venerdì 29 ottobre 2021

Orvieto



Ecco un'altra tappa che puntavo da taaaanto, tempo, quasi da quando sono venuto a vivere a Roma, ormai sei anni fa...
Non conoscevo assolutamente niente di questa città. Ogni volta che prendevo il treno per andare a incontrare Cassandra e passavo sotto Orvieto, la notavo là in alto sul bel cucuzzolo, come fosse il podio di un grande monumento del passato che tutti coloro che lo vedono sono costretti ad ammirare per la sua dimensione. In realtà dal treno ho sempre pensato fosse molto piccola, ma non per questo priva di fascino, anzi…


Orvieto è un altro centro sorto sul tufo e, come si può immaginare, anche qui gli etruschi ci sono stati. A volte sembra quasi non se ne siano mai andati. Nonostante sia una piccola cittadina, sono rimasto molto sorpreso dalla quantità di cose che ha da mostrare. È davvero fantastica per due assetati di arte, archeologia e storia come noi. Per di più l’azienda turistica ha creato apposta un biglietto cumulativo unico, la Carta Unica, con cui si possono vedere le maggiori attrazioni e, per evitare di intasare le piccole strade con auto, moto e suv, vale anche su tutti i mezzi pubblici.

Così subito dopo aver preso possesso della camera, tra l'altro molto carina e a pochi passi dalla Piazza del Duomo, andiamo a lasciare l’auto. A tal proposito spendo un paio di parole sul parcheggio: essendo piccola e visitabile a piedi, l'auto si può tranquillamente lasciare per quasi tutto il tempo in sosta. Ci sono diverse soluzioni che permettono di non ingolfare la città di macchine, alcune più comode e costose, altre moooolto più convenienti. Noi abbiamo deciso di scegliere quest'ultima lasciando il nostro fedele destriero al grande parcheggio dell'ex caserma, dove si paga qualcosa come uno o due euro al giorno, non ricordo di preciso, comunque pochissimo.

giovedì 28 ottobre 2021

Todi


Appena arrivati ci rendiamo conto che la sistemazione per la notte non è il solito B&B. Questa volta siamo in un ex convento da pochissimi anni ha aperto al pubblico. La struttura è grande e probabilmente nei periodi di alta stagione deve essere molto frequentata perché, al contrario di dove abbiamo dormito in questi ultimi vagabondaggi, qui non siamo gli unici ospiti.

Iniziamo subito a esplorare la città arrampicandoci verso il centro. La salita per arrivarci è davvero ripida. Todi infatti è costruita su un cucuzzolo. A parte la grande piazza del centro, il resto è praticamente in pendenza.
Sebbene fuori dall'itinerario della Tuscia, abbiamo scelto di venirci per le previsioni climatiche più favorevoli e le diverse cose da fare e da vedere.
 
Si comincia dalla Concattedrale della Santissima Annunziata in Piazza del Popolo.

In realtà quello che bramavo di vedere a Todi, erano le Cisterne Romane ma, come veniamo a sapere dall'ufficio turistico che si affaccia sulla piazza del centro, sono chiuse causa Covid e non si sa quando riapriranno.

Giusto per non farle sentire discriminate, hanno chiuso anche la Casa Dipinta e il Museo Lapidario.
Quando poi provo a chiedere di Todi Sotterranea, la gentilissima signora assume una strana espressione: ci tiene infatti a chiarire bene che l'associazione Todi Sotterranea non ha nulla a che fare con le Cisterne Romane

Poi ci va giù un po’ più pesante: secondo lei si tratta di un gruppo di pazzi che ti fanno scendere in cunicoli sotto la città in condizioni non proprio in sicurezza. Convengo con lei che non è una cosa da prendere in considerazione (in realtà mi sono già messo d'accordo ieri con uno di questi "pazzi" per esplorare i sotterranei di Todi).
Appena usciamo ne parlo con Cassandra, pronto a cercare di convincerla che infilarsi in qualche galleria buia potrebbe essere comunque divertente e interessante...
Già mi sento al telefono per rinunciare all'escursione...

E invece Cassandra dice che gli dèi si sono espressi favorevolmente.
Secondo me non c'è campo.
L'appuntamento con la speleologia però è alle 18, così andiamo ad esplorare il resto della città, in particolare la Chiesa di San Fortunato, dove saliamo anche sul campanile.

