mercoledì 31 luglio 2019

Giorno 12 - Seward – Homer


Oggi salutiamo Seward e la penisola del Kenai. Io e Cassandra speriamo di lasciarci alle spalle la delusione della crociera di ieri, anche se sappiamo che molto probabilmente per farlo ci costerà parecchio. Del resto il discorso è sempre quello, ma quando ci torneremo in Alaska?

Comunque partiamo sotto un cielo cupo e rifacciamo una parte di strada percorsa un paio di giorni fa, la Seward Highway, che collega Seward con Anchorage. Poco dopo il Passo dell’alce, svoltiamo per la Sterling Highway proprio in direzione Homer, la nostra prossima tappa. Rimaniamo per un'oretta nell'entroterra per iniziare ad affacciarci poi sul golfo atlantico da cui si vedono in lontananza le montagne innevate. La prima che scorgiamo svettare non poteva essere altri che il McKinley, o Denali, con i suoi 6190 metri di altezza, che nonostante un pochino di foschia sembra proprio sgombero dalle nuvole.
Siamo fortunati a vederlo così, rientriamo in quel 30% delle persone che lo hanno visto senza occlusioni climatiche, come ci era capitato il primo giorno quando avevamo tentato inutilmente di atterrare su uno dei suoi ghiacciai.

Dopo qualche foto ci rimettiamo in auto e nel frattempo esce il sole. Sembra di essere in un altro stato. Anche la temperatura è lievemente più alta, ma i panorami sono sempre fantastici e, in questa zona, ricca di vulcani, in alcuni casi ancora attivi.

Giunti con calma ad Homer, nel primissimo pomeriggio, troviamo subito il nostro alloggio: una cabin. L'abbiamo trovato su Airbnb, come quello di Valdez, ma stavolta c'è veramente tutto quello di cui avevamo bisogno. 
Una cabin in pratica non è altro che una casa di legno, quasi un ex capanno degli attrezzi riadattato per alloggiarci in estate. In Italia cose del genere le ho viste solo in montagna, praticamente dei rifugi. 
Qui però c'è una bella cucina, due camere, una grande sala con divano letto e un bagno. Fuori ci sarebbe pure il barbecue ed un tavolo per mangiare all'aperto. Va bene che siamo in estate, ma è sempre l'Alaska, per cui non li useremo mai.
Anche qui per entrare basta inserire il codice d'ingresso che la padrona di casa ci aveva mandato ieri. Molto comodo. Sistemati i bagagli andiamo a vedere la città.

Decisamente più grande di Seward, è anche più turistica. Il cuore vero e proprio, per quanto riguarda i viaggiatori come noi, è lo Spit: una lingua di terra artificiale che si stende all'interno della baia e sul cui termine c'è il quartiere commerciale ed il porticciolo.

Andiamo subito a vederlo e, scansando i tanti ristoranti di pesce, ci perdiamo nei negozietti di souvenir, almeno Alberto e Alessandro.

Impossibile non notare che tra la gente che circola ci sono degli strani personaggi. Sono vestiti in modo bizzarro: a metà strada tra un mormone, un quacchero e uno zingaro. C'è perfino un tizio che sembra il direttore di un circo che cerca di fare strani giochi di prestigio a dei bambini.

Ci sarà qualche comunità mormonica? Possibile, anche se non avrei mai pensato di vederli in Alaska.

Quando poi mi imbatto in un negozietto alternativo, stile hippy, dove campeggiano i cartelli: vestiti fatti a mano dai nomadi locali, allora capisco. Non sono proprio zingari come intendiamo noi, ma sono nomadi nord americani. Sicuramente un'altra cosa rispetto a quelli che si possono trovare dalle nostre parti.

Io e Cassandra però non ci facciamo distrarre troppo, siamo concentrati e decisi a cancellare il brutto ricordo di ieri e, con l'aiuto di Pier, iniziamo chiedere informazioni per andare a vedere gli orsi.

Le offerte sono tutte carissime e molto simili. Se si vuole fare la versione breve il costo si aggira sui 500 dollari, la versione lunga invece sui 700 o poco meno. Dopo aver sentito qualche proposta ci rechiamo invece alla Bald Mountain, a cui Avventure si affida spesso. Sono i più cari, circa 725 dollari a testa, ma oltre al volo in idrovolante di un'ora, con loro l'escursione dovrebbe durare altre cinque/sei ore, quindi si riprende l'aereo per un'altra ora di ritorno. Le altre proposte prevedevano al massimo un appostamento di tre ore e la zona di atterraggio non era la stessa, ovvero il Katmai national park. Inoltre non ci hanno convinto sul successo della spedizione di vedere gli orsi.

Con Bald Mountain invece è garantito, nel senso che non ci ridanno i soldi se non li vediamo, ma hanno assicurato che dove atterreremo sarà praticamente impossibile non vedere degli orsi.

