Stamattina
ce ne andiamo da Staffafel, ci aspetta la tappa più lunga del
viaggio, un po' mi dispiace non poter dare il cambio ai piloti, più
di quattrocento chilometri in un giorno, dopo tutti quelli che
abbiamo già fatto non sono pochi.
Come
prima cosa, visto che è di strada, ci fermiamo ancora alla laguna
degli Iceberg per fare la foto di gruppo. Se possibile fa ancora più
freddo del giorno prima.
Tra
una cosa e l'altra si perde un po' di tempo e prende molto freddo.
Fatta la foto ci mettiamo in viaggio e ci dirigiamo verso il canyon
di Kirkjubæjarklaustur, per gli islandesi solo klauster.
Si
tratta di un piccolo canyon fatto di una particolare roccia che il
torrente attraversandolo ha scavato fino a renderlo una vera opera
d'arte.
Un
vero spettacolo della natura.
Ci
sono strapiombi così belli che ti fan venire voglia di camminare sul
bordo tra un salto e l'altro per arrivare ad un cocuzzolo isolato. Il
passaggio però è talmente stretto che si deve mettere un piede alla
volta e non puoi non guardare nel vuoto ai due lati. Nonostante
avessi sconfitto il problema delle vertigini, qui mi torna un
pochino. Meglio non rischiare troppo, se casco di qui non ne esco
vivo.
Riprendiamo
l'esplorazione del canyon che si rivela piccolo, ci basta mezz'ora.
La
prossima meraviglia, sembra impossibile ma è ancora più
spettacolare. Pochi chilometri più avanti si apre una valle colorata
da cui parte uno sterrato in salita che porta in alto, dove le forme
delle montagne sono così strane ma anche affascinanti.
Con
il maestro dello sterrato alla guida, Atanasio classe 1937 o giù di
lì, saliamo attraverso corridoi di lava su cui si affacciano strane
bocche e affilate formazioni. In cima ci fermiamo ad ammirare il
panorama che si apre per chilometri e chilometri: una vallata nera da
cui spunta un imponente montagna verde. La spettrale pianura è
irrigata da numerosi corsi d'acqua che sembrano serpenti in
migrazione.
Riconosco
subito il luogo, qui ci hanno girato Oblivion e Noah.
Scendiamo
verso il fondo valle nero e seguendo la strada entriamo in una
bellissima e stretta gola. Alla fine questa si apre in una grande
radura
verde circondata dalle stesse grandi forme spettrali. Nel mezzo c'è
un campeggio con alcuni cottage. Non dormiremo qui, anche se
nonostante il freddo sarebbe potuta essere una bella esperienza.
Scesi
dal furgone io e Cassandra seguiamo Domenico che è partito
all'esplorazione di un canyon più piccolo ma molto bello. Arriviamo
fino alla fine dove troviamo una cascatella ed un laghetto molto
bello.
Al
ritorno ci rendiamo conto che tutto il gruppo stava aspettando noi
due e iniziamo a correre per non farci lasciare a piedi.
Fuori
della valle tenebrosa giungiamo a Vik, il paese più piovoso
d'Islanda. La guida dice che se ci capitiamo con il sole siamo molto
ma molto fortunati. Il sole c'è, ma anche un vento incredibilmente
forte.
Facciamo
ancora pochi chilometri e poi approdiamo alla spiaggia nera di
Reynisfjall.
Un'immensa distesa di sabbia nera e sassi levigati. Il mare è po'
agitato e l'acqua cerca di lambire i nostri passi, ma noi ci teniamo
vicini alla parete che prima di proseguire verso i faraglioni si apre
in una spettacolare caverna di basalto modellato ad arte.
Spinti
dal vento fortissimo, un parente molto stretto della bora, e dalla
voglia della Patty di andare avanti, arriviamo a scalare un
pezzettino di scogliera per poter ammirare meglio i sei faraglioni
che spuntano dall'acqua.
Non
è ancora finita, lungo la strada di questa infinita giornata ci
aspetta ancora Skogarfoss, la cascata con il salto più alto
d'Islanda. Vedendola mi rendo conto che è una delle immagini
islandesi che ho sempre voluto vedere dal vivo. Sarà che di cascate
ne ho già viste molte da quando sono qui, ma non mi impressiona più
di tanto, è la cascata più normale che ho visto in questo viaggio,
bella, ma non bellissima.
Il
viaggio per Hella, la nostra destinazione finale è ancora
consistente, così decidiamo di bypassare la prossima e ultima
cascata segnata sul programma. In
ogni caso non abbiamo perso nulla, non perché non ne valesse la
pena: in realtà vediamo tutto lungo la strada e anche di più. Oltre
all'ultima “famosa” ce ne sono tantissime altre senza nome, ma
non per questo meno spettacolari.
Meteo
& Guest house
dodicesimo
giorno.
La
giornata inizia molto fredda, il gelo degli iceberg ci contagia
infiltrandosi fino alle ossa, ma poi riprendiamo a viaggiare e poco a
poco il cielo si rischiara.
A
volte il sole è nascosto dietro le nubi, a volte esce e si fa vedere
in tutto il suo splendore.
Per
la prima volta sperimentiamo il soggiorno in un cottage. Ce ne è uno
grande dove stanno praticamente tutti, ed uno più piccolo con
quattro posti letto dove andremo io, Cassandra, Domenico e Alberto.
Il
nostro cottage è una casina di legno molto carina, stile casetta in
riva al lago che si vedono nei film americani.
A
cena Tamara si inventa delle specie di tortillas vegetariane che
faranno da contorno alla solita zuppa, la solita insalatona ed un
ottima pasta al pomodoro.
Dato
che è il primo giorno in cui l'alloggio non ha il WiFi, dopo cena
usciamo, come zombie, in cerca di una connessione libera. Senza meta
ci muoviamo verso una rete che possa placare la nostra crisi
d'astinenza. Io sono tra questi zombie. Una scena bizzarra: una
decina di persone che vagano in un paesino deserto, tenendo alta una
mano con un cellulare. Roba che non si vede tutti i giorni, in
particolar modo quando uno di questi si mette ad urlare:
“Ce
l'ho!”
e
poi tutti gli altri corrono verso di lui per accaparrarsi quei cinque
minuti di ossigeno virtuale.
Pensavamo
di venire in Islanda per fare un viaggio naturalistico, per liberarmi
dalle catene del progresso, ma in realtà non mi sono liberato
proprio di nulla.
Questa
è la dura verità.
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