Quindi torniamo per vedere la piccola ma affrescatissima Chiesa della Nunziatina. Tanto per far capire la sua ricchezza, posso aggiungere che viene definita “cappella sistina di Todi”.
 

Si è fatto tardi!
Todi Sotterranea ci aspetta!
Non conoscendo bene la città, anche se piccola prendiamo la macchina e andiamo a vedere cosa ci aspetta.
Parcheggiamo davanti al cancello di un condominio un po’ fuori e in basso rispetto a Todi medioevale, ma sempre sulla collina. Valerio, il ragazzo che ci accompagna e farà da guida sembra essere un pochino più giovane di noi. Per prima cosa ci dà un casco. Poi chiede se soffriamo di claustrofobia o di vertigini. Nessuno dei due.
Imbocchiamo un piccolo sentiero e dopo neanche cento metri ci troviamo di fronte ad un fontanone in stile decisamente contemporaneo e ad un tombino aperto.
Racconta che quando lui e il suo socio erano ragazzini venivano a giocare qui, ma del fontanone non vi era traccia: era completamente sepolto! Solo dalla nonna seppe che quando era bambina, veniva qui con la sua nonna a lavare i panni.
Col passare del tempo i due ragazzi sono cresciuti e, studiando la storia di Todi, gli è venuta la bizzarra idea di iniziare a scavare per trovare il fontanone. L'hanno trovato. Sembra sia sempre stato lì, con l'acqua che riempie il vascone.

Poi ci indica il tombino, e chiede se siamo pronti ad entrarci: io guardo dentro e non vedo quasi il fondo, solo una scaletta di metallo attaccata alla parete. Pronti!
Senza imbragature o sostegni di sicurezza inizio a scendere, come se fossi uno di quelli che si calano nelle fogne. Queste però non sono fogne, bensì gallerie scavate appositamente sotto tutta Todi per far defluire l'acqua in modo da evitare che la città crolli.
In che senso crolli?
Una volta scesi nella prima galleria vediamo che lo spazio è sufficiente per una persona in fila indiana con casco in testa e luce accesa. Iniziamo ad esplorare accompagnati dal racconto di Valerio che spiega dove siamo e perché sono state fatte le gallerie.

La città, o meglio la collina su cui è sorta, è nata in seguito ad una grande eruzione vulcanica che ha lasciato dietro di sé metri e metri di cenere. Col passare del tempo questa si è depositata su quello che un tempo era il fondo argilloso del mare, in pratica sabbia. Il problema dell'argilla è che con l'acqua si scioglie. Sopra c’è il tufo che drena... Gli abitanti hanno scavato le loro case e cantine nel tufo. Nei secoli man mano che l'acqua penetrava attraverso tufo arrivando al fondo argilloso, questo sciogliendosi, faceva crollare quello che c'era sopra, ovvero Todi.
Lo stesso problema lo ha Orvieto, Orte, Civita di Bagnoregio, Celleno. Insomma, le città della zona che sono state costruite allo stesso modo nel tufo sopra l'argilla.
Qui il problema era già noto sin dal medioevo, quando il Papa aveva istituito una "Fabbrica" per risolvere la questione.
Come? Scavando delle gallerie sotto la città, in modo da intercettare l'acqua prima che arrivasse all'argilla e farla così defluire in fontanoni come quello visto poco fa.
La Fabbrica diede vita ad un lavoro monumentale che durò secoli, divenendo poi all’inizio del 1800 la Fabbrica della Piana. Si andò anche a incrociare con le gallerie che già i romani, e forse prima gli etruschi (anche se Valerio sostiene che qui a Todi gli etruschi non ci sono mai stati), avevano scavato nel tufo sotto la città proprio per questo motivo.

