venerdì 24 luglio 2015

Roba di un altro mondo


Finito il diario, non mi rimane che postare in anteprima anche il raccontino per il giornale di Avventure:


18 persone, non sono poche per un viaggio di Avventure. Confesso che quando ho visto questo numero mi sono un pochino spaventato. Ho subito pensato "chissà con chi farò il viaggio". In fondo però se parti con Avventure devi essere preparato a tutto, ma sai che troverai sempre persone fantastiche. Così è stato: tutti disponibili a dividersi i compiti, gli autisti a darsi il cambio alla guida, chi era in cucina litigarsi le cipolle da tagliare o a strapparsi dalle mani i piatti da lavare. Insomma ce la siamo cavata.

Il solo pensiero della nostra destinazione mi ha sempre fatto sognare ad occhi aperti. L'Islanda non rientra nella tipologia di viaggio che ho cercato di fare negli ultimi anni, è qualcosa di più selvaggio, più naturalistico, insomma, una meta che ha sempre solleticato le corde della mia sensibilità per la natura.

Dormiremo in ostelli, scuole e dove capiterà di trovare posto.
Guideremo per più di tremila chilometri su strade non sempre asfaltate.
Mangeremo quello che ci porteremo e che troveremo.
Però vedremo l'Islanda.
Poca storia umana, ma molta di quella geologica.
Uno dei luoghi meno popolati del pianeta che dovrebbe aver conservato il fascino quasi incontaminato del nord.
Altro che Milano.

Il primo impatto con i paesaggi islandesi dà l'impressione di essere finiti su un altro pianeta. Quasi fossimo atterrati su un cugino di Marte o della Luna, dove però il terreno è bruno, a volte nero, a volte grigio, il tutto sempre macchiato di verde, azzurro, giallo, mentre il cielo è blu, quando si vede.
Distese di rocce vulcaniche si stendono a perdita d'occhio per decine di chilometri e, quando si intravede la capitale da lontano, è facile distinguere le sue case, specie la cattedrale a forma di missile che sembra immensa, ma che in realtà non è più grande di una grossa chiesa.

Molto più verdi sono le zone verso l'interno, alle spalle di Reykjavik, verso il parco nazionale di Thingvellir. Anche se non siamo in Irlanda, appaiono dei pratoni tra una spianata di roccia vulcanica e l'altra. In certe zone si vedono delle montagnole a cupola spaccate da grandi crepe, un po' come quando sulla spiaggia si facevano lo formine con la sabbia bagnata, le si lasciava al sole e, quando si asciugavano, si spaccavano e crollavano.

Di alberi per ora neanche l'ombra, mentre invece non manca l'acqua. Sulle cime delle vicine montagne, montagnole e colline, il bianco della neve le ricopre e nei canaloni resiste quasi fino a valle. Cascatelle e ruscelli formano corsi d'acqua in quantità incredibile. Si ha quasi la sensazione che tutta l'acqua del mondo nasca da questa piccola terra.

Percezione che aumenta al cospetto dei Geyser, dove l'acqua bolle fino a esplodere in aria sotto forma di vapore caldissimo.
Ruscelli, ruscelletti, torrenti, cascate, cascatelle, fiumi impetuosi, laghetti, pozze, grandi laghi. Tutto qui è stato sporcato dal grigio o dal nero delle colate laviche. In alto domina il bianco della neve, in basso il giallo dei licheni e dell'erba, il verde dei muschi i colori dei fiori. Anche se rare scoviamo finalmente delle pianticelle e qualche timido alberello. Il blu del cielo e dell'acqua completa l'opera di madre natura, quasi come se stessimo osservano il mondo ai suoi albori.

Quando abbandoniamo la costa e finalmente entriamo nella vera Islanda, l'entroterra, abbiamo la possibilità di ammirare da vicino chilometri e chilometri quadrati di colate di lava solidificata.

