martedì 19 ottobre 2021

Pitigliano

 

Dal Lazio alla Toscana, oggi varchiamo la soglia immaginaria che per diversi mesi non si poteva valicare. Rimasti a bocca asciutta di esplorazioni di necropoli viterbesi, ci dirigiamo proprio ad una necropoli etrusca: il Museo Archeologico Alberto Manzi di Pitigliano.
Come da direttive nazionali, essendo un museo all'aperto non ci sono problemi. Lo erano anche le necropoli dell’alto Lazio, o forse lì non erano considerate così “aperte” per evitare rischi Covid?!? Mah..i boschi laziali saranno considerati da meno di quelli toscani…
 

Scendiamo parecchio attraverso una bella tagliata, tipicamente fresca per l'ombra in cui è immersa. Trattandosi di un’area museale, notiamo che l’antica via è un po’ troppo pulita e restaurata per le nostre abitudini, ma va bene anche così. Al fondo valle c'è la prima necropoli, piuttosto spoglia, in cui solo una tomba sembra degna di essere visitata: quella con la finta porta scolpita sopra la vera porta. Peccato abbia un vetro sporchissimo posto a guardia di tutto, perfino del nostro sguardo.

Non riusciamo a vedere praticamente niente. Per farci un'idea dobbiamo leggerne la descrizione sul cartello. Le altre tombe sono semplici e solo alcune visitabili, non che ci fosse molto da vedere.
Risalendo verso l'uscita, a metà salita troviamo una deviazione che porta ad un'altra piccola necropoli dove hanno allestito un paio di esempi di tombe con la ricostruzione di quello che doveva essere il corredo funebre. Proseguendo troviamo una serie di tombe aperte lungo la pendenza come erano soliti fare. Tutte da vedere esclusivamente da fuori. Non ci si può entrare a causa dello spazio limitato, della terra o perfino dell'acqua che le ha invase.
 

Sarà la delusione provata a Tuscania, qui non ne usciamo così male, anzi. Ora ci aspetta Pitigliano, città del tufo.
Arriviamo passando da una bella strada panoramica dove si può ammirare il borgo di tufo che sorge su uno sperone, ovviamente di tufo. Partendo dal basso si può intuire dalle cave scavate qua e là, che la città sia stata costruita usando proprio la pietra estratta dagli scavi.

Parcheggiamo e passiamo da una passerella che sovrasta la valle sottostante costeggiando l'abitato. Sembra di essere in una scena del film La città incantata, quando la protagonista passa nel retro delle terme per gli spiriti in cui si è ritrovata costretta a lavorare.
 
Sbuchiamo in centro e per prima cosa andiamo a vedere il Museo Civico Archeologico, il cui biglietto era cumulativo con il precedente.

Piccolo ma carino, la signora in biglietteria ci lascia una bella mappa che descrive i luoghi nei dintorni con quello che c’è da vedere da Pitigliano a Grosseto.

Quando sente che vogliamo andare a Sovana, senza chiederle niente alza la cornetta e telefona al direttore del museo per sentire se hanno riaperto la necropoli... È aperta!
Usciti entriamo subito nel Museo di Palazzo Orsini, proprio di fronte.
 

Quest'altro è molto più grande e ricco di opere d’arte. È strutturato in modo particolarissimo con sale disposte come fossero parti di un labirinto. In realtà è il palazzo stesso che è fatto così nel percorso per trovare tutte le sale da visitare, nonché l’uscita. Dobbiamo faticare un po’ per capire da dove si esce, ma ne vale la pena.
 

Ora possiamo esplorare il borgo nelle sue stradine e casette di tufo, almeno finché non ci imbattiamo nella Piccola Gerusalemme di Maremma. Il nome è curioso. Andiamo a vedere di cosa si tratta: è un museo ovviamente. In pratica qui, fino alla seconda guerra mondiale, c’era una comunità ebraica piuttosto numerosa considerando le dimensioni del piccolo borgo. Visitiamo anche la sinagoga che non viene quasi più utilizzata perché ci vogliono almeno dieci persone e, al giorno d’oggi, è molto difficile raggiungere questo numero.

Scendiamo poi nel livello inferiore dove la comunità abitava. Scavando nelle cantine hanno scoperto diversi ambienti, probabilmente di origini etrusche e ampliato gli spazi utilizzabili.
Il nome Piccola Gerusalemme deriva dal fatto che anche nell'antica città santa c’erano tutte queste cavità.
Prima di uscire dal museo prendiamo anche uno Sfratto. Non si tratta di un decreto ingiuntivo, bensì un dolcetto che ha preso il nome da un episodio risalente al XVII secolo, quando Cosimo II de’ Medici intimò a tutti gli ebrei di Pitigliano, Sovana e Sorano, di lasciare le proprie case per andare nel ghetto di Pitigliano.

L'intimo di sfratto veniva eseguito con un bastone che bussava alla loro porta. Il dolcetto, una sorta di strudel di frutta secca, ha proprio la forma allungata di un bastone. Devo dire era buono.

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