Le prime gallerie in cui camminiamo sono quelle poco costruite poco dopo il 1800 e sono abbastanza spaziose, mentre più ci si addentra sotto la città, più sono vecchie e, di conseguenza, si rimpiccioliscono. A lato delle gallerie e sul fondo c'è quasi sempre un canale per far defluire l'acqua che esce da numerosi buchi fatti di proposito un po’ ovunque sulle pareti delle gallerie.
Dopo qualche minuto di cammino arriviamo fino al punto in cui si incontra l'argilla su cui è depositata la città. A vederla così sembra sabbia. Si vedono ancora i segni lasciati dai lavoratori che sembrano quelli lasciati da palette da spiaggia. Si tratta di sabbia, è vero, ma è fossile e molto dura. Ciò non toglie che con l'acqua la sabbia, anche se fossile, alla lunga si scioglie.
La rete di gallerie in realtà si stenderebbe sotto tutta la città, anzi, le più interne e vecchie sono quelle romane, più piccole e ovviamente inaccessibili. Anche queste gallerie che stiamo percorrendo da circa un'ora erano totalmente ostruite dai detriti. Sono state scavate e ripulite dai due ragazzi di questa associazione, riportando alla luce così una struttura grandissima e di vitale importanza per la città, tanto che già si vedono i segni del tempo: dai buchi creati per far defluire l'acqua si sono accumulati infatti delle formazioni calcaree che in un processo simile a quello delle stalattiti/stalagmiti hanno quasi del tutto ostruito questi fori di scolo.

Più ci addentriamo sotto la città, più le gallerie invecchiano e maggiori sono anche i segni del tempo: il pavimento stesso diventa di travertino, poi le pareti ed infine le scale che facciamo per arrivare all'ultimo ambiente visitabile. Qui c'è un grande pozzo che trenta metri più su si apre alla luce del sole, quasi in centro città. Nel mezzo del pozzo ci sarebbero altre due gallerie intermedie da percorrere, solo che non si possono raggiungere a meno di calarsi con le imbragature dall'alto. Io sono prontissimo a farlo, ma purtroppo il giro si conclude qui.

C’è il progetto di mettere una grande scala a chiocciola nel pozzo per poter portare la gente in sicurezza nelle altre gallerie. Sfortunatamente stanno incontrando qualche difficoltà nel farselo approvare. Speriamo riescano, perché tornerei molto volentieri per completare il giro.
 

Il secondo giorno a Todi torniamo in centro per vedere il Museo civico e Pinacoteca. Poi giriamo per il centro e arriviamo fino alla Chiesa di San Nicolò. Torniamo indietro e ad andare alla Chiesa del Santissimo Crocifisso, ma arriviamo troppo tardi...
 
Per fortuna non è mai troppo tardi per tornare in Tuscia, così prendiamo l'auto e ci dirigiamo per la tappa finale di questo giro.
 
 

mercoledì 27 ottobre 2021

Bolsena

 

Oggi andiamo alle catacombe nella Basilica di Santa Cristina, che poi è la chiesa del miracolo dell'Eucaristia avvenuto circa 760 anni fa.


Le catacombe sono piccole ma interessanti. 

Trattandosi di sepolture, racchiudono parte della storia della gente che ha vissuto in questa zona e, come abbiamo scoperto, non si tratta di una sola epoca. Ad accompagnarci un signore della biglietteria che fa da Cicerone gratuitamente.
 

Dopo andiamo al Castello di Bolsena, noto anche come Rocca Monaldeschi della Cervara. Al suo interno ospita un piccolo ma interessante museo sulla geologia della zona e la storia che ne è seguita.


Prima degli etruschi e dei romani, questa era una zona vulcanica e il lago di Bolsena si è formato circa 300000 anni fa in seguito al collasso della caldera ormai svuotata del vulcano Vulsinio. Solo successivamente l'acqua che vediamo oggi ha riempito la conca dando vita al più grande lago vulcanico d'Europa.


Nel museo ci sono anche diversi reperti etruschi e romani che si riferiscono alla zona attorno al lago.  Molti di questi sono della città di Volsinii, ovvero l'antica Bolsena.
 Andiamo proprio agli scavi dell'antica Volsinii a circa cento metri dal museo del castello.

Non c’è molto da vedere. La persona che gestisce il sito si scusa perché non sono ancora riusciti a tagliare l'erba.
Noi ricordiamo Norchia dove in alcuni tratti ci sarebbe servito il machete, per cui non ci facciamo quasi caso.


Dopo aver visto "tutto" quello che c'è da vedere, ritorniamo al castello e scendiamo lungo le stradine del borgo fino al lago. All'ombra di un parchetto sulla riva pranziamo con un panino in quasi totale solitudine.


Da qui il nostro viaggio prosegue verso un'altra meta non proprio in zona, Todi.


martedì 26 ottobre 2021

Viterbo


Oggi pioverà. Anche qui il brutto muso degli dèi si è messo di mezzo alle nostre escursioni nella Tuscia. Così abbiamo deciso di andare a vedere cosa c'era nei siti della Tuscia, ovvero ciò che è stato trovato e poi musealizzato.

