Salutiamo il Denali e partiamo
per un lungo viaggio, in gran parte sterrato e finalmente lasciamo
l'asfissiante camera, già piccola per quattro persone, figuriamoci per cinque.
Mentre avanziamo nel verde,
sotto la pioggia che a tratti scroscia e frusta il parabrezza, mi rendo conto
che questo viaggio ha un che di Islanda: i silenzi, le temperature, le
solitudini, i paesaggi. Gli spazi invece, nonostante siano molto più grandi, al
contrario dell’isola vulcanica non ti fanno sentire solo. Qui da un momento
all'altro può spuntare qualcosa di selvaggio che ti attraversa la strada, come
in un safari, ma fresco.
Ci muoviamo lungo la famosa
Denali Highway, una lunghissima strada sterrata che ci porterà a destinazione.
Abbagliati dai mille laghi su cui ora splende un freddo sole, gli specchi
d’acqua purissima e i paesaggi smeraldini si fondono con il bianco delle cime
innevate che spariscono dietro le nuvole e sublimano nell’azzurro del cielo.
Pur facendo moltissimi
chilometri, è un viaggio decisamente rilassante rispetto a quelli fatti in
precedenza, ma non è meno bello eh, anzi.
Sorrido pensando che l’anno
scorso avevo quasi deciso di lasciar perdere questa meta...
Meno male che non mi sono
ascoltato e ho fatto di testa mia! Una ne pensa e cento ne fa….
I chilometri si accumulano uno
dopo l’altro, ma solo ora mi accorgo che qui non ci sono i lampioni lungo le
strade. Ovviamente ora non servono perché anche di notte è sempre giorno, ma in
inverno come fanno? Probabilmente questa strada sarà chiusa per la neve, anzi,
sicuramente. Ma nelle città? Non sarà mica che questi autotreni travestiti da
fuoristrada che usano tutti anche solo per andare dal barbiere, li ripongono
nel garage e via di slitta coi cani?
Mi viene il sospetto di aver
sbagliato stagione, forse la vera avventura sarebbe stata venire in Alaska in
inverno. Purtroppo non mi darebbero le ferie, e poi devo correre la maratona, e
sicuramente avrò il gomito che fa contatto col piede, un terremoto, una
tremenda inondazione, l'invasione delle cavallette, le sette piaghe d'Egitto,
ecc… Che sfortuna, è un vero peccato.
Dopo mezza giornata di viaggio
spunta nel verde un lunghissimo serpente argentato, ma non è un drago, qui non
siamo nella Terra di Mezzo. Si tratta dell'oleodotto che pesca petrolio dal più
grande giacimento del nord America e corre per tutto il paese fino a Valdez,
dove viene trasportato sulle petroliere.
Mi domando se sia per questo
che ci sono così tanti alberi malati? In realtà no. I veri responsabili sono
degli insetti killer che stanno sterminando le conifere dell'Alaska e del
Canada. Sfortunatamente però il vero colpevole è il fantomatico riscaldamento
globale, quello di cui parla sempre Greta. Anche qui infatti sta facendo danni
perché essendosi alzate le temperature gli inverni, che arrivavano anche a 40 sottozero, ormai non sono più così rigidi e non contrastano la crescita esponenziale di questi divoratori di legno.
Tornando a parlare dell'oleodotto però va detto che per risarcire gli alaschiani del prelievo delle risorse naturali, il governo USA paga un sussidio annuale che quest'anno dovrebbe aggirarsi attorno ai 2000 dollari, a testa. Per avere questo "reddito" basta essere residenti in Alaska ed essere vivi. Quindi stare tutto il giorno sul divano o meno non fa differenza, anche perché in inverno…
Tornando a parlare dell'oleodotto però va detto che per risarcire gli alaschiani del prelievo delle risorse naturali, il governo USA paga un sussidio annuale che quest'anno dovrebbe aggirarsi attorno ai 2000 dollari, a testa. Per avere questo "reddito" basta essere residenti in Alaska ed essere vivi. Quindi stare tutto il giorno sul divano o meno non fa differenza, anche perché in inverno…
Trascorriamo la giornata in
tranquillità, viaggiando in auto, ovviamente senza correre, in USA i limiti
vanno rispettati altrimenti si rischia veramente la notte in gatta buia come si
vede in tv.
Un giorno di relax ci sta
tutto, ma ancora non sappiamo cosa ci aspetta al nostro arrivo a Copper Center.
