mercoledì 22 luglio 2015

Landmannalauger – Reykjavik - 14° giorno


Ci svegliamo presto dopo la strana giornata di ieri. Ancora un po' frastornati dal vento, andiamo a pagare la guest house. Con sorpresa veniamo a sapere che invece di andare alla blue lagoon si può andare sul Landmannalauger! Fermi tutti: cambiamo programma in corsa! Il direttore dell'Hotel infatti di dice che dovrebbero riaprire le strade per il Landmannalauger. Dovremo aspettare un'ora prima che la guida statale parta per aprire le strade, così ne approfitto per caricare tutte le foto del telefono su internet e bermi un caffè, per la cronaca davvero orrendo. Mentre aspetto riesco a sbirciare la mostruosa carta dei vini: un bicchiere di Shiraz 50€, un bicchiere di Chianti ben 75€. Se vivessi in Islanda sarei astemio.
Quando arriva il momento di partire, il monster truck che doveva aprire la pista sparisce in una nuvola di polvere e cenere. Non è un problema, anche da lontano riusciamo a seguire il serpentone di auto che sfrecciano nel deserto freddo.


Lo sterrato è davvero brutto e in un paio di occasioni attraversa dei nevai e qualche pozzanghera. Vedendolo così probabilmente anche il giorno prima si sarebbe potuto passare. Pazienza, ormai è andata.
Arriviamo a destinazione in una valle circondata da vette innevate ma che sul fondo è ricca dell'acqua dei guadi ed erba verde brillante. Fiori bianchi e gialli spuntano ovunque, ma sono i corsi d'acqua che risplendono di più per intensità: sono pieni di acqua tiepida e setose alghe verdi. I bordi delle pozze calde sono tinti di giallo e rosso. Volendo ci si potrebbe anche fare il bagno, ma il tempo è poco.
Ci arrampichiamo su un nevaio e camminiamo per quaranta minuti verso il fondo della valle, là, dove le montagne sono più colorate.


I nevai sono molti, anzi probabilmente attraversiamo anche un laghetto non ancora disciolto, poi saliamo fino alle solfatare, dove i monti continuano a fumare e colorare le rocce e la terra di giallo quasi fosforescente, di verde, di arancione e di rosso.
Proprio un bello spettacolo che meritava di essere visto.
Torniamo subito indietro perché come sempre ho fame. Il tocco è già passato da un pezzo e ci aspettano altri quaranta minuti di lotta sulla neve.
Con i piedi bagnati per la traversata, mangiamo l'ottimo hambugher di muscolo di grano. Accompagnati dal sottofondo musicale del vasto guado che ricopre quasi tutto il fondo valle, ci soffermiamo ad ammirare i colori e la pace per gli ultimi minuti prima di riprendere il viaggio.
Attraversando di corsa i deserti di cenere, li vediamo salutarci sollevando grigie nubi a festa fino a che non siamo di nuovo sull'asfalto. Il paesaggio cambia man mano che ci si avvicina alla città: sempre meno distese desolate e più abitazioni, allevamenti di cavalli, anche campi coltivati. Passiamo accanto ad un'altra centrale termoelettrica da cui serpentoni di tubi si dipanano in ogni direzione e poi ecco la città. È venerdì e si nota un leggero aumento di traffico. Certo che a Milano o Roma non sarebbe ancora nulla, però dopo aver passato due settimane su strade dove si vede una macchina ogni dieci/quindici minuti, inizio a notare la differenza.
Una volta preso possesso delle camere mangiamo e poi rubiamo un furgone per andare in centro a fare un po' di baldoria.
Solitamente in Islanda si viene con due soli obiettivi: visitare questo incredibile e selvaggio paese, oppure per ridursi alcolicamente ai minimi termini.
Il paese lo abbiamo visto in buona parte, ora proviamo a sperimentare il lato oscuro del 66esimo parallelo.
Parcheggiamo al laghetto vicino al porto e subito siamo sulla via dei locali.

Per me sembrano tutti uguali, così faccio scegliere agli altri. Finiamo in un american bar pieno zeppo e subito mi appare chiaro che non arriveremo alla sbornia, non abbiamo molto tempo a disposizione.
Il locale però è ben popolato, sia da splendide islandesi, le prime che vediamo, sia di ubriachi divertenti.
Quando stiamo per andarcene vedo un tipo in mezzo alla pista da ballo che batte le mani. È chiaramente ciucco. Senza troppa convinzione viene nella nostra direzione e io, pensando che debba passare oltre, mi sposto con la sedia. Questo invece mi mette una mano sulla spalla e mormora qualcosa. Ovviamente non ho ancora imparato l'islandese, figuriamoci l'islandese alcolizzato. Indosso la faccia di plastica e alzo il pollice per salutarlo.
Questa se ne va contento.
Pensando di averla scampata bella mi alzo e annuncio:
"Ostjurdur? Il conto!"
Quando stiamo per uscire un altro gigante ubriaco che stava ballando mi vede passare, mi indica e viene da me a dirmi qualcosa. Io replico il gesto di prima e scappo fuori sperando che nessuno mi segua.
L'unica spiegazione che mi son dato è avere una certa somiglianza con un personaggio islandese famoso, all'altra possibilità non voglio nemmeno pensarci...


Proviamo a cercare un altro locale ma è tardi e finiamo al porto, attirati come falene dalla luce ipnotizzante del tramonto di mezzanotte e mezza.
Reykjavik ci saluta così, con uno spettacolare gioco di colori, lasciandoci nel cuore una sensazione ed un ricordo unici.



Meteo & Guest house
Tempo splendido per tutta la giornata, degno dell'ultima trascorsa in esplorazione.
La guest house invece non è proprio il massimo.
Finiamo in una mansarda da dodici, calda e un po' sporca.
Anche la cucina non è il massimo dell'igiene.
È l'ultima sera e prevedendo il cenone finale Cassandra si è portata la bomba culinaria per festeggiare il ritorno a casa: mezzo chilo di spaghetti integrali.
Metto su un sugo veloce di pomodoro con curcuma, peperoncino e zenzero e ce la mangiamo in due! A Cassandra due etti, a me tre!
Confesso che non sono riuscito a finirla, mi mancavano solo due forchettate... In ogni caso nonostante la quantità era così buona che ho digerito tutto senza problemi.

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