venerdì 22 giugno 2018

Giorno 13 - Wadi Mujib – Madaba

Oggi è l'ultimo giorno di viaggio, ma sarà una lunghissima giornata. Per avere l'illusione che il viaggio non finisca, non andremo a dormire finché non saremo in Italia.
Salutiamo la calda Aqaba ed il mar Rosso per dirigerci di nuovo sull'altro mare, il mar Morto. Con il solito pullman torniamo verso l'interno della Giordania, attraversando il deserto fino alla sosta nei pressi del mar Morto, proprio per poter fare acquisti di prodotti per la pelle, di cui Cassandra va pazza. Da come riempie il carrello inizio a pensare che sia venuta in questa nazione più per questo negozio che per Petra.
Riecco il mar Morto, con i suoi 380 metri sotto il livello del mare e tanto sale da fulminare un iperteso solo guardandone la superficie.
Oggi però niente fanghi e bagni salati, ci aspetta la gola del Wadi Mujib da fare a piedi, ma stavolta immersi nell’acqua. Zu ci spiega che la parola Wadi significa proprio „fiume che scorre in mezzo“.
Il canyoning è una cosa che ho sempre voluto fare, ma che fino ad ora non avevo mai avuto la possibilità di provare. Finalmente possiamo mettere la croce su un'altra casellina rimasta per troppo tempo vuota.
Quella di oggi era un'escursione prevista a metà viaggio, ma in quel momento c’era troppa acqua e così Zu ha pensato bene di rimandarlo all’ultimo giorno, anche per chiudere in bellezza con questa ciliegina bagnata.
Il gruppo che si butta è quasi al completo, è presente perfino Cassandra, che di solito cerca di evitare gli sport estremi.
L’inizio è incoraggiante: niente sole accecante e iniziamo a camminare nel letto di un torrente. Facile, facile, se non si contano i sassolini che si infilano ovunque sotto i piedi.
Procediamo spediti in una gola bellissima, molto simile al Siq che porta a Petra, solo che qui sul fondo c’è l’acqua che scorre controcorrente.

Poco a poco il torrente si fa più tortuoso e profondo. Avanziamo con sempre maggiore difficoltà, finché compaiono le corde e bisogna arrampicarsi sulle rocce. Il gruppo inizia a sentire la difficoltà e si sfilaccia un pochino fino a quando Zu decide di fermarsi. Siamo troppi per lui. Io, Carlo, Giuseppe, Alessandro e Cassandra però proseguiamo.
Facciamo l’ultimo ostacolo impegnativo e poi ci troviamo di fronte una cascata verticale di circa quattro metri da scalare. Causa un gran traffico ci dobbiamo fermare e solo Alessandro, a 72 anni suonati, riesce ad arrampicarsi e scomparire dall’altra parte. Noi che assistiamo alla scena e vediamo le difficoltà della gente più fisicata e giovane di noi, ci guardiamo un po’ perplessi e decidiamo che senza una guida ad aiutarci forse non è il caso di rischiare.
A conferma di ciò, mentre torniamo passando sull’ultimo ostacolo che io e Cassandra abbiamo già fatto, Giuseppe scivola e finisce in un mulinello. Coperto da un enorme roccia non mi rendo conto che fosse proprio lui, vedo solo una sagoma scomparire nell’acqua. Per fortuna lì vicino c’era la guida di un altro gruppo che lo trae in salvo. Probabilmente ce l’avrebbe fatta anche da solo grazie al giubbotto di salvataggio, ma non si sa mai.
Da lì in poi il ritorno è tutto gratis, nel senso che ci lasciamo galleggiare e trascinare lentamente dalla corrente.
Io e Cassandra ci divertiamo come pazzi a rincorrerci e scontrarci, cercando sempre l’acqua più profonda, anche se qualche volta sbattiamo le terga su dei sassi invadenti.
Giunti alla fine del torrente usciamo controvoglia, ormai si sta avvicinando la fine del viaggio.
Ripartiamo verso Madaba, dove salutiamo l'autista e soprattutto Zu. La nostra è stata una bellissima vacanza anche grazie alla sua guida. Credo sia stato il miglior corrispondente di Avventure con cui abbiamo avuto a che fare, davvero bravo.
In hotel ci facciamo la doccia e aspettiamo il canto del muezzin, quindi torniamo a cena sulla terrazza di una settimana fa.
Ceniamo e fumiamo il narghilè, quindi usciamo a passeggiare per le strade piene di gente. Tutti sono in giro in auto a festeggiare: oggi in Giordania è festa nazionale. Oltre alla fine del digiuno per il ramadan sono tutti su di giri e sfilano con le loro automobili strombazzanti che, a passo d'uomo, sfoggiano le loro carrozzerie utilitarie.
Verso le 23:30 arriva il taxi che divide il gruppo, i viaggiatori romani come noi se ne vanno salutando gli altri. Viaggio bellissimo, in un paese fantastico e accogliente come non avrei mai pensato... Mi mancheranno i miei compagni sognatori e questi posti da sogno, ma so che rimarranno per sempre con me.
In ogni caso non si sa mai, che ci si possa incontrare ancora. Basta sognarlo.

