lunedì 22 luglio 2019

Giorno 5 - Denali - Copper center


Salutiamo il Denali e partiamo per un lungo viaggio, in gran parte sterrato e finalmente lasciamo l'asfissiante camera, già piccola per quattro persone, figuriamoci per cinque.

Mentre avanziamo nel verde, sotto la pioggia che a tratti scroscia e frusta il parabrezza, mi rendo conto che questo viaggio ha un che di Islanda: i silenzi, le temperature, le solitudini, i paesaggi. Gli spazi invece, nonostante siano molto più grandi, al contrario dell’isola vulcanica non ti fanno sentire solo. Qui da un momento all'altro può spuntare qualcosa di selvaggio che ti attraversa la strada, come in un safari, ma fresco.

Ci muoviamo lungo la famosa Denali Highway, una lunghissima strada sterrata che ci porterà a destinazione. Abbagliati dai mille laghi su cui ora splende un freddo sole, gli specchi d’acqua purissima e i paesaggi smeraldini si fondono con il bianco delle cime innevate che spariscono dietro le nuvole e sublimano nell’azzurro del cielo.

Pur facendo moltissimi chilometri, è un viaggio decisamente rilassante rispetto a quelli fatti in precedenza, ma non è meno bello eh, anzi.

Sorrido pensando che l’anno scorso avevo quasi deciso di lasciar perdere questa meta... 

Meno male che non mi sono ascoltato e ho fatto di testa mia! Una ne pensa e cento ne fa….

I chilometri si accumulano uno dopo l’altro, ma solo ora mi accorgo che qui non ci sono i lampioni lungo le strade. Ovviamente ora non servono perché anche di notte è sempre giorno, ma in inverno come fanno? Probabilmente questa strada sarà chiusa per la neve, anzi, sicuramente. Ma nelle città? Non sarà mica che questi autotreni travestiti da fuoristrada che usano tutti anche solo per andare dal barbiere, li ripongono nel garage e via di slitta coi cani?

Mi viene il sospetto di aver sbagliato stagione, forse la vera avventura sarebbe stata venire in Alaska in inverno. Purtroppo non mi darebbero le ferie, e poi devo correre la maratona, e sicuramente avrò il gomito che fa contatto col piede, un terremoto, una tremenda inondazione, l'invasione delle cavallette, le sette piaghe d'Egitto, ecc… Che sfortuna, è un vero peccato.

Dopo mezza giornata di viaggio spunta nel verde un lunghissimo serpente argentato, ma non è un drago, qui non siamo nella Terra di Mezzo. Si tratta dell'oleodotto che pesca petrolio dal più grande giacimento del nord America e corre per tutto il paese fino a Valdez, dove viene trasportato sulle petroliere.