A Viterbo ci sono diversi musei. È la giornata ideale per vederli tutti in un colpo.

Prima però ci dirigiamo, visto che è di strada, alla Chiesa di San Damiano dove è custodito il corpo di Santa Rosa, patrona della città.


Si prosegue con il Palazzo dei Papi, dove, nella grande sala delle udienze battezzata “Aula del Conclave”, ancora oggi si vedono i solchi lasciati dai pali delle tende. Qui ebbe luogo il primo e più lungo conclave della storia.

Poiché i cardinali non si decidevano ad eleggere un papa, furono rinchiusi per 1006 giorni. Per incentivarli alla scelta che tardava ad arrivare, ai porporati venne progressivamente tolto cibo fino a pane e acqua, riscaldamento e perfino il tetto della grande sala venne smontato. Furono messe solo delle tende come protezione dalle intemperie e dal sole.


Usciti dal Palazzo dei Papi, che in realtà si può visitare solo in due sale e nella famosa loggia, andiamo nel ben più fornito Museo Colle del Duomo lì accanto.

Un mix tra archeologia e arte ci porta via almeno un paio d'ore. Visitiamo quindi la Cattedrale di San Lorenzo, parte del Polo Monumentale Colle Del Duomo.

Sotto la solita pioggia andiamo appena fuori le mura cittadine per vedere il Museo Civico Luigi Rossi Danielli.


Da fuori non sembra un granché. Dentro ci troviamo in un chiostro costellato di sarcofagi etruschi, guarda caso proveniente in maggior parte dalle necropoli che abbiamo visto nei giorni precedenti, in particolare Norchia. Sono tantissimi e alcuni ancora ben conservati, tanto che su un paio è possibile carpire ancora residui di colore.


All'interno, sempre al piano terra, ci sono moltissimi reperti archeologici etruschi e romani, in particolare provenienti dalla vicina Ferento.

Al primo piano troviamo la sezione storico artistica con dipinti e sculture sia medievali che moderne. Spicca la Pietà di Sebastiano del Piombo, ma ci sono anche Cesare Nebbia, Salvator Rosa e Pietro da Cortona.

Dopo questa scorpacciata di archeologia e arte usciamo un po’ intontiti. La pioggia continua a cadere ma noi siamo ancora con la testa a Ferento e Norchia, così saltiamo in auto e ci dirigiamo verso la prossima tappa, Bolsena.

Stavolta la pioggia non ci ha seguito, arriviamo prima che faccia buio. Abbiamo il tempo per una passeggiata nel borgo in cerca di un posto dove mangiare la pizza, poi passeggiata sul lungo lago.

 

Sovana

Poco lontano da Pitigliano c’è Sovana, piccolissimo borgo, ovviamente in tufo, raccolto attorno al centro in un'unica lunga via che, passando per la Chiesa di Santa Maria Maggiore, va alla Rocca Aldobrandesca in restauro. Al centro c'è anche un ufficio postale molto carino con il suo orologio. Dall’altra parte del borgo invece si arriva alla Concattedrale di San Pietro.

La nostra meta odierna erano le necropoli che stanno poco fuori del borgo. Prima però ci soffermiamo ad ammirare gli affreschi Santa Maria Maggiore e poi l’interno della Concattedrale, molto belle entrambe. Meritavano.

 

Mentre stiamo per andare a vedere anche il Museo di San Mamiliano (accanto alla Chiesa di Santa Maria Maggiore), sentiamo un barista del posto che discute con un vecchietto.

- Oggi hanno messo pioggia.

- Eh un po’ di pioggia che vvoi cchessia?

- Ma dice che piove a brutto muso proprio, più brutto del tuo, questo è il problema!

Le previsioni fatte da gente del posto non sono mai da sottovalutare, soprattutto perché il vecchietto era davvero brutto.


Senza perdere altro tempo saltiamo in auto e andiamo subito alla Necropoli etrusca di Sovana, museo all’aperto. Un paio di minuti di auto e siamo lì.

Nota dolente: nonostante il biglietto d’ingresso, (rigorosamente cash, no bancomat!) al museo non ci sono bagni. Nemmeno una fontanella. Al massimo vendono le bottiglie da mezzo litro alla biglietteria (viva l’ecologia!).