Ci facciamo un altro giro per i negozi e intanto che ci pensiamo Alberto si prenota per l'indomani una gita in Kajak. Poteva essere divertente, ma magari un'altra volta. Effettivamente questo tipo di escursione si potrebbe fare anche in altri viaggi.

Torniamo allora dalla signora della Bald Mountain e troviamo una coppia asiatica che sta prenotando.

Li moltacci stlacci!

Non è che ci hanno fregato gli ultimi due posti in aereo????

Attendiamo pazientemente lanciando improperi e maledizioni di ogni sorta e alla fine pagano e se ne vanno.

Un po' scoraggiati entriamo anche noi per scoprire che gli ultimi due posti rimasti sono proprio i nostri.

Paghiamo 700 dollari, con un piccolo sconto perché usiamo i contanti, e ce ne andiamo, felici di esserci fatti alleggerire così tanto in un sol colpo.

Speriamo di esserlo anche domani, altrimenti il rientro a casa sarà veramente quello di una coppia di viaggiatori delusissimi.


martedì 30 luglio 2019

Giorno 11 - Seward - Crociera nel fiordo Kenaj


Questa mattina la crociera parte tardi, verso mezzogiorno, per cui ce la prendiamo molto comoda.

Ci facciamo accompagnare da Pier e compagni in centro, dove Alessandro e Alberto non perdono occasione per fare altro shopping. Io e Cassandra gironzoliamo un pochino in qualche negozio dove acquisto solo io. Cassandra non è in forma. Temo che si stia trattenendo per quando torneremo a casa e inizieranno i saldi estivi, anzi ne ho quasi la certezza.

Saliamo a bordo e notiamo subito che l'organizzazione sembra ottima, sicuramente migliore della crociera precedente di Valdez. Al piano di sotto ci sono i passeggeri che hanno prenotato il pranzo, difatti c'è anche un ottimo self service, per chi apprezza.

Al piano di sopra, dove ci accomodiamo in posti assegnati, ci sono i tavoli per coloro che si sono portati la schiscèta da casa.

Il cielo è plumbeo, ma anche a Valdez era così.

Partiamo in orario e ci avviciniamo subito alla costa opposta del fiordo. Qui iniziamo a vedere capre di montagna ed un’aquila, nonché un esempio di foresta delle piogge.

Poi il tempo peggiora con un po' di pioggia ma continuiamo a navigare sotto costa per diversi minuti finché non avvistiamo qualche puffin e, in lontananza, i leoni marini. Non sono molti come quelli di Valdez e siamo pure più lontani, ma questo è solo l'inizio! Ora usciamo al largo e chissà cosa ci aspetta.

La navigazione però continua lenta e rasentando i bordi del fiordo. Quando arriviamo quasi al mare aperto passiamo da un bunker della seconda guerra mondiale.

Nel frattempo piove più forte e il mare si è leggermente ingrossato. La nave accelera. Ci siamo! Il pilota deve aver visto qualcosa e ci si sta dirigendo!

Mentre la nave accelera sempre di più rimanere all'aperto non è più praticabile. Decidiamo di rientrare per poi uscire quando rallenterà.

Purtroppo arriviamo dall'altra parte del fiordo senza mai rallentare.

Era una trappola, come direbbe l'ammiraglio Ackbar ne "Il ritorno dello Jedi".

Il pilota non aveva avvistato assolutamente nulla ed ha accelerato solo per evitare di rimanere in mare aperto troppo a lungo.

Sull'altra sponda la storia si ripete: paesaggi, pioggia e nulla più.

Intanto sulla nave la situazione raggiunge proporzioni grottesche. Qualcuno, che ha mangiato troppo alla mensa, inizia a sentirsi male. Paradossalmente lo speaker della nave annuncia che per compensare il mancato avvistamento di qualunque cosa di apprezzabile, il dolce viene offerto ad un dollaro per tutto quello che uno può mangiare.

Non mi compreranno con dello squallido dolce americano!

Al piano di sopra però non tutti sono presi dal mio spirito combattivo e molti corrono giù a fare il pieno, gli altri invece si stanno addormentando dalla noia.

La delusione per questa crociera inutile è tanta e ad un certo punto mi provoca delle allucinazioni. Quando passiamo alla base di un grande ghiacciaio, sicuramente molto bello, ma sono troppo irritato per apprezzarne la bellezza naturalistica, vedo una balena soffiare. Inizio ad urlare "Laggiù! Vicino alla costa!"

Con la mia macchina fotografica cerco di ingrandire l'immagine e anche se è lontanissima sembra proprio la schiena di una balena che appare e scompare.

Nessuno però l'ha notata così cerco di attirare l'attenzione, finché lo dico alla ragazza ranger che ci accompagna. Questa neanche ci prova a verificarlo col suo binocolo. Mi guarda con infinita compassione e mi dice: “Sì, lo so, è una roccia...”