giovedì 21 giugno 2018

Giorno 12 - Aqaba - Snorkeling

Tutti al mare! Oggi andiamo al mare!
Ma non il classico mare del tipo spiaggia, ombrellone, cocco fresco. Oggi ci tuffiamo da una barca in mezzo alla barriera corallina! Sono curioso di provare.
Dopo l’esperienza che facemmo in Turchia quando salimmo sulla barcaccia del pirata buono, mi aspetto molto di più. Speriamo bene.
Ricordo che in Turchia la nostra barca era a due piani, mezza sgangherata e piena di gente fino al limite. Inoltre aveva un bagno che sembrava quello del film trainspotting quando il tizio ci si immerge per recuperare la droga...
Qui la barca è sì a due piani, ma in confronto è stralussuosa e soprattutto è solamente per noi. È tutta nostra!
Il bagno poi è il più pulito che abbia visto in tutto il viaggio finora, hotel compresi.
Per quattro ore siamo padroni dello yacht, tanto che Roberto prende il timone e come un vecchio lupo di mare ci guida fuori del porto. Quando però il prurito alle mani comincia a farsi sentire e le dita fremono per premere il bottone dell’otturatore della sua fedele compagna di viaggio, lascia il timone al suo secondo e va a scattare fotografie.
Michele il cassiere però non si dimostra altrettanto capace nella guida. Nonostante le indicazioni di Zu continua a fare uno zig zag infinito lasciando dietro di sé la traccia di un enorme serpente marino. In pratica per fare il percorso fatto da Roberto ci metterà il doppio del tempo.
Alla fine però Michele passa il test dell’alce e ottiene la promozione all’esame della patente per la moto.
Siamo in un punto in mezzo al mare giordano, ma sulla nostra destra ci siamo lasciati alle spalle la costa di Israele, mentre ora fiancheggiamo la zona dei monti Sinai, in Egitto. A sinistra invece siamo ancora in Giordania, ma poco più avanti si intravede l'Arabia Saudita.
Quando ci avviciniamo alla costa quel che basta, siamo arrivati. È il momento di indossare la maschera e di tuffarsi.
Il mare è blu e azzurro, appena immergo con la maschera e la indosso compare l’acquario. È la prima volta che faccio snorkeling e non sono in grado di dire se il luogo fosse più o meno bello di altri, ma a me è piaciuto tantissimo. Anche per il corallo non so valutarne lo stato di salute, ma i colori vividi ci sono, così come i pesci, di cui non conosco il nome, ma vedo bene le sfumature e le fantasie.
Immergersi tra i coralli è strano e allo stesso tempo bellissimo, ho visto pesci e spugne particolari, forse un pesce scatola, una miriade di pesci di ogni specie, anche un pesce pagliaccio o due. Quando circa trenta minuti dopo inizia a far freddo, sono contentissimo di prendermi una pausa e risalire a bordo. Zu e i ragazzi della barca ci chiedono se vogliamo mangiare o tuffarci in un altro posto. Risposta scontata e unanime: un altro tuffo.
Effettivamente la risposta non è stata proprio unanime. Michele il cassiere, che si era tuffato senza pinne, non è più rientrato.
Lo si vede laggiù che galleggia, trascinato dalla corrente verso l'Arabia Saudita. Anche chiamandolo non dà segni di risposta, così Carlo, il bagnino riminese, che in realtà è un cuoco, va a recuperarlo e lo riporta a bordo.
Il secondo sito dove ci immergiamo ha il fondale un pochino più sporco, ovvero con qualche rifiuto sparso qua e là, però i pesci sono più numerosi e anche la profondità è maggiore. Avvisto perfino un pesce trombetta che cerco di seguire finché riesco nel suo vagare, poi il freddo, e l’invasione di qualche medusa mi fanno desistere.
Quando risaliamo a bordo ci aspetta il miglior pranzo della vacanza, anche per noi vegetariani “impossibili”, che rimaniamo strasoddisfatti. Finalmente.
Il resto della navigazione verso casa ce lo godiamo in pace e allegria, finché la barca non rientra in porto per farci scendere.
In serata usciamo ancora per girare il mercatino. Siamo solo io e Cassandra, ma ci muoviamo senza problemi inoltrandoci nel mercato che oltre alla zona visitata ieri sera, si estende moltissimo verso l'interno e la costa. Girovaghiamo attirati dai suoni e dai colori, saziandoci dell'atmosfera pacifica e non troppo afosa. Cassandra acquista una decina di orecchini, giusto per avere un ricordino da portare a casa e poi piano piano riguadagniamo la strada verso l'hotel. Domani sarà l'ultimo lunghissimo giorno di questo bellissimo viaggio, meglio riposare bene.