La mancanza del bagno, bancomat e fontanella, è sopperita dalle indicazioni che riesco ad estorcere alla bigliettaia: oltre a questa necropoli ce ne sono almeno altre tre sparse attorno a Sovana. Una ce la sconsiglia perché non si vede molto ed è difficile da raggiungere. Le altre invece dovrebbero meritare e sono anche ad ingresso libero.

Per prima cosa saliamo a vedere le tombe di questa necropoli musealizzata.

La prima che incontriamo è quella dei Demoni Alati. Nonostante non sia più nella forma originale, dietro una grata si vede una nicchia con all’interno il sarcofago di una donna adagiata sul suo giaciglio. Si notano ancora molto bene i residui di colore.

Al lato c’è una statua di donna con quella che doveva essere un leone, proprio davanti a lei. Adagiati a terra ci sono i demoni alati che dovevano costituire il timpano decorativo sopra la tomba.

Delle decorazioni che ricordo aver visto di persona, queste sono tra le più belle e meglio conservate. Perfino meglio delle Tombe Doriche di Norchia, sebbene devo ammettere che quelle sono ancora al loro posto.

Proseguiamo verso sinistra dove ci sono altre tombe. Arriviamo a ciò che rimane della grande Tomba Pola, sepoltura monumentale ormai crollata sotto il proprio peso. Anche il grande ingresso scavato molto in profondità è crollato ed è transennato.

Non c’è in giro nessuno, quindi scavalco. Giusto per dare un'occhiatina, dai.

All’interno è molto spaziosa, non saprei nemmeno quantificare per quante sepolture era stata costruita. Forse è la più grande in cui sia mai entrato.

Torniamo indietro e andiamo alla cosiddetta Tomba Ildebranda, la più famosa della zona.

Anche questa monumentale in parte ancora integra. Per lo meno se ne intuisce la forma che doveva avere un tempo.

Purtroppo quando sono state scoperte erano tutte molto più integre, specie quelle protette dal terreno che le aveva ricoperte. Via vai di turisti, scavi non sempre (meglio dire quasi mai) “archeologici”, soprattutto elementi come aria e in particolar modo acqua, ne hanno segnato il destino inesorabilmente riducendole letteralmente ai minimi termini.

In ogni caso oggi le vediamo così, chissà per quanto tempo ancora reggeranno.

Ai piedi dell’Ildebranda ci sono alcune camere sepolcrali che, scendendo gli scalini scavati nel tufo, si possono visitare.

Ora ci restano solo le vie cave.

La prima è corta ma molto bella, la seconda invece molto più lunga e usurata. Essendo così grande probabilmente è stata usata come strada anche in tempi relativamente recenti.

Mentre scendiamo da questa via cava il cielo inizia ad oscurarsi riportandomi alla mente il brutto muso del vecchietto di Sovana.

Acceleriamo il passo e andiamo alla necropoli che si trova a cinquecento metri più in giù sulla strada.

Saliamo un sentiero e decidiamo di andare a destra, verso la prima via cava. Altissima, verdissima, etruschissima.


Facciamo appena in tempo ad arrivare in fondo alla salita che inizia a piovere. Piove proprio a brutto muso.

Saliamo gli scalini di ferro che dovrebbero portare ad un piccolo oratorio, poi vedremo cosa fare.

La piccola camera scavata nel tufo diventa per noi un riparo dalla pioggia, giusto qualche metro quadro con una finestrella e un affaccio altissimo sulla via cava sottostante. È così alto che anche sporgendomi non ne vedo bene il fondo.


All’interno un paio di nicchie e croci appena scolpite sui muri, unico segno rimasto della vita trascorsa qui da qualche eremita.

Fuori la pioggia è sempre più forte e un po’ comincia ad entrare e accumularsi sul pavimento. Chissà nella via cava quanta acqua sta convogliando...

Rimaniamo quasi mezz’ora in attesa che spiova. Non succede. Al primo cenno di diminuzione decidiamo la sortita.

Ci affacciamo alla via cava e fortunatamente non sembra preda di un’inondazione, per cui scendiamo fino al sentiero e poi alla strada dove troviamo un gruppo di motociclisti tedeschi raggomitolati sotto la grondaia del cartellone illustrativo della zona.

Ormai siamo mezzi zuppi. Decidiamo di proseguire fino alla macchina. Quando arriviamo abbiamo completato l'opera infradiciando l’altra nostra metà e, ovviamente, appena entriamo in auto la pioggia smette.