Mi domando se sia per questo che ci sono così tanti alberi malati? In realtà no. I veri responsabili sono degli insetti killer che stanno sterminando le conifere dell'Alaska e del Canada. Sfortunatamente però il vero colpevole è il fantomatico riscaldamento globale, quello di cui parla sempre Greta. Anche qui infatti sta facendo danni perché essendosi alzate le temperature gli inverni, che arrivavano anche a 40 sottozero, ormai non sono più così rigidi e non contrastano la crescita esponenziale di questi divoratori di legno.
Tornando a parlare dell'oleodotto però va detto che per risarcire gli alaschiani del prelievo delle risorse naturali, il governo USA paga un sussidio annuale che quest'anno dovrebbe aggirarsi attorno ai 2000 dollari, a testa. Per avere questo "reddito" basta essere residenti in Alaska ed essere vivi. Quindi stare tutto il giorno sul divano o meno non fa differenza, anche perché in inverno…
Trascorriamo la giornata in tranquillità, viaggiando in auto, ovviamente senza correre, in USA i limiti vanno rispettati altrimenti si rischia veramente la notte in gatta buia come si vede in tv. 
Un giorno di relax ci sta tutto, ma ancora non sappiamo cosa ci aspetta al nostro arrivo a Copper Center.
Prima tappa il visitor center, dove facciamo fare una telefonata alla simpatica signora che lo gestisce. In pratica le facciamo contattare le guide per verificare che ci sia ancora posto per l'escursione di domani. Il posto c'è ma vogliono anche il pagamento anticipato con carta di credito. Certo, come no. Visto come cambia il clima in Alaska, praticamente ogni due ore circa, non ci sentiamo di fare un passo del genere, quindi insistiamo con la signora che interceda per noi sul farci pagare in contanti direttamente l'indomani.
La signora è brava e non ci mette molto a convincere le guide.
Ora non ci rimane che andare a cercare la sistemazione per la notte, circa venti miglia più avanti. Siamo sempre a Copper center però.
Lungo le strade ci sono sempre ciclabili, anche le case sembrano poche e fatiscenti, inoltre sono tutte molto distanti tra loro. Hai voglia ad andare a chiedere il sale al vicino.
Arriviamo all’Uncle’s Nicolai Inn dopo le 15:30 ma non troviamo nessuno.
C’è un bar su due piani ancora chiuso, anche se la musica è già accesa e un cartello dice che il check-in si deve effettuare al bar. 
Fuori c’è un grande spiazzo e alcune casette di legno.
Dello zio Nicolai però nessuna traccia.
Io e Pier cerchiamo di ispezionare il luogo ma non troviamo anima viva, solo cespugli rotolanti. Sembra di essere in un film horror di serie b dove già dalle prime inquadrature si capisce che degli ignari turisti non ne sopravviverà neanche uno.
C'è perfino un negozio, chiuso da chissà quanto tempo, con degli inquietanti manichini esposti in vetrina. Possibile che fossero gli ultimi turisti passati di qua?
Ci allontaniamo cercando di non far rumore che possa attirare l’attenzione di qualche serial killer e proviamo a cercare nei pressi del bar finché non arriviamo sul retro passando dal cortile, dove ci sono i trenini. L’esterno del giardino infatti è delimitato da rotaie sospese che, tra ponti e soprelevate, finiscono in una casetta piena di un enorme plastico. Da lì i binari continuano per entrare direttamente nel bar.
Varchiamo il retro del locale, è quasi buio perché le uniche luci provengono dalle insegne luminose delle birre. Ci mettiamo un po' ad abituare la vista ma poi vediamo che c’è anche un biliardo. Il Pier si disegna uno strano sorriso incredulo sul volto e commenta la situazione con: "Che posto assurdo".
Girato l’angolo troviamo la porta di prima aperta, ma ancora nessuna traccia dello zio.
Solo una volta usciti sul parcheggio e rientrati ancora nel bar scopriamo che il proprietario è comparso dal nulla. Il signor Ronald Simpson ci accoglie con una stretta di mano e ci consegna le chiavi della stanza, o meglio della casa.
Prima non l'avevamo notata ma in fondo al cortile, dietro il negozio di turisti impagliati, c'è una casa di legno.
Il Pier entra per primo ad ispezionarla e ad ogni stanza commenta come prima con: "Che posto assurdo".
Effettivamente noi siamo in cinque e avremo a disposizione un sacco di spazio: un'anticamera grande come la stanza del Denali dove ci sono un divano e un vecchio jukebox rotto, una grande cucina, un bagno grande, un salotto con divano angolare e un letto matrimoniale, una camera singola, una camera con due letti singoli e perfino due camere matrimoniali.
Rispetto alla microcamera del Denali questa casetta di legno che ricorda tanto l'ambientazione di una serie tv americana degli anni settanta/ottanta, è una reggia.
Entusiasti ci sparpagliamo per la casa per prendere possesso delle camere. Finalmente abbiamo un pochino di libertà d’azione e Alberto ne approfitta per fare il bucato. Me ne accorgo quando sento come un rumore di pioggia provenire dall’anticamera. Guardo fuori ma in cielo non ci sono nuvole, quindi mi avvicino e vedo che ha steso il suo bucato ad asciugare, o meglio a sgocciolare sulla moquette. Sarà il primo di tanti bucati a mano che mi farà sorgere un dubbio: ma in tutti i bagagli che ha portato, quanti vestiti e quanto cibo c’erano?
A tal proposito all'ora di cena inizia ad intaccare le sue riserve ed estrae una bottiglia di Cannonau, il pane guttiau, un caprino che si taglia con l'ascia e si mette a cucinare malloreddus per tutti.
Che posto assurdo.

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