mercoledì 20 giugno 2018

Giorno 11 – Il deserto Wadi Rum - Aqaba

Ci svegliamo salutati dal sole che inizia a salire presto. Difatti Zu cambia all'ultimo l'orario di partenza anticipandolo di un'ora. Purtroppo Cassandra aveva spento la modalità profetica, anche perché nel deserto non c’è campo, e non avendolo previsto si è trovata a dover fare le sue cose nella metà del tempo che spreca di solito, perdendo anche le sue preziose forbici dell’ordine delle trite comandine. La profetessa superiora non ne sarà contenta, ma lo aveva già previsto, ovviamente.
Dopo averla attesa per dieci minuti sulle jeep, ripartiamo e andiamo a vedere un arco naturale, prima da sotto e poi salendoci sopra.
Fatte le foto di rito ci dirigiamo da un’altra parte e veniamo scaricati all’inizio di una gola. Saliamo lentamente sulla sabbia, ammirando il paesaggio e le strane forme delle rocce che, un po' come le nuvole, a ognuno di noi ricordano qualcosa di diverso.
Arriviamo in cima e scendiamo tra le rocce che si stringono quasi non volessero lasciarci andare. Giriamo lentamente attorno alla montagna dove ci aspettano le jeep che stavolta ci portano a vedere degli antichi geroglifici.
Il posto è una strettissima gola dove ci passano al massimo una persona e mezza. Siamo appena arrivati quando un gruppo di cinesi ci piomba addosso con tutta la propria maleducazione e chiasso.
Senza darci troppo tempo per ammirare i geroglifici, si intromettono invadendo le nostre foto. Per sentire meglio la spiegazione di Zu decidiamo di uscire dalla gola. Purtroppo fanno così casino che non riusciamo a sentire bene quello che la guida ci dice nemmeno da fuori. Nonostante i continui richiami questi se ne fregano e continuano imperterriti.
Li moltacci lolo!
Ripresa la corsa sulla sabbia, le jeep stavolta ci portano all’uscita in un’oretta, dove ci aspetta il nostro vecchio pullman che ormai è stato riparato.
Non ci rimane altro da fare che salire a bordo e dirigerci verso Aqaba, che si affaccia sul mar Rosso.
Sapevamo che avrebbe fatto caldo, ma un paio d'ore più tardi, la situazione che troviamo al nostro arrivo non era preventivata. Ci sono ben 43 gradi. Un vento caldo e umido soffia via quasi tutta l'acqua del nostro corpo in pochi istanti. Ci rinchiudiamo in hotel con l’aria condizionata fino a sera, sperando che la temperatura si attenui un po’. Solo a Dubai avevo sperimentato qualcosa di simile, anche se li erano solo le 8 del mattino.
Usciamo verso le 7 per andare ad un supermercato, lo troviamo a dieci minuti di sudatissima strada dall’hotel, quindi ci rintaniamo fino a dopo cena, quando effettivamente si può finalmente uscire senza dare i numeri.
Ritroviamo gli altri e Zu che per stasera ci accompagna facendoci vedere il mercato. Qualcuno compra delle spezie, altri il Kohl, una specie di Kajal beduino, e dolcetti vari. Insomma siamo alla fine del viaggio e chi se lo può permettere cerca di sparare tutti i jod che gli sono rimasti.
Anche qui la tranquillità con cui si può girare nel mercato serale è la norma, non me ne sorprendo quasi più, anche se continua a piacermi moltissimo.