La giornata è ancora lunga. Scendiamo e sotto un cielo ancora plumbeo e carico di acqua andiamo a vedere l’altra necropoli indicataci dalla bigliettaia. Si trova a pochi passi al di sopra del piccolo parcheggio ed è coperta dagli alberi. Non c'è neppure un cartello. Se non ci fossimo fatti spiegare dov'era, difficilmente l'avremmo trovata perché dalla strada non si vede nulla.


Il sentiero che costeggia la montagna è disseminato da numerose tombe, più o meno grandi, ma tutte spoglie e quasi inaccessibili. Solo in un paio di occasioni troviamo anche dei cartelli esplicativi e l’accesso ad esse non è ostruito.

Man mano che proseguiamo la necropoli si rivela sempre più estesa. Nonostante continuiamo a camminare, ancora non incontriamo la Tomba Pisa, la più grande che ci avevano indicato. Solo dopo altri dieci minuti di cammino finalmente ci arriviamo.


Anche questa è una delle tombe più ampia in cui sia mai entrato, molto differente dalla Pola dove c'era un unico grande ambiente: all'interno di questa infatti sono state scavate ben nove stanze collegate tra loro senza però rispettare una pianta simmetrica, come se avessero scavato una nuova stanza all’interno della montagna solo quando ne avevano bisogno.

Ovviamente non troviamo i sarcofagi che sono stati portati via da chissà quanto, ma ci sono ancora degli enormi blocchi di pietra sopra cui questi erano posizionati.

Ispezioniamo le cavità con la luce dei cellulari perché il buio è totale. Qualcosa si riesce a vedere.  Servirebbe una vera torcia, peccato l’abbia dimenticata a casa...

Usciti gironzoliamo ancora un pochino in cerca di un colombario, di cui troviamo pochissimi resti.


Torniamo indietro per vedere se riusciamo a finire di vedere le tombe che prima ci siamo persi causa pioggia.

Il cielo è ancora minaccioso. Stavolta regge e troviamo le tombe a dado e la Tomba della Sirena.

In realtà mi sembra lo stesso tipo di demone alato visto questa mattina, anche se più piccolo e peggio conservato.

 

In teoria la parte turistica di Sovana sarebbe finita, ma questa mattina mi sono fatto spiegare dalla bigliettaia anche come fare per andare a vedere la Tomba del Fauno. Sebbene ce l'abbia sconsigliata, insistiamo. Prendiamo la macchina, torniamo dall’altra parte del borgo e parcheggiamo nei pressi di un'ennesima necropoli, un'altra ancora che non conoscevo e per di più corredata di una bella via cava. Va beh, ci andiamo dopo.

Imbocchiamo il sentiero indicatoci dalla bigliettaia e iniziamo a scendere. Per un po’ la via cava è abbastanza fattibile, poi scompare. Sappiamo che dobbiamo scendere fino al torrente, attraversarlo e risalire la collina che abbiamo di fronte. Il torrente lo troviamo, più o meno. Lo attraversiamo con qualche difficoltà e cerchiamo una via. Purtroppo la troviamo sbarrata da grossi massi franati e non si vede nemmeno un passaggio. Ci tocca tornare indietro e, con un po’ di fatica e qualche puntura di ortica, arriviamo alla macchina.

Nonostante tutto io mi butterei nell'esplorazione dell’altra necropoli, ma Cassandra non ne può più e inizia a lanciare profezie funeste su quello che potrebbe accaderci se ci addentriamo ancora nella selva sconosciuta. Cose tipo che moriremo tutti e NON andrà tutto bene.

Desisto, meglio ascoltare gli dèi e, dato che le previsioni mettono pioggia a brutto muso anche per i prossimi giorni in queste zone, torniamo indietro verso Viterbo.

martedì 19 ottobre 2021

Pitigliano

 

Dal Lazio alla Toscana, oggi varchiamo la soglia immaginaria che per diversi mesi non si poteva valicare. Rimasti a bocca asciutta di esplorazioni di necropoli viterbesi, ci dirigiamo proprio ad una necropoli etrusca: il Museo Archeologico Alberto Manzi di Pitigliano.
Come da direttive nazionali, essendo un museo all'aperto non ci sono problemi. Lo erano anche le necropoli dell’alto Lazio, o forse lì non erano considerate così “aperte” per evitare rischi Covid?!? Mah..i boschi laziali saranno considerati da meno di quelli toscani…
 

Scendiamo parecchio attraverso una bella tagliata, tipicamente fresca per l'ombra in cui è immersa. Trattandosi di un’area museale, notiamo che l’antica via è un po’ troppo pulita e restaurata per le nostre abitudini, ma va bene anche così. Al fondo valle c'è la prima necropoli, piuttosto spoglia, in cui solo una tomba sembra degna di essere visitata: quella con la finta porta scolpita sopra la vera porta. Peccato abbia un vetro sporchissimo posto a guardia di tutto, perfino del nostro sguardo.