La delusione prende il sopravvento ed io smetto di combattere e mi unisco agli altri che si stanno per addormentare al piano di sopra.

Solo al rientro in porto vediamo una otaria che si gode il bagno rinfrescante. 

Ci vede e sembra che stia ridendo di noi. "Anvedi sti citrulli".

Scendiamo dalla nave un po' arrabbiati. La sensazione che già prima di partire sapessero che non avremmo visto nulla diventa sempre più forte.

Poi camminando, sbolliamo la negatività. Siamo in vacanza, non ci va di farcela rovinare così. Del resto ci era già capitato in Botswana di fare un safari e di non vedere quasi il nulla della storia infinita. Può capitare, anzi, forse deve capitare. Se così non fosse sembrerebbe che gli animali siano stati messi lì proprio per noi. Non sarebbero spontanei. Invece non è così, se si riescono a vedere è perché spontaneamente si trovano a passare da quelle parti.

Dopo questo arzigogolato ragionamento filosofico cabalistico riesco a convincermi che va bene così. Pazienza, ci rifaremo.
Spero.

domenica 28 luglio 2019

Giorno 10 - Seward - Exit Glacier - Bear Lake – Salmon creek


Si riparte. Oggi sgranchiamo un pochino le gambe con un paio di trekking facili, facili, ma meglio di niente.


La prima destinazione è vicina a Seward: l'Exit Glacier. Prendiamo l'auto e facciamo giusto dieci minuti di strada fuori Seward prima di arrivare al centro visitatori da dove si parte, e dove troviamo ad accoglierci tante e simpatiche zanzare. Certo non sono le zanzare tigre, qui sono rosse, ma comunque danno fastidio. Ci sono diversi trekking tra cui scegliere, uno dei quali è piuttosto impegnativo, noi optiamo per il più semplice. Per arrivare al ghiacciaio infatti non dobbiamo camminare molto, anzi, è proprio una passeggiatina.
Ci affacciamo dove c'è un cartello con scritto sopra 2005, la data in cui il ghiacciaio arrivava fino lì. Ora è distante e non poco. Scendiamo allora sul greto del fiume che ne scaturisce dalle viscere gelate e cerchiamo di arrivare il più vicino possibile alla bocca del ghiacciaio. Nonostante la pioggia e il terreno impervio arriviamo abbastanza avanti, ma non tanto da poter entrare nella caverna ghiacciata.
Tornando indietro attraversiamo l'intricata foresta che si è formata qualche decina di anni fa dove c'era il ghiacciaio, quindi riprendiamo l'auto e andiamo a cercare un altro sentiero, ovvero l'inizio del famoso Iditarod Trail. In realtà la famosa gara da slitta trainata dai cani parte a Knik, sopra Anchorage, ma ricalca il vero sentiero che unisce proprio Seward, sulla sponda sud dell'Alaska, con la città di Nome sulla sponda nord.


Purtroppo questo sentiero non riusciamo a trovarlo, forse non è più così utilizzato.

Dato che la meta del pomeriggio sarebbe un altro trekking a cui Alessandro e Alberto non sono interessati partecipare, torniamo a casa e pranziamo comodamente seduti al tavolo. Quindi io, Cassandra e Pier, ci rechiamo al Bear Lake. Alessandro e Alberto rimangono in città per fare shopping.

Prima però io e Cassandra andiamo a prenotare un'altra crociera per vedere le orche. Grazie a Pier otteniamo pure uno sconto. Speriamo che sia la volta buona!

Sarà che ieri abbiamo fatto talmente tanta strada in auto che oggi ci mettiamo a chiacchierare e non vediamo il cartello del lago. Ce ne accorgiamo solo circa 15 chilometri più tardi... Se non ce ne fossimo accorti in tempo in un quarto d'ora saremmo ritornati al Passo dell'Alce, che magari mi mangiavo un'altra pannocchia, ma pure qualche cookies.

Facciamo una inversione di marcia fuorilegge, nel senso che negli States se c'è la doppia linea continua non si può, nemmeno se non c'è nessuno a guardare. Per stare tranquilli noi aspettiamo proprio quando la strada diventa deserta per chilometri e chilometri, quindi ritorniamo indietro, quasi fino a Seward, dove c'è un piccolo cartello che indica la nostra destinazione: il Lago degli orsi.

Attraversiamo la ferrovia e ci infiliamo in un bosco fitto e disseminato di case di un certo lusso. Deve essere una località per sciuri.

Poco prima di arrivare troviamo uno spiazzo con un capannello di persone attorno ad una casupola. Lo ignoriamo pensando che ci siano dei lavori di qualche genere con pensionati annessi che guardano. Non vogliamo disturbare quindi arriviamo fino alla fine della strada, dove parcheggiamo e inizia il sentiero attorno al lago.