martedì 19 giugno 2018

Giorno 10 – Petra - Wadi Rum

Oggi salutiamo Petra. La sera prima, mentre noi scorrazzavamo per la città, alcuni hanno voluto andare a vedere Petra by night. Il giudizio di Roberto è quello che mi è piaciuto più di tutti: “Una cagata pazzesca”. Effettivamente Zu ci aveva avvertito che se fatto dopo la visita di giorno a Petra, di sera non sarebbe più stata la stessa cosa. Meglio così, 17 dinari risparmiati.
Ora però ci aspetta un viaggetto fino al deserto dove passeremo la notte.
Prima di lasciare la città però abbiamo un piccolo inconveniente. Ad un incrocio un telone enorme ci blocca la strada. Un negozio lo ha steso coprendo le due intere carreggiate. Purtroppo il forte vento di stamane lo ha in parte strappato e col pullman è pericoloso passarci: il telo è legato anche ai pali di legno della luce... Se li tiriamo giù potremmo far saltare la corrente in mezza città, oltre che rischiare di rimanere fulminati.
Stiamo aspettando che qualcuno stacchi il telone quando il pullman inizia a gemere di dolore. Prima piano piano, poi la sua sofferenza si trasforma in un urlo lancinante che poco a poco si spegne in una fumata grigia.
La gran puzza di bruciato ci annuncia che si è rotta la cinghia.
Scendiamo a vedere cosa si può fare, l’autista prova la riparazione volante, ma non è così semplice. Come pensavo il pullman è andato.
Per fortuna siamo ancora a Petra, così Zu fa arrivare un altro mezzo e si riparte. Il viaggio non è lungo, in mattinata arriviamo alle porte del famoso deserto rosa, dove prendiamo solo uno zaino per la notte e saliamo sulle jeep. Inizia così l’esplorazione del Wadi Rum, il grande deserto dove Mosè, in fuga dall'Egitto, si è perso per 40 anni.
Bello, bellissimo, quasi magico.
Corriamo con le jeep sulla sabbia circondati da alte montagne colorate, ma più avanziamo e più mi sembra di essere da un’altra parte: invece di un deserto ho la sensazione di essere sul fondo di un oceano.
Le montagne infatti sono così colorate e hanno forme talmente strane, quasi a terrazze, che mi ricordano dei giganteschi coralli.
Ogni tanto compare qualche dromedario a farmi tornare nel deserto, ma se lo vedo da lontano c’è pericolo che lo scambi per un cavalluccio marino.
Ci inoltriamo sulla sabbia per un po’, di tanto in tanto vediamo gli accampamenti di tende che si appoggiano alle pareti delle montagne. Ce ne sono tanti, anche il nostro probabilmente è simile.
Dopo un’ora circa ci fermiamo all’ombra di una di queste grandi rocce e su due grandi tappeti pranziamo con dei panini e un'anguria per dessert.
Là, in mezzo al deserto, a ridosso della roccia, qualcuno si stende sui tappeti per un riposino veloce. Ora fa troppo caldo per muoversi e gli autisti, osservanti del ramadan, a quest’ora dormono.
Si chiacchiera e si ride un po’, quindi Zu ci porta a fare una passeggiata. Camminiamo per qualche minuto sulla sabbia in piano, poi iniziamo a salire. Come avevo sperimentato in Namibia, non è facile scalare una duna. Anche qui è lo stesso, solamente che alla Duna 45 erano le 6 di mattina e faceva freddo, qui fa caldo, molto.
Il posto è bello, ma per ora non vale lo sforzo. Per farci riposare Zu ci fa fare un po’ di tiro al bersaglio cercando di centrare un buco nel muro con dei sassi, poi continuiamo a salire finché arriviamo in un posto meraviglioso: una terrazza naturale da cui si ammira un gran bel pezzo di deserto.
Da togliere il fiato. I colori della sabbia sfumano dal grigio al bruno, al rosso, arancione e rosa. Le montagne frastagliate spuntano come isole selvagge.
So che Mosè ci si è perso per 40 anni e avrebbe preferito uscirne prima, però c'è da ammettere una cosa: il paesaggio che ha avuto a disposizione è spettacolarmente biblico.
Ipnotizzati come nabatei, stiamo il più possibile a fare foto, poi ritorniamo al campo dove gli autisti hanno finito la siesta.
L'ultima tappa del giorno è una piccola duna di sabbia dal colore così magico e magnetico che scalarla diventa un piacere.
La luce del pomeriggio inoltrato crea una strana atmosfera, molto bella e pacifica. La sabbia è così arancione e delicata che non si riesce a resistere dall’affondarvi le mani dentro.
Ci sediamo sul crinale ad osservare il panorama, in silenzio, ammirando questo spettacolo, provando a contare quante migliaia di anni ci sono volute per farlo.
Verso sera arriviamo al nostro campo tendato, circa un’ora prima del tramonto. Prendiamo possesso delle tende, quindi ci sediamo attorno ai resti di un falò, rilassandoci alla calma e pace del deserto fino all’ora di cena. Ci hanno preparato un piatto tipico, il pollo cotto sotto la sabbia.
Ovviamente noi vegetariani lo saltiamo, io mi butto sulle verdure, lei ritorna ad essere un personaggi de “Gli impossibili” e attinge alle nostre scorte personali.
Dopocena ci mettiamo ancora attorno al fuoco a chiacchierare e ridere, con gli occhi al cielo per cercare le stelle. Purtroppo la mezza luna e qualche nuvola ci impediscono di vederne tante, ma è comunque molto bello e rilassante.
Uno alla volta ce ne torniamo in tenda per dormire, solo uno rimane all’aperto, Michele il cassiere, che sfida il fresco del deserto.
In tenda però non fa freddo come temevo, anzi, fa quasi caldo. Si riesce a dormire benissimo, come testimonia Cassandra che russa beatamente alla mia destra, e il beduino nella grande tenda alla mia sinistra. Per lo meno loro hanno dormito bene.