Deserti di cenere coprono fuligginosamente qualunque cosa.
I ghiacciai che scendono dalle montagne sono così grandi e smisurati che si intravede solo l'inizio. La nostra vista perde la percezione della quantità di crepacci perché salgono così in alto che vengono nascosti dalle nuvole.
La prima sera che vediamo il sole di mezzanotte è talmente bello che sembra di guardare un film. Siamo in una casa sulla riva di un fiordo, a filo sul mare, e il sole sta cercando di nascondersi all'orizzonte dietro un basso promontorio, ma il suo riflesso lo fa riaffiorare sull'acqua, come se stesse per sorgere al di sotto di essa.

I chilometri che facciamo sono tanti, ma anche la varietà di paesaggi non smette di cambiare. Quando arriviamo ai primi fiordi li troviamo affascinanti, certo non siamo in Norvegia, ma hanno una loro cruda e irresistibile bellezza.
Di tanto in tanto li attraversiamo con delle tenebrose gallerie ad una sola corsia in cui, a seconda del senso di marcia, si deve sempre dare la precedenza in piazzole scavate ogni 200 o 300 metri. Le gallerie sono molto lunghe e quindi anche emozionanti da percorrere.
L'Islanda è ancora così selvaggia che nonostante abbia un’unica grande strada che la percorre ad anello, ci sono ancora zone, villaggi perfino, dove non ci si arriva se non con sentieri per cavalli o addirittura a piedi.



Essendo la nazione che produce più energia da fonti rinnovabili al mondo, non ha problemi di riscaldamento nonostante i suoi inverni polari. I vulcani non mancano, anzi abbondano. L'interno ne è pieno, come la zona del lago Myvatn, ovvero lago “moscerino”. Qui se il vento non soffia è quasi impossibile passeggiare tranquilli senza essere assaliti da migliaia di moscerini, innocui, ma estremamente fastidiosi.
Il lago è circondato da diversi vulcani, alcuni più attivi altri meno. C'è una centrale geotermica e sopra di essa campi di lava nera. Le montagne qui attorno fumano ancora perennemente, colorando di giallo, verde, arancione e rosso la terra, ma anche odorando l'aria di uova sode.




Lo specchio azzurro del lago è costellato di strane formazioni vulcaniche e soprattutto pseudo crateri verdi: questi non si sono formati per delle eruzioni, ma per l'impatto di oggetti scagliati dal vulcano a chilometri di distanza. Dei meteoriti fatti in casa.
Attorno al lago si possono percorrere intere giornate di trekking. Il nostro parte da Grotaja per poi salire in cima a vulcano Hverfjall, e scendere fino al lago dove strane e fantasiose formazioni vulcaniche spuntano da un bassa e limpida laguna.


Riattraversando i deserti di lava torniamo verso il mare, dove ci sono i fiordi orientali, i più freddi perché fuori della portata della corrente del golfo. Allo stesso tempo sono anche i più spettacolari e belli.
Le montagne qui sono le più alte d'Islanda e a causa delle nuvole quasi mai riusciamo a vederne la cima.
Durante il percorso ci imbattiamo in una incredibile colonia di pulcinelle di mare, strani ma bellissimi uccelli che sembrano un incrocio tra un pinguino ed un tucano. Uno spettacolo assolutamente da provare, nonostante il freddo polare.


Abbiamo anche la fortuna di incrociare la strada con qualche Renna selvatica, un pochino da lontano ma le vediamo molto bene.
Scendiamo verso sud dove ci aspetta il ghiaccio: la ramponata risulta bella, pochi brividi, ma comunque emozionante, soprattutto perché alla fine riconosco i luoghi dove hanno girato Interstellar e Batman.
Il vero spettacolo ghiacciato però sono gli Iceberg galleggianti in una laguna. Questi palazzi galleggianti, staccatisi dal ghiacciaio vengono a riempire la laguna in attesa che l'acqua salata del mare li sciolga quel tanto che permetta loro di uscire a navigare in mare aperto.
Ad aspettarci,  adagiata su un piccolo iceberg, come fosse sul lettino di una rilassante e calda beauty farm, troviamo una foca che sembra salutarci. Sulla barca che naviga tra gli iceberg rischiamo il congelamento, ma non ce ne accorgiamo tanto siamo distratti dallo spettacolo.
La strada dell'anello ci porta ancora più a Sud, sulle tracce di altri panorami incredibili: distese di sabbia nera, circondate da montagne verdi, vallate e canyon mozzafiato dove sporgendosi sul piccolo passaggio tra una cima e l'altra persino a me torna un pochino di vertigine.
In queste zone hanno girato Oblivion e Noah. Osservando tutto in prima persone devo dire che li preferisco ancora di più dal vivo.