Ovviamente non lo faremo tutto, girare attorno al lago prenderebbe almeno tre ore e non abbiamo tutto questo tempo.

Con nostra sorpresa scopriamo che il giro attorno al lago è parte proprio della famosa Iditarod originale. Alla fine l'abbiamo trovata lo stesso.

Il bosco in cui ci addentriamo ha un che di magico. Noi camminiamo chiacchierando per far sentire agli orsi che siamo in zona e quindi evitare che si prendano un brutto spavento, cosa che a nostra volta ci prenderemmo anche a noi, ma notevolmente amplificata.

In realtà questo bosco meriterebbe di essere attraversato in silenzio. C'è un’atmosfera così verde e ovattata che sembra di essere capitati in una storia di qualche racconto fantasy. Gli alberi qui non vengono toccati e quando muoiono si adagiano l'uno sopra l'altro, oppure se troppo pesanti si spezzano per poi essere ricoperti da uno spesso muschio, come fosse un manto protettivo.

Camminiamo per meno di mezz'ora quando incontriamo un ruscello che ha invaso e allagato completamente il sentiero. Anche se riuscissimo ad attraversarlo non vediamo se il percorso continua o è stato cancellato.

Torniamo allora indietro per cercare uno sbocco sul lago e finalmente vederlo.

Trovare una strada agevole non è facile, dobbiamo fare alcune deviazioni, ma alla fine ci arriviamo, non prima di scoprire delle tracce di alci, molto grandi, che ci hanno preceduto. Sembrano freschissime.


Lo specchio d'acqua calmissimo non è proprio piccolo, forse per girarci attorno ci vogliono più di tre ore, anche considerando quanto ci abbiamo messo per arrivare solo fino a lì.

Riprendiamo la strada verso casa e, arrivati allo spiazzo dove prima c'era gente, notiamo dei cartelli sugli alberi:

Attenzione agli orsi.

Certo, siamo al Lago degli orsi, che ovvietà.

Poi ce n'è un altro:

Vietata la pesca del salmone.

Mi si accende una lampadina. Vuoi vedere che...

Mi getto al volo dall'auto come uno stuntman e corro a dare un'occhiata. C'è un ruscello! Un ruscello pieno di salmoni che risalgono la corrente!

Chiamo gli altri e assieme andiamo alla casupola di prima, dove una grata di metallo ostruisce la corsa dei salmoni. Questi, imperterriti, continuano a saltare sopra e, alla fine, vengono ributtati indietro dalla corrente.

Qui vengono fatti passare oltre solo per mezzo di un piccolo elevatore che li lascia in un'altra vasca dove vengono contati e poi lasciati liberi di arrivare al lago.

Quando però sono troppi, per preservare il lago vengono presi e venduti.

La struttura ora è chiusa, probabilmente il lago è sold out. Purtroppo i salmoni non lo sanno. A guardarli dall'alto che saltano sembra che siano in coda al casello per tornare a casa dopo le vacanze. Ce ne sono diversi malconci e qualcuno è anche morto.
Forse l'ora è tarda, oppure il periodo è ancora acerbo, ma di orsi qui non ne vediamo. Molto più probabilmente sono più a valle, dove non ci sono i soliti ficcanaso come noi. Li capisco. Provate a pensare di andare al ristorante, o in pizzeria. Ordinate e poi fuori in vetrina c'è della gente che vi fissa divertita per come mangiamo e ci comportiamo, scattandoci foto in continuazione, magari pure dei selfie mentre addentiamo una fetta di pizza. 'n se pò ffà.

venerdì 26 luglio 2019

Giorno 9 - Valdez - Anchorage – Seward

Si parte da Valdez. Non siamo tanto dispiaciuti di lasciare questa piccola cittadina, quanto incupiti dal fatto che ci aspetta un viaggio lunghissimo: circa dieci ore di auto per ritornare ad Anchorage e proseguire verso Seward.
Sarà una giornata trascorsa completamente in auto per cui non abbiamo orari da rispettare.

Rifacciamo un pezzo di costa e poi rimaniamo nell'entroterra per un pochino.

Per l'ora di pranzo decidiamo di fermarci in un'area di sosta accanto ad un piccolo locale che in giardino espone vecchie macchine agricole di svariate epoche locali. Quasi tutte arrugginite, ma ancora con un certo fascino.

Dopo pranzo andiamo in perlustrazione del locale, in cerca di un caffè, un bagno, un wifi.

Alberto si precipita ai servizi, seguito da Cassandra, mentre io do un’occhiata ai dolci fatti in casa, mi gusterei volentieri i loro cookies con le gocce di cioccolato. Trovo invece solo dei panetti gialli o marroni, avvolti nella pellicola. Sembra siano fatti di burro di noccioline. La signora a cui chiedo notizie sui cookies mi risponde prontamente, non si capisce molto, anzi, ha una parlata così strana che non capisco proprio. Ha chiare discendenze statunitensi, ma forse è stata allevata da gente del luogo che ha uno slang particolare...