lunedì 18 giugno 2018

Giorno 9 – Petra, the final cut

Stamattina si ritorna a Petra per vedere l’ultima parte che ieri abbiamo saltato: un’altra bella salita fino alla cima di una montagna sopra il teatro, dove c’è l’altare del sacrificio.
Partiamo un pochino più tardi, ma ci mettiamo molto meno di ieri ad arrivare al Tesoro. 
Del resto sono solo due chilometri in leggera discesa.
All’altezza del teatro iniziamo a salire le scale. La roccia è sempre coloratissima, forse addirittura meglio di quella vista ieri.
In mezz’ora arriviamo in cima, un tragitto molto più tranquillo, con pochissima gente. Praticamente ci siamo solo noi.
Sulla vetta andiamo a vedere i due obelischi e poi saliamo verso l’Altare del sacrificio. Fuori del sentiero vediamo scendere Michele il cassiere. Dice che gli altri del gruppo sono ancora in cima. Difatti troviamo Roberto, Carlo e Giuseppe. C'è anche Vittoria che sta cercando Michele, il quale se ne è andato portandosi via il suo zaino, il suo cappello e la sua acqua. Attentato!
Il panorama da là sopra è mozzafiato, si vedono tutte le tombe reali come se fossimo in volo su un elicottero.
Fatta qualche foto partiamo all’inseguimento di Michele scendendo le scale per una gola ripida.
Subito incrociamo un beduino che ci segue e a gesti e suoni ci indica le cose da vedere. Ci mettiamo poco a capire che vuole farci da guida per una mancia, ma subito ci rendiamo conto che è anche sordo muto.
Comunque non è molesto, anzi, ci indica diverse cose nascoste che forse non avremmo notato e ci aspetta sempre pazientemente.
Vediamo un piccolo altarino del dio supremo dei nabatei, un grande leone scolpito sulla roccia, il Triclinium giardino, il Triclinium colorato, la Tomba del soldato romano e diverse altre tombe.
Alla fine lo salutiamo raccogliendo un dinaro a testa e ci avviamo. A buon mercato, ma dove si è mai vista una guida muta?
A conferma del fatto che fosse davvero sordo Roberto lo richiama dicendogli “Vieni qui che ti do 10 dinari”, ma il beduino non si volta nemmeno.
Non contenti del fantastico giro, io e Cassandra torniamo verso il fondo valle per poi risalire a vedere alcune tombe che dall'alto avevano attirato la mia attenzione.
Risaliamo dalla parte opposta, nella zona delle tombe reali e, invece di andare a sinistra, andiamo a destra.
Qui troviamo altri ambienti da esplorare con questa meravigliosa roccia colorata che ipnotizza e magnetizza lo sguardo.
Non c'è in giro quasi nessuno qui, e non capisco perché. I luoghi e la vista è sempre fantastica.
Arriviamo a trovarci su una terrazza proprio di fronte all'anfiteatro poi, dopo aver ispezionato tutte le case e le tombe visitabili ridiscendiamo.
Anche oggi fa molto caldo, ma in poco tempo abbiamo visto e fatto tutto quello che dovevamo fare. Torniamo verso l’uscita per evitare di soffrire come ieri e ci arriviamo verso le 12:30, mangiamo e andiamo a vedere il piccolo museo.
Da non perdere, oltre ai pochi reperti esposti, uno schermo con tutti i film che hanno girato qualche scena a Petra. A parte Indiana Jones ce ne sono altri cinque, ma il migliore è “Gli occhi della tigre”, una specie di viaggio al centro della terra con protagonista un improbabile Sinbad. Davvero spassosissimo.
Il resto della giornata ci tumuliamo in hotel per difenderci dal caldo, mentre la sera usciamo per salire in città a vedere qualche locale e negozio.