E le cascate? Ci siamo dimenticati?
Come potremmo, sono ovunque! Le più famose sono spettacolari, ma poi si fa una strada sterrata e ne spunta una che non è segnalata da nessuna parte, e alcune sono davvero belle.
L'ultimo giorno, anche se pareva dovesse saltare, riusciamo a vedere anche il Landamannalauger, le montagne colorate.
Correndo sulle strade sterrate, attraverso chilometri di cenere nera e grigia arriviamo in questa valle di acqua con pozze calde colme di alghe coloratissime di un vivido verde e circondate da chiazze rosse, fiori gialli e bianchi.



Salendo il nevaio si arriva al sito delle solfatare dove i monti sono castani e diventano rossi, chiazzandosi di verde e giallo delle bocche fumanti.
Il viaggio finisce a Reykjavik, dove un tramonto di mezzanotte colora il cielo di blu e rosa, mentre il mare si tinge d'oro.
E' stato un viaggio bellissimo, indimenticabile per la quantità di spettacoli a cui abbiamo assistito, uno dietro l'altro, senza avere quasi il tempo di riprendere fiato per le meraviglie provate.

giovedì 23 luglio 2015

Reykjavik - Keflavik - Ultimo giorno

Il giorno della partenza è arrivato.
Giusto il tempo per andare a vedere da fuori la Blue lagoon e poi si parte.
La piscina termale costruita tra alte e nere colate laviche è molto bella e scenografica, ma per quel poco che sono riuscito a scorgere da dietro le vetrate del bar, è pur sempre una piscina e non vale il prezzo del biglietto base di ben 45€.
Le terme romane a Hierapolis e le vasche naturali di Pamukkale mi sembravano molto meglio. Non so, forse provando la Blue lagoon avrei cambiato idea, ma non c'è tempo di fare altro, ci attendono sulla rampa di lancio. Saliamo sullo shuttle che ci riporterà al nostro pianeta.
L'afa ci riabbraccerà caldamente, facendoci tornare immediatamente con i pensieri ai posti visitati e desiderando di non essere mai partiti.

Solo fra qualche giorno, quando avremo imparato a memoria ogni dettaglio delle 1500 fotografie scattate, la molla scatterà di nuovo e inizieremo a fantasticare sulla prossima meta, sempre sognando ad occhi aperti. Dove si va la prossima volta?


mercoledì 22 luglio 2015

Landmannalauger – Reykjavik - 14° giorno


Ci svegliamo presto dopo la strana giornata di ieri. Ancora un po' frastornati dal vento, andiamo a pagare la guest house. Con sorpresa veniamo a sapere che invece di andare alla blue lagoon si può andare sul Landmannalauger! Fermi tutti: cambiamo programma in corsa! Il direttore dell'Hotel infatti di dice che dovrebbero riaprire le strade per il Landmannalauger. Dovremo aspettare un'ora prima che la guida statale parta per aprire le strade, così ne approfitto per caricare tutte le foto del telefono su internet e bermi un caffè, per la cronaca davvero orrendo. Mentre aspetto riesco a sbirciare la mostruosa carta dei vini: un bicchiere di Shiraz 50€, un bicchiere di Chianti ben 75€. Se vivessi in Islanda sarei astemio.
Quando arriva il momento di partire, il monster truck che doveva aprire la pista sparisce in una nuvola di polvere e cenere. Non è un problema, anche da lontano riusciamo a seguire il serpentone di auto che sfrecciano nel deserto freddo.