Incuriosito rivolgo lo sguardo agli scaffali, dove fanno bella mostra di sé alcuni snack, sia dolci che salati. Sono piuttosto datati, a giudicare dalle confezioni sbiadite. Chissà da quanti anni aspettano che qualcuno le colga. Ne riconosco qualcuno che non vedo in circolazione da parecchio tempo e, dopo un rapido calcolo mentale, mi rendo conto che potrebbero addirittura essere maggiorenni.

La signora intanto è andata a prendere le ordinazioni di alcuni sventurati turisti che si sono accomodati per ordinare degli hamburgher. La signora è chiara nell'esporre che c'è solo quello.

Nel retro ci sono anche alcuni scaffali con dvd, ancora più sbiaditi degli snack, e una lavanderia. Probabilmente questo potrebbe essere il centro di riferimento per le persone che vivono nei dintorni, anche a decine e decine e decine di chilometri. 

Mi saltano subito all'occhio due cartelli che traduco nel miglior modo possibile:

Qui non c'è il wifi, internet non mi serve: mia moglie sa già tutto di me.

L'altro invece esprime il diritto di negare qualsiasi tipo di servizio a qualunque tipo di cliente.

Appena Cassandra uscita dal bagno, la signora ha iniziato a guardarci con uno sguardo strano e ce ne usciamo di corsa per evitare di diventare saponette. L'abbiamo scampata anche stavolta.

Quando più tardi arriviamo ad Anchorage, troviamo la città molto più movimentata e caotica di quello che ricordavamo. Il traffico non è certo paragonabile a quello che sperimento ogni giorno a Roma, però rispetto al resto dell'Alaska è il peggiore incontrato finora, soprattutto a causa di lavori stradali dove ci sono delle simpatiche signore che fanno da semaforo e non appena ci vedono arrivare girano il cartello sullo stop.

Usciti dall'impasse, ci ritroviamo sul mare, seguendo una ferrovia panoramica che praticamente corre lungo la costa per tutto il fiordo in cui ci stiamo per infilare. Non so quanto sia lunga, ma dopo una buona mezz'ora non ne vediamo ancora la fine.

C'è un punto però dove si sono fermate diverse macchine e così, andiamo a sgranchirci le gambe e curiosiamo.

Siamo davanti ad un piccolo promontorio con spiaggia dove si dovrebbero avvistare i Beluga, simpatici cetacei bianchi. Praticamente dei delfini con la testa rigonfia.

Altri turisti ci guardano mentre leggiamo i cartelli esplicativi e rivolgiamo lo sguardo al mare. Dalla loro espressione capiamo subito il messaggio "Qui ci sono i beluga! Quelli che stanno leggendo il cartello. Quelli originali invece non li troverete oggi, ovviamente."

Forse la loro assenza è dovuta alla bassa marea che ha ritirato molta dell'acqua del fiordo. La spiaggia infatti, a giudicare dai mitili che contiamo sulle rocce ad almeno due metri d'altezza, dovrebbe essere sommersa.

Sconsolati e infreddoliti dal forte vento che sferza la costa, rientriamo in auto e seguiamo la ferrovia che scende nel ventre del fiordo. Solo dopo la sua metà notiamo che ci sono altri punti di osservazione, ma lì il mare è ancora più asciutto. Cosa stanno aspettando?

Eccola! 

L'alta marea!

Come un piccolo tsunami l'acqua rientra calma nel fiordo e qualche surfista ne approfitta per farsi trascinare.

Finalmente arriviamo alla fine e ci lasciamo alle spalle mare e ferrovia. Da questo punto iniziamo a salire un pochino nell'entroterra per poter passare sulle montagne che ci separano dall'altra costa.

Siamo abbastanza stanchi quando il paesaggio inizia a cambiare diventando sempre più verde ed i laghetti che costeggiano la strada sono sempre più numerosi. 

Poi arriviamo al Passo dell'Alce. Un piccolo centro abitato che segna la fine della salita dove si sta svolgendo una festa!

Non possiamo non fermarci.

Ci sono alcune bancarelle e una attira immediatamente la mia attenzione: pannocchie arrostite! Oltre le bancarelle c'è anche una band che suona, neanche male, ma io ora ho improvvisamente fame.

Pago la mia pannocchia, la cospargo di burro salato ed inizio a divorarla. Fantastica. Ora ho sete. Mi trascino Cassandra che vorrebbe dare un'occhiata alle bancarelle e arriviamo quasi sotto il palco. Per prendere una birra devo passare un controllo documenti. Non importa quanti anni dimostri, loro vogliono vedere i documenti. Anche Alessandro che di anni ne ha 72 non fa eccezione. Evidentemente la vita qui deve essere davvero dura, per scambiarci per minorenni chissà qual è la loro aspettativa di vita media… 

Dopo aver preso una birra Blue Moose raggiungo Cassandra che nel frattempo ha già visto quasi tutte le bancarelle, giudicandole però non abbastanza degne, fatta eccezione per quella che vende sapone.

