Ci
svegliamo presto dopo la strana giornata di ieri. Ancora un po'
frastornati dal vento, andiamo a pagare la guest house. Con sorpresa
veniamo a sapere che invece di andare alla blue lagoon si può andare
sul Landmannalauger! Fermi tutti: cambiamo programma in corsa! Il
direttore dell'Hotel infatti di dice che dovrebbero riaprire le
strade per il Landmannalauger. Dovremo aspettare un'ora prima che la
guida statale parta per aprire le strade, così ne approfitto per
caricare tutte le foto del telefono su internet e bermi un caffè,
per la cronaca davvero orrendo. Mentre aspetto riesco a sbirciare la
mostruosa carta dei vini: un bicchiere di Shiraz 50€, un bicchiere
di Chianti ben 75€. Se vivessi in Islanda sarei astemio.
Quando
arriva il momento di partire, il monster truck che doveva aprire la
pista sparisce in una nuvola di polvere e cenere. Non è un problema,
anche da lontano riusciamo a seguire il serpentone di auto che
sfrecciano nel deserto freddo.
Lo
sterrato è davvero brutto e in un paio di occasioni attraversa dei
nevai e qualche pozzanghera. Vedendolo così probabilmente anche il
giorno prima si sarebbe potuto passare. Pazienza, ormai è andata.
Arriviamo
a destinazione in una valle circondata da vette innevate ma che sul
fondo è ricca dell'acqua dei guadi ed erba verde brillante. Fiori
bianchi e gialli spuntano ovunque, ma sono i corsi d'acqua che
risplendono di più per intensità: sono pieni di acqua tiepida e
setose alghe verdi. I bordi delle pozze calde sono tinti di giallo e
rosso. Volendo ci si potrebbe anche fare il bagno, ma il tempo è
poco.
Ci
arrampichiamo su un nevaio e camminiamo per quaranta minuti verso il
fondo della valle, là, dove le montagne sono più colorate.
I
nevai sono molti, anzi probabilmente attraversiamo anche un laghetto
non ancora disciolto, poi saliamo fino alle solfatare, dove i monti
continuano a fumare e colorare le rocce e la terra di giallo quasi
fosforescente, di verde, di arancione e di rosso.
Proprio
un bello spettacolo che meritava di essere visto.
Torniamo
subito indietro perché come sempre ho fame. Il tocco è già passato
da un pezzo e ci aspettano altri quaranta minuti di lotta sulla neve.
Con
i piedi bagnati per la traversata, mangiamo l'ottimo hambugher di
muscolo di grano. Accompagnati dal sottofondo musicale del vasto
guado che ricopre quasi tutto il fondo valle, ci soffermiamo ad
ammirare i colori e la pace per gli ultimi minuti prima di riprendere
il viaggio.
Attraversando
di corsa i deserti di cenere, li vediamo salutarci sollevando grigie
nubi a festa fino a che non siamo di nuovo sull'asfalto. Il paesaggio
cambia man mano che ci si avvicina alla città: sempre meno distese
desolate e più abitazioni, allevamenti di cavalli, anche campi
coltivati. Passiamo accanto ad un'altra centrale termoelettrica da
cui serpentoni di tubi si dipanano in ogni direzione e poi ecco la
città. È venerdì e si nota un leggero aumento di traffico. Certo
che a Milano o Roma non sarebbe ancora nulla, però dopo aver passato
due settimane su strade dove si vede una macchina ogni dieci/quindici
minuti, inizio a notare la differenza.
Una
volta preso possesso delle camere mangiamo e poi rubiamo un furgone
per andare in centro a fare un po' di baldoria.
Solitamente
in Islanda si viene con due soli obiettivi: visitare questo
incredibile e selvaggio paese, oppure per ridursi alcolicamente ai
minimi termini.
Il
paese lo abbiamo visto in buona parte, ora proviamo a sperimentare il
lato oscuro del 66esimo parallelo.
Parcheggiamo
al laghetto vicino al porto e subito siamo sulla via dei locali.
Per
me sembrano tutti uguali, così faccio scegliere agli altri. Finiamo
in un american bar pieno zeppo e subito mi appare chiaro che non
arriveremo alla sbornia, non abbiamo molto tempo a disposizione.
Il
locale però è ben popolato, sia da splendide islandesi, le prime
che vediamo, sia di ubriachi divertenti.
Quando
stiamo per andarcene vedo un tipo in mezzo alla pista da ballo che
batte le mani. È chiaramente ciucco. Senza troppa convinzione viene
nella nostra direzione e io, pensando che debba passare oltre, mi
sposto con la sedia. Questo invece mi mette una mano sulla spalla e
mormora qualcosa. Ovviamente non ho ancora imparato l'islandese,
figuriamoci l'islandese alcolizzato. Indosso la faccia di plastica e
alzo il pollice per salutarlo.
Questa
se ne va contento.
Pensando
di averla scampata bella mi alzo e annuncio:
"Ostjurdur?
Il conto!"
Quando
stiamo per uscire un altro gigante ubriaco che stava ballando mi vede
passare, mi indica e viene da me a dirmi qualcosa. Io replico il
gesto di prima e scappo fuori sperando che nessuno mi segua.
L'unica
spiegazione che mi son dato è avere una certa somiglianza con un
personaggio islandese famoso, all'altra possibilità non voglio
nemmeno pensarci...
Proviamo
a cercare un altro locale ma è tardi e finiamo al porto, attirati
come falene dalla luce ipnotizzante del tramonto di mezzanotte e
mezza.
Reykjavik
ci saluta così, con uno spettacolare gioco di colori, lasciandoci
nel cuore una sensazione ed un ricordo unici.
Meteo
& Guest house
Tempo
splendido per tutta la giornata, degno dell'ultima trascorsa in
esplorazione.
La
guest house invece non è proprio il massimo.
Finiamo
in una mansarda da dodici, calda e un po' sporca.
Anche
la cucina non è il massimo dell'igiene.
È
l'ultima sera e prevedendo il cenone finale Cassandra si è portata
la bomba culinaria per festeggiare il ritorno a casa: mezzo chilo di
spaghetti integrali.
Metto
su un sugo veloce di pomodoro con curcuma, peperoncino e zenzero e ce
la mangiamo in due! A Cassandra due etti, a me tre!
Confesso
che non sono riuscito a finirla, mi mancavano solo due forchettate...
In ogni caso nonostante la quantità era così buona che ho digerito
tutto senza problemi.
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