Lo sterrato è davvero brutto e in un paio di occasioni attraversa dei nevai e qualche pozzanghera. Vedendolo così probabilmente anche il giorno prima si sarebbe potuto passare. Pazienza, ormai è andata.
Arriviamo a destinazione in una valle circondata da vette innevate ma che sul fondo è ricca dell'acqua dei guadi ed erba verde brillante. Fiori bianchi e gialli spuntano ovunque, ma sono i corsi d'acqua che risplendono di più per intensità: sono pieni di acqua tiepida e setose alghe verdi. I bordi delle pozze calde sono tinti di giallo e rosso. Volendo ci si potrebbe anche fare il bagno, ma il tempo è poco.
Ci arrampichiamo su un nevaio e camminiamo per quaranta minuti verso il fondo della valle, là, dove le montagne sono più colorate.


I nevai sono molti, anzi probabilmente attraversiamo anche un laghetto non ancora disciolto, poi saliamo fino alle solfatare, dove i monti continuano a fumare e colorare le rocce e la terra di giallo quasi fosforescente, di verde, di arancione e di rosso.
Proprio un bello spettacolo che meritava di essere visto.
Torniamo subito indietro perché come sempre ho fame. Il tocco è già passato da un pezzo e ci aspettano altri quaranta minuti di lotta sulla neve.
Con i piedi bagnati per la traversata, mangiamo l'ottimo hambugher di muscolo di grano. Accompagnati dal sottofondo musicale del vasto guado che ricopre quasi tutto il fondo valle, ci soffermiamo ad ammirare i colori e la pace per gli ultimi minuti prima di riprendere il viaggio.
Attraversando di corsa i deserti di cenere, li vediamo salutarci sollevando grigie nubi a festa fino a che non siamo di nuovo sull'asfalto. Il paesaggio cambia man mano che ci si avvicina alla città: sempre meno distese desolate e più abitazioni, allevamenti di cavalli, anche campi coltivati. Passiamo accanto ad un'altra centrale termoelettrica da cui serpentoni di tubi si dipanano in ogni direzione e poi ecco la città. È venerdì e si nota un leggero aumento di traffico. Certo che a Milano o Roma non sarebbe ancora nulla, però dopo aver passato due settimane su strade dove si vede una macchina ogni dieci/quindici minuti, inizio a notare la differenza.
Una volta preso possesso delle camere mangiamo e poi rubiamo un furgone per andare in centro a fare un po' di baldoria.
Solitamente in Islanda si viene con due soli obiettivi: visitare questo incredibile e selvaggio paese, oppure per ridursi alcolicamente ai minimi termini.
Il paese lo abbiamo visto in buona parte, ora proviamo a sperimentare il lato oscuro del 66esimo parallelo.
Parcheggiamo al laghetto vicino al porto e subito siamo sulla via dei locali.

Per me sembrano tutti uguali, così faccio scegliere agli altri. Finiamo in un american bar pieno zeppo e subito mi appare chiaro che non arriveremo alla sbornia, non abbiamo molto tempo a disposizione.
Il locale però è ben popolato, sia da splendide islandesi, le prime che vediamo, sia di ubriachi divertenti.
Quando stiamo per andarcene vedo un tipo in mezzo alla pista da ballo che batte le mani. È chiaramente ciucco. Senza troppa convinzione viene nella nostra direzione e io, pensando che debba passare oltre, mi sposto con la sedia. Questo invece mi mette una mano sulla spalla e mormora qualcosa. Ovviamente non ho ancora imparato l'islandese, figuriamoci l'islandese alcolizzato. Indosso la faccia di plastica e alzo il pollice per salutarlo.
Questa se ne va contento.
Pensando di averla scampata bella mi alzo e annuncio:
"Ostjurdur? Il conto!"
Quando stiamo per uscire un altro gigante ubriaco che stava ballando mi vede passare, mi indica e viene da me a dirmi qualcosa. Io replico il gesto di prima e scappo fuori sperando che nessuno mi segua.
L'unica spiegazione che mi son dato è avere una certa somiglianza con un personaggio islandese famoso, all'altra possibilità non voglio nemmeno pensarci...