In Alaska il sapone del turista va per la maggiore.

Ascoltiamo un po' il gruppo finché questi non si prendono una pausa ristoro. Ormai ho finito la pannocchia. Ora ci vorrebbe proprio un bel dolcetto. Le mie narici di solito non funzionano benissimo, ma per i dolci hanno un fiuto particolare. Seguendo una certa fragranza ci ritroviamo in un edificio pieno di dolci fatti in casa. Torte di ogni genere e dalle evidenti qualità ipercaloriche. Ci sono anche diversi biscotti, tra cui i miei tanto desiderati cookies al cioccolato. Ne prendo un paio così e altri due alle noci di macadamia. I cookies al cioccolato sono strabuoni e con un pizzico di cannella, gli altri lasciamo perdere. Perfino Cassandra che non va pazza per i dolci ne rimane colpita positivamente. Sono costretto a prenderne altri due prima di ripartire.

Ormai non ci manca molto ma la stanchezza per il viaggio sembra essere svanita nell'ultima sosta.

Nemmeno un'ora e siamo finalmente a Seward, una cittadina che sembra subito più turistica e viva rispetto a Valdez.

Non facciamo fatica a trovare la casa dove dormiremo, un appartamento con due stanze e mezza, una bella cucina e un bagno. Molto carino, ma non è come la casa dello zio Nicolai.

giovedì 25 luglio 2019

Giorno 8 - Valdez - Crociera al ghiacciaio Columbia



Giornata fredda, rispetto alle precedenti almeno. Ci aspetta la crociera sul catamarano, che poi è una grande barca da 150 passeggeri. Le nuvole oggi sono così basse che sembra ci sia la nebbia. Speriamo che uscendo in mare si sollevi altrimenti mi sembrerà di navigare sul laghetto della Decima a L'Oca di Trevi.
Ci mettiamo in coda per essere imbarcati, con tutti gli altri passeggeri che rimangono abbastanza silenziosi, una partenza in sordina per questa escursione marittima.
Partendo dal fondo del fiordo di Valdez, ci fermiamo quasi subito per vedere un nido di aquila. La proprietaria di casa è un po' schiva, come tutte le vip, e rimane nascosta.
Proseguiamo allora e troviamo alcune simpatiche otarie che si stanno rilassando a pancia all’aria e mani congiunte. Neanche fossero immerse in un’acqua glaciale, si lasciano trasportare dalla corrente come se si stessero godendo il refrigerio che noi potremmo sperimentare nuotando in una piscina estiva... invece siamo in Alaska e si gela anche qui sul ponte della nave.
Il prossimo avvistamento sono dei delfini, ma erano troppo lontani per essere fotografati. Usciti dal fiordo, verde e bellissimo, ci dirigiamo al largo. Non passa molto tempo prima che venga avvistata una balena! Soffia laggiù! Due o tre respiri con la schiena ricurva che spunta e si immerge e poi ci mostra la coda, segnale che sta per scomparire. Punto il cronometro a quattro minuti e aspetto. È il tempo medio che di solito impiegano per riemergere e prendere fiato. In realtà i minuti potrebbero essere anche 5, ma così io mi preparo con la macchina fotografica.

La balena riappare, ma ovviamente non nello stesso punto, costringendoci all'inseguimento per tre volte. Tra un pedinamento e l'altro passiamo davanti alla spiaggia dei leoni marini che si rilassano prendendo il sole.
La maggior parte sono ammassati vicino alla riva, altri invece si sono arrampicati un po' troppo in alto. Temo che quando vorranno scendere non sarà così indolore...
Quando la balena riemerge riprendiamo l'inseguimento finché non è ora di andare verso il ghiacciaio Columbia.
Prima però avvistiamo qualche foca che riposa sui piccoli iceberg galleggianti.
Man mano che ci addentriamo nell'altro fiordo il catamarano rallenta per schivare i pezzi di ghiaccio che, da pochi e distanti, sono sempre più numerosi e grandi. Giusto per evitare di fare un seguito al film “Titanic”, che poi i seguiti non vengono mai bene.