Stasera siamo in tanti e prendiamo due taxi. Ci facciamo lasciare dopo la moschea dove iniziamo a girare. Contrariamente a quanto pensavamo non c’è molto, o meglio, ci sono moltissimi parrucchieri da uomo, farmacie, venditori di caffè e di dolci.
Locali pochi. Va da sé che, sotto lo sguardo sorpreso e divertito dei clienti tutti uomini, finiamo per entrare quasi per sbaglio in una fumeria di narghilè, e ovviamente ordiniamo solo spremute d’arancia.
A completare la bizzarra serata in televisione c’è la versione giordana di Gomorra, malavitosi che parlano pochissimo e si sparano tanto.
Terminata la spremuta scappiamo subito e stavolta scendiamo a piedi per smaltire tutto il fumo che abbiamo assorbito. Alla fine il locale migliore di Petra si è dimostrato il minimarket vicino all’hotel, con i suoi gelati confezionati e le birre analcoliche. Tutta salute.

domenica 17 giugno 2018

Giorno 8 – Petra

Alle 7:30 usciamo dall’hotel e in pochi minuti stiamo già camminando spediti lungo i primi 800 metri di sterrato completamente al sole. Fa già abbastanza caldo. Lungo la strada iniziano a vedersi alcune costruzioni nabatee e alcune tombe. Una in particolare è molto grande e sormontata da quattro obelischi. Anche ai nabatei, come i romani (vedi Piramide di Caio Cestio), piaceva viaggiare e imparare. Gli obelischi furono una delle tante cose che apprezzarono della cultura egiziana e il proprietario di questa tomba lo dimostra facendosene fare perfino quattro.
Poco più avanti ci sono anche strutture cubiche che i beduini identificavano come le case dei Jinn. I Jinn per loro erano dei demoni. Tra l’altro la parola Jinn a noi non è del tutto sconosciuta, anzi. Il Genio della lampada era un Jinn. Va be non divaghiamo troppo altrimenti vi porterei in un altro posto che ho visitato solo con la mente, per ora.
Terminati i primi 800 metri arriviamo all’inizio del Siq, la stretta e profonda gola lunga 1200 metri che porta alla città di Petra. Prima però notiamo che a fianco dello sterrato, appena prima del Siq, c’è un canale che finisce in una galleria. Questa fu scavata dai nabatei per evitare che l’acqua piovana inondasse il Siq.
In questo modo l’acqua veniva indirizzata verso una serie di canali, cisterne e dighe che permettevano alla città di conservare e utilizzare ogni singola goccia d’acqua a disposizione. Era un sistema idrico incredibile che permise alla città di prosperare nonostante la fortissima carenza di acqua della zona.
Scendiamo nel Siq, dove vediamo di tanto in tanto dighe, altarini e canali che scendono verso il basso dalle cime della gola per indirizzare l’acqua piovana e l’acqua potabile.
Camminare qui in mezzo, all'ombra, mi lascia dentro un senso di meraviglia che in poche altre occasioni ho provato. Qui la famosa cooperativa vento, acqua e sabbia ha creato un capolavoro, dotandolo di forme straordinarie e colorandolo con tinte da perdere la testa e farsi venire il torcicollo per quanto ci si guardi in giro a 360 gradi.
La gola si stringe sempre più finché, proprio a ridosso di un canale dell'acqua incontriamo la scultura di una carovana di cammelli. Anche se quasi irriconoscibili gli animali sono altissimi, almeno tre metri. Questo era solo un altro dei biglietti da visita della città per chi vi giungeva dalla incredibile e spettacolare via. Quando Spielberg ci ha girato “Indiana Jones e l’ultima crociata”, ha fatto conoscere al mondo questo posto fantastico, ma ha solo raccolto le briciole di ciò che è rimasto, di quella che ai sui tempi doveva essere una delle città più belle e ricche del mondo.

