Oggi
salutiamo Petra. La sera prima, mentre noi scorrazzavamo per la
città, alcuni hanno voluto andare a vedere Petra by night. Il
giudizio di Roberto è quello che mi è piaciuto più di tutti: “Una
cagata pazzesca”. Effettivamente Zu ci aveva avvertito che se fatto
dopo la visita di giorno a Petra, di sera non sarebbe più stata la
stessa cosa. Meglio così, 17 dinari risparmiati.
Ora
però ci aspetta un viaggetto fino al deserto dove passeremo la
notte.
Prima
di lasciare la città però abbiamo un piccolo inconveniente. Ad un
incrocio un telone enorme ci blocca la strada. Un negozio lo ha steso
coprendo le due intere carreggiate. Purtroppo il forte vento di
stamane lo ha in parte strappato e col pullman è pericoloso
passarci: il telo è legato anche ai pali di legno della luce... Se
li tiriamo giù potremmo far saltare la corrente in mezza città,
oltre che rischiare di rimanere fulminati.
Stiamo
aspettando che qualcuno stacchi il telone quando il pullman inizia a
gemere di dolore. Prima piano piano, poi la sua sofferenza si
trasforma in un urlo lancinante che poco a poco si spegne in una
fumata grigia.
La
gran puzza di bruciato ci annuncia che si è rotta la cinghia.
Scendiamo
a vedere cosa si può fare, l’autista prova la riparazione volante,
ma non è così semplice. Come pensavo il pullman è andato.
Per
fortuna siamo ancora a Petra, così Zu fa arrivare un altro mezzo e
si riparte. Il viaggio non è lungo, in mattinata arriviamo alle
porte del famoso deserto rosa, dove prendiamo solo uno zaino per la
notte e saliamo sulle jeep. Inizia così l’esplorazione del Wadi
Rum, il grande deserto dove Mosè, in fuga dall'Egitto, si è perso
per 40 anni.
Corriamo
con le jeep sulla sabbia circondati da alte montagne colorate, ma più
avanziamo e più mi sembra di essere da un’altra parte: invece di
un deserto ho la sensazione di essere sul fondo di un oceano.
Le montagne infatti sono così colorate e hanno forme talmente strane, quasi a terrazze, che mi ricordano dei giganteschi coralli.
Le montagne infatti sono così colorate e hanno forme talmente strane, quasi a terrazze, che mi ricordano dei giganteschi coralli.
Ogni
tanto compare qualche dromedario a farmi tornare nel deserto, ma se
lo vedo da lontano c’è pericolo che lo scambi per un cavalluccio
marino.
Ci
inoltriamo sulla sabbia per un po’, di tanto in tanto vediamo gli
accampamenti di tende che si appoggiano alle pareti delle montagne.
Ce ne sono tanti, anche il nostro probabilmente è simile.
Là,
in mezzo al deserto, a ridosso della roccia, qualcuno si stende sui
tappeti per un riposino veloce. Ora fa troppo caldo per muoversi e
gli autisti, osservanti del ramadan, a quest’ora dormono.
Si
chiacchiera e si ride un po’, quindi Zu ci porta a fare una
passeggiata. Camminiamo per qualche minuto sulla sabbia in piano, poi
iniziamo a salire. Come avevo sperimentato in Namibia, non è facile
scalare una duna. Anche qui è lo stesso, solamente che alla Duna 45
erano le 6 di mattina e faceva freddo, qui fa caldo, molto.
Il
posto è bello, ma per ora non vale lo sforzo. Per farci riposare Zu
ci fa fare un po’ di tiro al bersaglio cercando di centrare un buco
nel muro con dei sassi, poi continuiamo a salire finché arriviamo in
un posto meraviglioso: una terrazza naturale da cui si ammira un gran
bel pezzo di deserto.
Da
togliere il fiato. I colori della sabbia sfumano dal grigio al bruno,
al rosso, arancione e rosa. Le montagne frastagliate spuntano come
isole selvagge.
So
che Mosè ci si è perso per 40 anni e avrebbe preferito uscirne
prima, però c'è da ammettere una cosa: il paesaggio che ha avuto a
disposizione è spettacolarmente biblico.
Ipnotizzati
come nabatei, stiamo il più possibile a fare foto, poi ritorniamo al
campo dove gli autisti hanno finito la siesta.
L'ultima
tappa del giorno è una piccola duna di sabbia dal colore così
magico e magnetico che scalarla diventa un piacere.
La
luce del pomeriggio inoltrato crea una strana atmosfera, molto bella
e pacifica. La sabbia è così arancione e delicata che non si riesce
a resistere dall’affondarvi le mani dentro.
Ci
sediamo sul crinale ad osservare il panorama, in silenzio, ammirando
questo spettacolo, provando a contare quante migliaia di anni ci sono
volute per farlo.
Verso
sera arriviamo al nostro campo tendato, circa un’ora prima del
tramonto. Prendiamo possesso delle tende, quindi ci sediamo attorno
ai resti di un falò, rilassandoci alla calma e pace del deserto fino
all’ora di cena. Ci hanno preparato un piatto tipico, il pollo
cotto sotto la sabbia.
Ovviamente
noi vegetariani lo saltiamo, io mi butto sulle verdure, lei ritorna
ad essere un personaggi de “Gli impossibili” e attinge alle
nostre scorte personali.
Dopocena
ci mettiamo ancora attorno al fuoco a chiacchierare e ridere, con gli
occhi al cielo per cercare le stelle. Purtroppo la mezza luna e
qualche nuvola ci impediscono di vederne tante, ma è comunque molto
bello e rilassante.
Uno
alla volta ce ne torniamo in tenda per dormire, solo uno rimane
all’aperto, Michele il cassiere, che sfida il fresco del deserto.
In
tenda però non fa freddo come temevo, anzi, fa quasi caldo. Si
riesce a dormire benissimo, come testimonia Cassandra che russa
beatamente alla mia destra, e il beduino nella grande tenda alla mia
sinistra. Per lo meno loro hanno dormito bene.
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