Resisto sul ponte da solo e quasi mi sento come Di Caprio quando si è congelato. Ma io non cedo e rimango piantato per terra a godermi il ghiaccio che crepita come se stesse bollendo e rompendo per l'alta temperatura. Solo ora mi accorgo che oltre a me sul ponte sono rimasti i ragazzi della nave, che indossano una semplice polo e un giubbino antivento.
Io invece sono coperto il più possibile e nonostante non dovrebbe passare un filo d'aria, mi sto gelando.
Probabilmente per loro non fa così freddo. Non oso immaginare come potrebbe essere l'inverno da queste parti.
Avanziamo finché il ghiaccio lo permette, quindi fermiamo i motori ed inizia la mattanza fotografica. Faccio appena in tempo a fare qualche scatto in solitaria quando il mio bonus scade e vengo circondato da un gruppo di coreani che con una serie infinita di selfie, si prende la maggior parte del palcoscenico, e delle imprecazioni. 
Semple li moltacci lolo.
Dal 1998 il ghiacciaio si è ridotto tantissimo e, se prima ricopriva parte del fiordo che abbiamo navigato, ora si è diviso in due e lo strato vero e proprio inizia quasi dalla terra ferma.
Anche se siamo lontani, come già visto al St. Elias, quando il ghiaccio non è sporcato dalle rocce nere delle montagne che ha sgretolato, appare bianco con un cuore azzurro che fa pensare alla sua purezza incontaminata. In realtà è un effetto ottico: il ghiaccio, così compresso e compattato, assorbe tutti i colori tranne l’azzurro.
A dimostrazione di questa tesi i ragazzi del catamarano hanno appena pescato un iceberg da una decina di chili e lo passano tra i tavoli. Essendo pulito da qualunque residuo appare completamente trasparente.
Durante il ritorno scorgiamo, lontanissime su una parete, delle capre di Dall. Nemmeno con lo zoom a 80x si vedono benissimo, ma i ragazzi della barca ci assicurano che sono loro.
Ci imbattiamo poi in un altro branco di otarie che riposano su dei piccoli iceberg. Quando ci avviciniamo le onde fanno sobbalzare il ghiaccio che inizia ad ondeggiare.
Inevitabilmente le otarie si voltano verso di noi per vedere chi è arrivato a rompere.... il ghiaccio.
Sarà che il ponte è infestato dai coreani, ma gli si legge chiaro in faccia che stanno dicendo: Eccallà! Altli lompi cojoni! 
Quindi si tuffano.
All’uscita del fiordo cerchiamo le orche assassine, ma vediamo solo, si fa per dire, un'altra balena.
Delle Killer whale neanche l’ombra. La nostra delusione è tangibile, anche perché la vera preda, rara da fotografare, era proprio l’orca, difficile quasi quanto il leopardo in Africa. Ci consoliamo con le divertenti storie di Alessandro sui salbanei: dei piccoli folletti veneti e dispettosi che ti nascondono le tue cose sotto gli occhi e non te le fanno più trovare. 
Era dall'inizio del viaggio infatti che sentivamo Alessandro imprecare contro questi salbanei quando cercava qualcosa.
Questa mattina per esempio, quando si è svegliato è andato in bagno, appena uscito non ha più trovato le calze.
- O porca miseria i salbanei! I ma frega’ i calzeti!
Alessandro si è messo a cercarli per tutta la stanza mettendola a soqquadro. Nel frattempo Alberto ha iniziato a guardarlo con crescente terrore. Dopo l’ennesimo ribaltamento di cuscini, zaini e piumone, nonché imprecazioni ai salbanei, Alberto finalmente capisce cosa è successo:
- Ma stai cercando dei calzini?
Alessandro lo fissa con quello sguardo deciso, come se volesse chiedere: “Mi prendi in giro?”
Alberto allora va a prendere il sacchetto dei suoi panni sporchi... Dove ha infilato i calzini puliti di Alessandro, pensando che fossero i suoi.
Altro che salbanei: ora ci sono anche i sardanei!
Solo allora Alberto, come richiamato dal racconto di Alessandro, ricompare finalmente dopo essere stato per tutto il viaggio all'aperto sul ponte. Che tempra.
Rientrati in porto diciamo che, nonostante le orche, mi posso ritenere più che soddisfatto per quello che ho visto, poteva andare molto peggio, potevano piovere salbanei.