Prima tappa il visitor center,
dove facciamo fare una telefonata alla simpatica signora che lo gestisce. In
pratica le facciamo contattare le guide per verificare che ci sia ancora posto
per l'escursione di domani. Il posto c'è ma vogliono anche il pagamento
anticipato con carta di credito. Certo, come no. Visto come cambia il clima in
Alaska, praticamente ogni due ore circa, non ci sentiamo di fare un passo del
genere, quindi insistiamo con la signora che interceda per noi sul farci pagare
in contanti direttamente l'indomani.
La signora è brava e non ci
mette molto a convincere le guide.
Ora non ci rimane che andare a
cercare la sistemazione per la notte, circa venti miglia più avanti. Siamo
sempre a Copper center però.
Lungo le strade ci sono sempre
ciclabili, anche le case sembrano poche e fatiscenti, inoltre sono tutte molto
distanti tra loro. Hai voglia ad andare a chiedere il sale al vicino.
C’è un bar su due piani ancora
chiuso, anche se la musica è già accesa e un cartello dice che il check-in si
deve effettuare al bar.
Fuori c’è un grande spiazzo e
alcune casette di legno.
Dello zio Nicolai però nessuna
traccia.
Io e Pier cerchiamo di
ispezionare il luogo ma non troviamo anima viva, solo cespugli rotolanti.
Sembra di essere in un film horror di serie b dove già dalle prime inquadrature
si capisce che degli ignari turisti non ne sopravviverà neanche uno.
C'è perfino un negozio, chiuso
da chissà quanto tempo, con degli inquietanti manichini esposti in vetrina.
Possibile che fossero gli ultimi turisti passati di qua?
Ci allontaniamo cercando di
non far rumore che possa attirare l’attenzione di qualche serial killer e
proviamo a cercare nei pressi del bar finché non arriviamo sul retro passando
dal cortile, dove ci sono i trenini. L’esterno del giardino infatti è
delimitato da rotaie sospese che, tra ponti e soprelevate, finiscono in una
casetta piena di un enorme plastico. Da lì i binari continuano per entrare
direttamente nel bar.
Varchiamo il retro del locale,
è quasi buio perché le uniche luci provengono dalle insegne luminose delle
birre. Ci mettiamo un po' ad abituare la vista ma poi vediamo che c’è anche un
biliardo. Il Pier si disegna uno strano sorriso incredulo sul volto e commenta
la situazione con: "Che posto assurdo".
Girato l’angolo troviamo la
porta di prima aperta, ma ancora nessuna traccia dello zio.
Solo una volta usciti sul
parcheggio e rientrati ancora nel bar scopriamo che il proprietario è comparso
dal nulla. Il signor Ronald Simpson ci accoglie con una stretta di mano e ci
consegna le chiavi della stanza, o meglio della casa.
Prima non l'avevamo notata ma
in fondo al cortile, dietro il negozio di turisti impagliati, c'è una casa di
legno.
Il Pier entra per primo ad
ispezionarla e ad ogni stanza commenta come prima con: "Che posto
assurdo".
Effettivamente noi siamo in
cinque e avremo a disposizione un sacco di spazio: un'anticamera grande come la
stanza del Denali dove ci sono un divano e un vecchio jukebox rotto, una grande
cucina, un bagno grande, un salotto con divano angolare e un letto
matrimoniale, una camera singola, una camera con due letti singoli e perfino
due camere matrimoniali.
Rispetto alla microcamera del
Denali questa casetta di legno che ricorda tanto l'ambientazione di una serie
tv americana degli anni settanta/ottanta, è una reggia.
Entusiasti ci sparpagliamo per
la casa per prendere possesso delle camere. Finalmente abbiamo un pochino di
libertà d’azione e Alberto ne approfitta per fare il bucato. Me ne accorgo
quando sento come un rumore di pioggia provenire dall’anticamera. Guardo fuori
ma in cielo non ci sono nuvole, quindi mi avvicino e vedo che ha steso il suo
bucato ad asciugare, o meglio a sgocciolare sulla moquette. Sarà il primo di
tanti bucati a mano che mi farà sorgere un dubbio: ma in tutti i bagagli che ha
portato, quanti vestiti e quanto cibo c’erano?
A tal proposito all'ora di
cena inizia ad intaccare le sue riserve ed estrae una bottiglia di Cannonau, il
pane guttiau, un caprino che si taglia con l'ascia e si mette a cucinare
malloreddus per tutti.
Che posto assurdo.
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