Proviamo a cercare un altro locale ma è tardi e finiamo al porto, attirati come falene dalla luce ipnotizzante del tramonto di mezzanotte e mezza.
Reykjavik ci saluta così, con uno spettacolare gioco di colori, lasciandoci nel cuore una sensazione ed un ricordo unici.



Meteo & Guest house
Tempo splendido per tutta la giornata, degno dell'ultima trascorsa in esplorazione.
La guest house invece non è proprio il massimo.
Finiamo in una mansarda da dodici, calda e un po' sporca.
Anche la cucina non è il massimo dell'igiene.
È l'ultima sera e prevedendo il cenone finale Cassandra si è portata la bomba culinaria per festeggiare il ritorno a casa: mezzo chilo di spaghetti integrali.
Metto su un sugo veloce di pomodoro con curcuma, peperoncino e zenzero e ce la mangiamo in due! A Cassandra due etti, a me tre!
Confesso che non sono riuscito a finirla, mi mancavano solo due forchettate... In ogni caso nonostante la quantità era così buona che ho digerito tutto senza problemi.

martedì 21 luglio 2015

Hella – Lago Ljotipollur – Hrauneyar - 13° giorno


La sveglia nella casetta del bosco arriva presto, per fortuna. Il divano è troppo scomodo per due, almeno per me. Cassandra ha dormito grazie alla sua magia di tramutarsi in sasso appena si corica.

La destinazione di oggi è il Landmannalauger, le montagne colorate.

Partiamo presto per evitare inconvenienti, ma subito sbagliamo strada. Già da qui si poteva intuire che la giornata non prometteva bene, nonostante il sole abbagliante.

Dopo un conciliabolo tra i vari navigatori su quale sia la strada giusta da prendere, ogni cartina indica un numero diverso, sono costretto a riesumare il navigatore garmin di Lorenzo, che mi avevano fatto prepensionare troppo presto.

Ripartiamo e dopo nemmeno un ora di strada giungiamo all'hotel, che poi non è l'hotel. È solo l'ultimo distributore nel raggio di 250 chilometri. Ci indicano una strada e troviamo la struttura a soli due chilometri e mezzo nel nulla del deserto islandese.

Alla nuova reception però ci avvisano che, oltre a non avere le camere pronte, le camere non le avremo nemmeno quando saranno pronte. Non c'è la prenotazione, probabilmente abbiamo sbagliato hotel.

Torniamo al distributore a farci ridare indicazioni. Ci rimandano da dove siamo venuti. Riprendiamo i negoziati e con un po' di fatica viene trovata la prenotazione. I nostri alloggi sono in una struttura bassa e brutta infondo alla strada chiusa. La chiamano Hellhouse.

Oddio, non so cosa voglia dire Hellhouse in islandese, ma se il significato è simile all'inglese, casa dell'inferno, siamo fritti.

La casa è un agglomerato di minuscole stanze doppie con una grande cucina e servizi. Dentro non è poi così male, peccato che siamo condannati a passarci la giornata senza poter fare nulla.

La strada per il Landmannalaugher infatti è chiusa per impraticabilità. Gli unici mezzi che sono abilitati a transitare sulle piste sterrate in quella zona sono dei monster truck. Per rendere l'idea delle proporzioni vi basti sapere che una ruota di questi mostri meccanici è alta come la mia personcina, quindi più di Cassandra. I padroni dei mostri ci offrono un passaggio per la modica cifra di 200 €uri a persona.

Decliniamo gentilmente l'invito con il gesto dell'ombrello.

Demoralizzati dalla prospettiva, una parte del gruppo propone di andare subito a Reykjavik, ma poi scopriamo che ci perderemmo i soldi dell'alloggio. Rimaniamo decidendo di provare ad esplorare i dintorni del luogo.