mercoledì 24 luglio 2019

Giorno 7 Copper Center – Valdez

Salutiamo lo zio Nicolai con molto dispiacere, ci siamo trovati benissimo in questa grande casa, inoltre la prossima destinazione è Valdez, dove ci aspetta il primo alloggio prenotato con Airbnb. Questa casa è stata problematica fin dall’inizio perché la padrona non rispondeva mai alle domande che gli facevamo. Visto che non avevamo molte alternative si era deciso di prenotare comunque. Purtroppo anche dopo la prenotazione la padrona è rimasta latitante e avara di indicazioni, vedremo se stanotte riusciremo a dormire in casa, o in auto...
Per sicurezza le ho scritto che saremmo arrivati tra l'una e le due, ma non mi ha ancora dato il codice numerico per entrare in casa... Speriamo di trovare un wifi pubblico lungo la strada.
Durante il trasbordo, non breve anche se comunque rilassante, si finisce inevitabilmente a parlare di viaggi.
Tra Pier, che riesce a farne parecchi ogni anno, e Alessandro, che essendo un collezionista ora è impegnato nel collezionare viaggi, le esperienze si sprecano.
Pier ormai lo conosciamo, è il quarto viaggio che facciamo assieme e con lui ci troviamo bene, soprattutto perché quando abbiamo le ferie tira fuori dal cilindro un coniglio a cui non sappiamo resistere, e alla fine ci fa partire.
Alessandro invece lo conoscevo poco. In Giordania non avevamo avuto molte occasioni di parlare, però mi aveva ispirato subito simpatia nonostante in quel viaggio avesse suscitato giudizi contrastanti tra gli altri partecipanti.
Invece confermo le mie sensazioni positive: è una persona simpaticissima che ha avuto, ed ha ancora, una vita interessantissima.
Praticamente questi due sono sempre in viaggio, cosa che io e Cassandra sogniamo di fare sin da quando ci siamo conosciuti in Turchia.
Ma sarà davvero così bello? Non lo so e probabilmente non lo saprò mai, ma per consolarci mi viene da pensare che se fosse davvero possibile vivere così, probabilmente non ci godremmo tutti questi viaggi uno dopo l’altro, come per esempio ci stiamo gustando questo. Forse ripartire subito dopo essere tornati non ci darebbe il tempo di realizzare bene cosa abbiamo visto e cosa abbiamo provato.
Considerando solo il fatto che ad ogni rientro ci metto sempre di più a scrivere il diario di viaggio, temo che come minimo ci servirebbe un mese tra una partenza e l’altra. Facendo i conti sarebbero sei viaggi all’anno.
Ci possiamo stare.
Finito di sognare ad occhi aperti, mi cade l’occhio sull'ennesimo cartello stradale che avvisa gli automobilisti di una multa da mille dollari per qualunque pezzo di spazzatura abbandonato in giro, che sia carta o plutonio.
Difatti le strade e le città sono pulitissime. Peccato che non si possa dire altrettanto dell’esterno delle loro case.
Quasi ovunque ci sono case che spuntano qua e là ai bordi delle strade. Immerse nella foresta lasciano però intravedere sporcizia quasi ovunque e vecchie auto abbandonate sul prato accanto.
Capisco che sulle loro proprietà private possano fare quello che vogliono, ma in questo modo, pur essendo i cartelli sulle multe da 1000 dollari giustissimi, li rendono un filino ipocriti...
Lungo la strada, appena prima di un passo, ci imbattiamo nel ghiacciaio Worthington. Da lontano è, come quasi tutti, molto grande e bello, ma questo ha la particolarità che arriva quasi fino alla strada. Non ci si può non fermare per dare un'occhiata.
Mentre ripartiamo si notano lungo tutta la carreggiata delle curiose aste di metallo con l'estremità piegate verso l’interno. Sono alte circa quattro metri e sembra che servano per misurare il livello della neve in inverno.
Facciamo il valico e dell'altra parte ci aspetta una vista clamorosa di montagne innevate e ghiacciate con una valle che scende verso il mare. Altra sosta impossibile da evitare.
Giungiamo finalmente a Valdez poco dopo l’ora di pranzo e, grazie al wifi pubblico del supermercato Safeway, ricevo il messaggio della proprietaria di casa con codice di ingresso e password, così possiamo entrare. Per stavolta la nottata in macchina è stata scongiurata.
La casetta è carina, ma per quattro persone, inoltre non c'è la cucina ma solo un forno a microonde. Comunque è molto più grande e bella della camera del Denali.
Giusto il tempo di scaricare i bagagli e andiamo a prenotare la crociera che dovremo fare domani. 
Sfortunatamente il peschereccio che volevamo usare, la Lulu Belle, è in manutenzione. Ci tocca prenotare la concorrenza e così andiamo da Stan Stephens.
Valdez è piccola come cittadina, anche se rapportata a Copper Center è una metropoli. Oltre alla crociera si può andare alla Solomon Gulch dall'altra parte del fiordo, dove durante la stagione dei salmoni, quando risalgono la corrente, questa struttura per l'allevamento raccoglie quanti più salmoni riesce. Recuperando così le uova, le alleva finché i piccoli salmoni non saranno in grado di sopportare l'acqua salata, dopodiché li libererà in mare.
Parcheggiamo proprio davanti al Solomon Gulch, di fronte al cartello che avvisa di fare attenzione agli orsi.
Purtroppo non è ancora stagione di salmoni qui a Valdez, e quindi non ci sono neanche gli orsi, purtroppo o per fortuna.
Visitiamo la struttura che espone dei cartelloni interattivi quindi si torna a casa.
Questa sera per cena collaudiamo il risotto alla milanese cotto al microonde.
Mmmmmmmmmmm che bbbuono.