Non riusciamo a vedere praticamente niente. Per farci un'idea dobbiamo leggerne la descrizione sul cartello. Le altre tombe sono semplici e solo alcune visitabili, non che ci fosse molto da vedere.
Risalendo verso l'uscita, a metà salita troviamo una deviazione che porta ad un'altra piccola necropoli dove hanno allestito un paio di esempi di tombe con la ricostruzione di quello che doveva essere il corredo funebre. Proseguendo troviamo una serie di tombe aperte lungo la pendenza come erano soliti fare. Tutte da vedere esclusivamente da fuori. Non ci si può entrare a causa dello spazio limitato, della terra o perfino dell'acqua che le ha invase.
 

Sarà la delusione provata a Tuscania, qui non ne usciamo così male, anzi. Ora ci aspetta Pitigliano, città del tufo.
Arriviamo passando da una bella strada panoramica dove si può ammirare il borgo di tufo che sorge su uno sperone, ovviamente di tufo. Partendo dal basso si può intuire dalle cave scavate qua e là, che la città sia stata costruita usando proprio la pietra estratta dagli scavi.

Parcheggiamo e passiamo da una passerella che sovrasta la valle sottostante costeggiando l'abitato. Sembra di essere in una scena del film La città incantata, quando la protagonista passa nel retro delle terme per gli spiriti in cui si è ritrovata costretta a lavorare.
 
Sbuchiamo in centro e per prima cosa andiamo a vedere il Museo Civico Archeologico, il cui biglietto era cumulativo con il precedente.

Piccolo ma carino, la signora in biglietteria ci lascia una bella mappa che descrive i luoghi nei dintorni con quello che c’è da vedere da Pitigliano a Grosseto.

Quando sente che vogliamo andare a Sovana, senza chiederle niente alza la cornetta e telefona al direttore del museo per sentire se hanno riaperto la necropoli... È aperta!
Usciti entriamo subito nel Museo di Palazzo Orsini, proprio di fronte.
 

Quest'altro è molto più grande e ricco di opere d’arte. È strutturato in modo particolarissimo con sale disposte come fossero parti di un labirinto. In realtà è il palazzo stesso che è fatto così nel percorso per trovare tutte le sale da visitare, nonché l’uscita. Dobbiamo faticare un po’ per capire da dove si esce, ma ne vale la pena.
 

Ora possiamo esplorare il borgo nelle sue stradine e casette di tufo, almeno finché non ci imbattiamo nella Piccola Gerusalemme di Maremma. Il nome è curioso. Andiamo a vedere di cosa si tratta: è un museo ovviamente. In pratica qui, fino alla seconda guerra mondiale, c’era una comunità ebraica piuttosto numerosa considerando le dimensioni del piccolo borgo. Visitiamo anche la sinagoga che non viene quasi più utilizzata perché ci vogliono almeno dieci persone e, al giorno d’oggi, è molto difficile raggiungere questo numero.

Scendiamo poi nel livello inferiore dove la comunità abitava. Scavando nelle cantine hanno scoperto diversi ambienti, probabilmente di origini etrusche e ampliato gli spazi utilizzabili.
Il nome Piccola Gerusalemme deriva dal fatto che anche nell'antica città santa c’erano tutte queste cavità.
Prima di uscire dal museo prendiamo anche uno Sfratto. Non si tratta di un decreto ingiuntivo, bensì un dolcetto che ha preso il nome da un episodio risalente al XVII secolo, quando Cosimo II de’ Medici intimò a tutti gli ebrei di Pitigliano, Sovana e Sorano, di lasciare le proprie case per andare nel ghetto di Pitigliano.

L'intimo di sfratto veniva eseguito con un bastone che bussava alla loro porta. Il dolcetto, una sorta di strudel di frutta secca, ha proprio la forma allungata di un bastone. Devo dire era buono.