Con la macchina ci rechiamo fin dove la strada è chiusa dalle catene, poi proseguiamo a piedi lungo un torrente, scoprendo una bella cascata nascosta e salendo sopra una diga. Il vento è fortissimo e toglie quel poco di calore che un sole accecante cerca di trasmetterci. In cielo non c'è una nuvola e l'azzurro si riflette nel verde dei laghi artificiali, creando un contrasto con il grigio del deserto di cenere e sassi.

Cerchiamo di resistere come dei mulini a vento, ma veniamo ben presto fiaccati dall'aria fredda e così torniamo alla Hellhouse, stasera si comincia presto a cucinare.

Meteo & Guest house

La HellHouse, dopo tutto non era malissimo. Tutti hanno avuto una camera doppia. Anche se piccola era comunque una comodità non da poco in un viaggio così.

A cena oltre al solito menu collaudato c'è stata l'occasione, che le cuoche aspettavano tanto: cucinare il cavolfiore.

Erano giorni che guardavamo con timore e sospetto quella testa di cavolo diavolo, convinti che avrebbe riempito la casa di strani odori. Alla fine ce lo siamo mangiato tutto, chi più e chi meno.

Il vero problema della HellHouse invece è stata la mancanza anche qui del WiFi. Per avere una connessione ci si doveva spostare di poche decine di metri, all'esterno. Con quel vento fortissimo e gelido l'unica soluzione è stata quella di prendere il furgone, pieno di gente e spostarlo quel tanto che bastava per potercisi collegare. Un'altra pietosa azione per poter ricevere il collegamento con internet.

lunedì 20 luglio 2015

Stafafell – Iceberg - Kirkjubæjarklaustur (deviaz. Kanyon Fjaðrárgljúfur) – Vik - Reynisfjall(spiaggia nera) – Skogarfoss – Hella - 12° giorno

Stamattina ce ne andiamo da Staffafel, ci aspetta la tappa più lunga del viaggio, un po' mi dispiace non poter dare il cambio ai piloti, più di quattrocento chilometri in un giorno, dopo tutti quelli che abbiamo già fatto non sono pochi.
Come prima cosa, visto che è di strada, ci fermiamo ancora alla laguna degli Iceberg per fare la foto di gruppo. Se possibile fa ancora più freddo del giorno prima.
Tra una cosa e l'altra si perde un po' di tempo e prende molto freddo. Fatta la foto ci mettiamo in viaggio e ci dirigiamo verso il canyon di Kirkjubæjarklaustur, per gli islandesi solo klauster.

Si tratta di un piccolo canyon fatto di una particolare roccia che il torrente attraversandolo ha scavato fino a renderlo una vera opera d'arte.
Un vero spettacolo della natura.
Ci sono strapiombi così belli che ti fan venire voglia di camminare sul bordo tra un salto e l'altro per arrivare ad un cocuzzolo isolato. Il passaggio però è talmente stretto che si deve mettere un piede alla volta e non puoi non guardare nel vuoto ai due lati. Nonostante avessi sconfitto il problema delle vertigini, qui mi torna un pochino. Meglio non rischiare troppo, se casco di qui non ne esco vivo.
Riprendiamo l'esplorazione del canyon che si rivela piccolo, ci basta mezz'ora.
La prossima meraviglia, sembra impossibile ma è ancora più spettacolare. Pochi chilometri più avanti si apre una valle colorata da cui parte uno sterrato in salita che porta in alto, dove le forme delle montagne sono così strane ma anche affascinanti.


Con il maestro dello sterrato alla guida, Atanasio classe 1937 o giù di lì, saliamo attraverso corridoi di lava su cui si affacciano strane bocche e affilate formazioni. In cima ci fermiamo ad ammirare il panorama che si apre per chilometri e chilometri: una vallata nera da cui spunta un imponente montagna verde. La spettrale pianura è irrigata da numerosi corsi d'acqua che sembrano serpenti in migrazione.
Riconosco subito il luogo, qui ci hanno girato Oblivion e Noah.