Quando il sinuoso Siq finisce, ecco spuntare la meravigliosa ed imponente facciata del Tesoro. Sembra davvero di essere nel film e che da un momento all’altro spunti Indiana Jones.
Uno dei miei sogni si è avverato.
Anche se lo chiamano così, in realtà questo non ha nulla a che vedere con un tesoro, è semplicemente la tomba del più grande re dei nabatei, Areta IV.
È stata chiamata così perché quando i beduini la riscoprirono pensarono che dentro ci fosse un tesoro. Per cercarlo distrussero a colpi di fucile le statue che la adornano. Si vedono ancora molto bene i buchi lasciati dagli spari.
Questa è solo la prima tomba che vediamo, ma Zu ci spiega che venivano costruite tutte allo stesso modo, scavando dall’alto verso il basso. Quindi senza nessuna possibilità di errore. Inoltre, invece di scolpire tutto, intagliavano grossi blocchi rettangolari, dei mattoni giganteschi, e poi li buttavano giù. In questo modo avevano anche il materiale di costruzione per altre strutture. Praticamente la città era una cava a chilometro zero.
Il massimo splendore i nabatei lo raggiunsero proprio con Areta IV, che governò per circa 50 anni a cavallo tra il 9 a.C. e il 40 d.C.
Erano dei commercianti così abili che la ricchezza della città non aveva eguali. Per questo motivo Roma decise di annetterla, per impossessarsi anche delle sue rotte commerciali.
Così da città nabatea di nome Reqem, la variopinta, divenne Petra, conservando così quel nome che in greco significa roccia.
La roccia di Petra è ciò che più mi ha colpito e lasciato colmo di meraviglia: è un mix di colori, prevalentemente rosso, che si mischiano in forme e disegni incredibili. Intere pareti di montagna, in cui sono scolpite tombe, case e perfino l’anfiteatro, sono un amalgama da sogno.

Rosso, bordeaux, giallo, bianco, nero, arancione, rosa, grigio e sabbia, disegnano nuvole, onde e cascate.


Sono molte le parti della montagna rimaste scoperte, come se il tempo avesse corroso la sua pelle per mostrare cosa c’è davvero sotto, quasi prendesse vita e dimostrasse di avere degli organi al posto delle pietre, come dovrebbe essere. Un po’ il contrario di quando si dice ad un uomo che ha il cuore di pietra.


