananza si vedono i grattaceli di Amman a nord. A ovest
invece, tra la foschia, che qui pare sia molto peggio del solito, si
intravedono delle montagne e ai loro piedi la città di Jericho,
quella che si dice sia la più vecchia del mondo coi suoi diecimila
anni di storia.
Quindi
la terra promessa. Roberto fa la sua battuta: ma poi la promessa
l’hanno mantenuta?
Noi
ridiamo, e di gusto anche, ma nessuno sa dare veramente una risposta.
Entriamo
a vedere la chiesa in cui un gruppo di indiani sta celebrando messa,
ma noi siamo turisti e veniamo subito attirati dai grandissimi e
fantastici mosaici della grande chiesa bizantina che un tempo sorgeva
qui assieme ad un monastero.
Scattiamo
una miriade di foto, giusto per non farci scappare neanche una
tessera di mosaico e torniamo al pullman.
Dopo
pranzo il nostro potente mezzo si arrampica su una stradina sterrata
fino alla cima di una collina. Entriamo dentro una semplice casa e
troviamo un altro gigantesco mosaico che si stende su tutto il
pavimento. Pare che qui vivesse una famiglia di beduini e che una
sera, mentre una donna faceva pulizia per togliere la cenere del
focolare, vide qualcosa: era un pezzo del grandissimo mosaico su cui
sorgeva una chiesa bizantina.
Era dedicata a san Procopio e ora la
famiglia di quella signora è la custode di questo sito. Anche se
sperduto, è uno dei più bei mosaici visti finora.
Torniamo
a Madaba per una pausa, anche perché oggi è il primo giorno di
ramadan e il nostro autista appare già piuttosto provato. Un paio
d’ore più tardi siamo in strada verso la chiesa di san Giovanni
decollato che, come spiego a Rita, non ha fatto il check-in e poi si
è imbarcato, ma gli hanno tagliato la testa. Poi la gente si lamenta
delle code in aeroporto...
La
chiesa è costruita su altri resti e scendendo nei sotterranei si può
vedere qualcosina, ma proprio qualcosina ina. Con questa dovrebbe
essere già la terza chiesa cristiana che vediamo oggi. Considerando
che non è una città grande come Amman, la cosa testimonia ancora
meglio quanto in questa nazione non ci siano problemi di coesistenza
tra le diverse religioni.
Dopo
il giro nei sotterranei ci manca quello sulla cima. Dalle stalle alle
stelle: saliamo in cima al campanile. Una lunga e intricata scalata
tra cavi, travi d’acciaio, ripidissime scalette di legno e metallo,
sperando che qualcuno non si metta a suonare le campane a cui
passiamo rasenti. Arriviamo fino alla ringhiera che gira tutta
attorno al campanile e da cui si gode una bellissima vista della
città e delle terre che la circondano.
Mappata
la zona con fotografie come solo google maps saprebbe fare,
scendiamo.
Stasera
abbiamo ospiti a cena e dobbiamo prepararci.
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