Scendiamo verso il fondo valle nero e seguendo la strada entriamo in una bellissima e stretta gola. Alla fine questa si apre in una grande radura verde circondata dalle stesse grandi forme spettrali. Nel mezzo c'è un campeggio con alcuni cottage. Non dormiremo qui, anche se nonostante il freddo sarebbe potuta essere una bella esperienza.
Scesi dal furgone io e Cassandra seguiamo Domenico che è partito all'esplorazione di un canyon più piccolo ma molto bello. Arriviamo fino alla fine dove troviamo una cascatella ed un laghetto molto bello.
Al ritorno ci rendiamo conto che tutto il gruppo stava aspettando noi due e iniziamo a correre per non farci lasciare a piedi.

Fuori della valle tenebrosa giungiamo a Vik, il paese più piovoso d'Islanda. La guida dice che se ci capitiamo con il sole siamo molto ma molto fortunati. Il sole c'è, ma anche un vento incredibilmente forte.
Facciamo ancora pochi chilometri e poi approdiamo alla spiaggia nera di Reynisfjall. Un'immensa distesa di sabbia nera e sassi levigati. Il mare è po' agitato e l'acqua cerca di lambire i nostri passi, ma noi ci teniamo vicini alla parete che prima di proseguire verso i faraglioni si apre in una spettacolare caverna di basalto modellato ad arte.

Spinti dal vento fortissimo, un parente molto stretto della bora, e dalla voglia della Patty di andare avanti, arriviamo a scalare un pezzettino di scogliera per poter ammirare meglio i sei faraglioni che spuntano dall'acqua.
Non è ancora finita, lungo la strada di questa infinita giornata ci aspetta ancora Skogarfoss, la cascata con il salto più alto d'Islanda. Vedendola mi rendo conto che è una delle immagini islandesi che ho sempre voluto vedere dal vivo. Sarà che di cascate ne ho già viste molte da quando sono qui, ma non mi impressiona più di tanto, è la cascata più normale che ho visto in questo viaggio, bella, ma non bellissima.
Il viaggio per Hella, la nostra destinazione finale è ancora consistente, così decidiamo di bypassare la prossima e ultima cascata segnata sul programma. In ogni caso non abbiamo perso nulla, non perché non ne valesse la pena: in realtà vediamo tutto lungo la strada e anche di più. Oltre all'ultima “famosa” ce ne sono tantissime altre senza nome, ma non per questo meno spettacolari.


Meteo & Guest house
dodicesimo giorno.
La giornata inizia molto fredda, il gelo degli iceberg ci contagia infiltrandosi fino alle ossa, ma poi riprendiamo a viaggiare e poco a poco il cielo si rischiara.
A volte il sole è nascosto dietro le nubi, a volte esce e si fa vedere in tutto il suo splendore.
Per la prima volta sperimentiamo il soggiorno in un cottage. Ce ne è uno grande dove stanno praticamente tutti, ed uno più piccolo con quattro posti letto dove andremo io, Cassandra, Domenico e Alberto.
Il nostro cottage è una casina di legno molto carina, stile casetta in riva al lago che si vedono nei film americani.
A cena Tamara si inventa delle specie di tortillas vegetariane che faranno da contorno alla solita zuppa, la solita insalatona ed un ottima pasta al pomodoro.
Dato che è il primo giorno in cui l'alloggio non ha il WiFi, dopo cena usciamo, come zombie, in cerca di una connessione libera. Senza meta ci muoviamo verso una rete che possa placare la nostra crisi d'astinenza. Io sono tra questi zombie. Una scena bizzarra: una decina di persone che vagano in un paesino deserto, tenendo alta una mano con un cellulare. Roba che non si vede tutti i giorni, in particolar modo quando uno di questi si mette ad urlare:
Ce l'ho!”
e poi tutti gli altri corrono verso di lui per accaparrarsi quei cinque minuti di ossigeno virtuale.
Pensavamo di venire in Islanda per fare un viaggio naturalistico, per liberarmi dalle catene del progresso, ma in realtà non mi sono liberato proprio di nulla.
Questa è la dura verità.