Seguiamo Zu nel giro, ascoltando le sue parole, ma io continuo a guardare Cassandra con un sorriso nabateo, che mi restituisce estasiata, come a volerle dire ogni volta: ma in che sogno siamo finiti?
Visitiamo le tombe reali, poi la chiesa bizantina, quindi si fa tappa al ristorante.
Eh no! Io non mi fermo qua, non riesco a resistere al richiamo della città. Basta uno sguardo d’intesa con Cassandra, salutiamo tutti e già siamo in salita per raggiungere il monastero.
L'ascesa nelle gole, nonostante la miriade di bancarelle, per fortuna deserte a causa dell’ora più calda e del ramadan, sembra un viaggio al centro della terra percorso al contrario. La scalinata che si apre tra le montagne colorate è bellissima, però dopo solo mezz’ora arriviamo a destinazione. Quasi ci dispiace.
Eccolo il monastero.
Si tratta di un’altra tomba, probabilmente più grande del Tesoro, ma meno rifinita e decorata. Viene chiamata così perché in epoca romana bizantina lo utilizzarono come monastero inglobandolo in un'altra struttura che oggi non esiste più.
Con questa meravigliosa cornice davanti, possiamo sederci e mangiare il nostro pranzo anche noi.
Troviamo un posticino all’ombra e ci sediamo su delle rocce colorate dove, tra un boccone e l’altro, scorgo dei segni sulla roccia. Sembrerebbero geroglifici, ma sarebbe una scoperta troppo facile da fare. Figuriamoci se sono proprio io il primo a trovarli, evidentemente sono solo segni fatti dai beduini. Chissà...
Terminata la pausa pranzo ci rialziamo, la visita non è ancora finita, ci rimangono da vedere un sacco di altre cose. Scendiamo gli scalini schivando i muli che salgono e scendono lasciando sul selciato le tracce del loro passaggio, soprattutto il cattivo odore. Ma noi siamo distratti dalle montagne colorate e dalle sue forme. A metà della discesa non ci dimentichiamo di fermarci ad una piccola insenatura sulla destra che sfocia nella tomba dei due leoni, piccolina ma carina. Valeva la pena vederla.
Riprendiamo la discesa e finalmente arriviamo a terra, passiamo il ristorante e ci troviamo di fronte all’unico edificio natabeo rimasto in piedi dopo il gran terremoto. Difatti noi oggi vediamo solo i resti dei templi e delle tombe, ma tra questi c’erano un'infinità di case, tutte crollate, e su cui oggi camminiamo. Sono ancora tutte là, con molte delle cose che contenevano. Basta guardare per terra, in qualunque direzione, per vedere pezzi di terracotta, ceramica, tegole. Senza volerlo perfino io sono inciampato due volte su due manici di qualcosa che potevano essere delle brocche o dei vasi.
Più ci avviciniamo e più vediamo quanto è grande l'edificio nabateo rimasto in piedi. Probabilmente ha resistito al tempo e i terremoti perché nel mezzo delle sue pareti furono inserite delle assi di legno. In questo modo l’elasticità del legno ha consentito all’edificio di non crollare.
Il legno è ancora là, incastonato tra i grandi massi.
Prima di proseguire saliamo sulla collina a sinistra dove c'è il Tempio dei leoni alati. È proprio quello che ha restaurato Franco, l'archeologo che abbiamo conosciuto a Madaba. Dopo aver constatato l'ottimo lavoro, soprattutto considerando il pochissimo materiale a disposizione, riscendiamo in basso.

Entriamo nell’agorà costruita dai romani e quindi passiamo sotto quello che era un grande arco, punto di inizio del cardo. Su entrambi i lati della grande strada lastricata, come sempre c’erano tutti i negozi e le botteghe, nonché gli ingressi dei templi.
C’era però anche il grande tempio. Salendo dal cardo le sue scalinate, il grande tempio nabateo dominava tutta la città. Nel livello più alto c'è una struttura che sembra un piccolo auditorium e qualche metro sulla destra, in un corridoio, ci sono ancora tracce colorate di affreschi. Tracce molto leggere, ma ancora visibili. Ricordando le parole di Franco, mi viene da pensare che in Italia le avrebbero giustamente messe in una teca.
Percorriamo tutto il cardo fino all’albero di pistacchio, nato sul ninfeo, e a questo punto iniziamo a sentire il caldo.

Il sole è stato tutto il giorno fortissimo e al sole non ci si sarebbe potuti stare. Noi siamo stati talmente ipnotizzati dalla città che solo ora iniziamo a sentirne le conseguenze. Anche bere l’acqua che ci siamo portati non dà alcun sollievo perché è calda come the appena fatto. Ad ogni sorsata ci sentiamo sempre più beduini.
All’altezza del teatro riprendiamo un pochino fiato perché la sua maestosità ci distrae, ma poi ripiombiamo nella stanchezza.
All’ombra troviamo sollievo e al passaggio dal Tesoro veniamo nuovamente storditi dalla sua bellezza, quindi come alla fine di Indiana Jones riprendiamo il Siq.

Peccato che invece dei titoli di coda ci aspettano altri due chilometri di salita, con gli ultimi 800 metri completamente al sole.
Arriviamo in hotel devastati alle 16:30, ora sì che possono partire i nostri titoli di coda e le luci si spengono.