Giornata fredda, rispetto alle
precedenti almeno. Ci aspetta la crociera sul catamarano, che poi è una grande
barca da 150 passeggeri. Le nuvole oggi sono così basse che sembra ci sia la
nebbia. Speriamo che uscendo in mare si sollevi altrimenti mi sembrerà di
navigare sul laghetto della Decima a L'Oca di Trevi.
Ci mettiamo in coda per essere
imbarcati, con tutti gli altri passeggeri che rimangono abbastanza silenziosi,
una partenza in sordina per questa escursione marittima.
Partendo dal fondo del fiordo
di Valdez, ci fermiamo quasi subito per vedere un nido di aquila. La
proprietaria di casa è un po' schiva, come tutte le vip, e rimane nascosta.
Proseguiamo allora e troviamo alcune
simpatiche otarie che si stanno rilassando a pancia all’aria e mani congiunte.
Neanche fossero immerse in un’acqua glaciale, si lasciano trasportare dalla
corrente come se si stessero godendo il refrigerio che noi potremmo
sperimentare nuotando in una piscina estiva... invece siamo in Alaska e si gela
anche qui sul ponte della nave.
Il prossimo avvistamento sono
dei delfini, ma erano troppo lontani per essere fotografati. Usciti dal fiordo,
verde e bellissimo, ci dirigiamo al largo. Non passa molto tempo prima che
venga avvistata una balena! Soffia laggiù! Due o tre respiri con la schiena
ricurva che spunta e si immerge e poi ci mostra la coda, segnale che sta per
scomparire. Punto il cronometro a quattro minuti e aspetto. È il tempo medio
che di solito impiegano per riemergere e prendere fiato. In realtà i minuti
potrebbero essere anche 5, ma così io mi preparo con la macchina fotografica.
La balena riappare, ma
ovviamente non nello stesso punto, costringendoci all'inseguimento per tre
volte. Tra un pedinamento e l'altro passiamo davanti alla spiaggia dei leoni
marini che si rilassano prendendo il sole.
La
maggior parte sono ammassati vicino alla riva, altri invece si sono arrampicati
un po' troppo in alto. Temo che quando vorranno scendere non sarà così
indolore...
Quando la balena riemerge
riprendiamo l'inseguimento finché non è ora di andare verso il ghiacciaio
Columbia.
Man mano
che ci addentriamo nell'altro fiordo il catamarano rallenta per schivare i
pezzi di ghiaccio che, da pochi e distanti, sono sempre più numerosi e grandi.
Giusto per evitare di fare un seguito al film “Titanic”, che poi i seguiti non
vengono mai bene.
Resisto sul ponte da solo e
quasi mi sento come Di Caprio quando si è congelato. Ma io non cedo e rimango
piantato per terra a godermi il ghiaccio che crepita come se stesse bollendo e
rompendo per l'alta temperatura. Solo ora mi accorgo che oltre a me sul ponte
sono rimasti i ragazzi della nave, che indossano una semplice polo e un
giubbino antivento.
Io invece sono coperto il più possibile e nonostante non
dovrebbe passare un filo d'aria, mi sto gelando.
Avanziamo finché il ghiaccio
lo permette, quindi fermiamo i motori ed inizia la mattanza fotografica. Faccio
appena in tempo a fare qualche scatto in solitaria quando il mio bonus scade e
vengo circondato da un gruppo di coreani che con una serie infinita di selfie,
si prende la maggior parte del palcoscenico, e delle imprecazioni.
Semple li
moltacci lolo.
Dal 1998 il ghiacciaio si è
ridotto tantissimo e, se prima ricopriva parte del fiordo che abbiamo navigato,
ora si è diviso in due e lo strato vero e proprio inizia quasi dalla terra
ferma.
Anche se siamo lontani, come
già visto al St. Elias, quando il ghiaccio non è sporcato dalle rocce nere
delle montagne che ha sgretolato, appare bianco con un cuore azzurro che fa
pensare alla sua purezza incontaminata. In realtà è un effetto ottico: il
ghiaccio, così compresso e compattato, assorbe tutti i colori tranne l’azzurro.
A dimostrazione di questa tesi
i ragazzi del catamarano hanno appena pescato un iceberg da una decina di chili
e lo passano tra i tavoli. Essendo pulito da qualunque residuo appare
completamente trasparente.
Durante il ritorno scorgiamo,
lontanissime su una parete, delle capre di Dall. Nemmeno con lo zoom a 80x si
vedono benissimo, ma i ragazzi della barca ci assicurano che sono loro.
Ci imbattiamo poi in un altro
branco di otarie che riposano su dei piccoli iceberg. Quando ci avviciniamo le
onde fanno sobbalzare il ghiaccio che inizia ad ondeggiare.
Inevitabilmente le
otarie si voltano verso di noi per vedere chi è arrivato a rompere.... il
ghiaccio.
Sarà che il ponte è infestato
dai coreani, ma gli si legge chiaro in faccia che stanno dicendo: Eccallà!
Altli lompi cojoni!
Quindi si tuffano.
All’uscita del fiordo
cerchiamo le orche assassine, ma vediamo solo, si fa per dire, un'altra balena.
Delle Killer whale neanche
l’ombra. La nostra delusione è tangibile, anche perché la vera preda, rara da
fotografare, era proprio l’orca, difficile quasi quanto il leopardo in Africa.
Ci consoliamo con le divertenti storie di Alessandro sui salbanei: dei piccoli
folletti veneti e dispettosi che ti nascondono le tue cose sotto gli occhi e
non te le fanno più trovare.
Era dall'inizio del viaggio
infatti che sentivamo Alessandro imprecare contro questi salbanei quando
cercava qualcosa.
Questa mattina per esempio,
quando si è svegliato è andato in bagno, appena uscito non ha più trovato le
calze.
- O porca miseria i salbanei!
I ma frega’ i calzeti!
Alessandro si è messo a
cercarli per tutta la stanza mettendola a soqquadro. Nel frattempo Alberto ha
iniziato a guardarlo con crescente terrore. Dopo l’ennesimo ribaltamento di
cuscini, zaini e piumone, nonché imprecazioni ai salbanei, Alberto finalmente
capisce cosa è successo:
- Ma stai cercando dei
calzini?
Alessandro lo fissa con quello
sguardo deciso, come se volesse chiedere: “Mi prendi in giro?”
Alberto allora va a prendere
il sacchetto dei suoi panni sporchi... Dove ha infilato i calzini puliti di
Alessandro, pensando che fossero i suoi.
Altro che salbanei: ora ci
sono anche i sardanei!
Solo allora Alberto, come
richiamato dal racconto di Alessandro, ricompare finalmente dopo essere stato
per tutto il viaggio all'aperto sul ponte. Che tempra.
Rientrati in porto diciamo
che, nonostante le orche, mi posso ritenere più che soddisfatto per quello che
ho visto, poteva andare molto peggio, potevano piovere salbanei.
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