Carichiamo i bagagli e ci dirigiamo verso
la prima tappa che è Meknes, dove dormiremo.
Alla prima sosta due coppie di ragazzi
marocchini ci salutano in spagnolo. Noi rispondiamo subito:
No espaniol!!!
De donde?
Italia!
Ah Italia.
E pensiamo subito che ci prendano in
giro. Poi tornano con una bottiglia di spumante, analcolico, che ci regalano e
se ne vanno contenti come se avessero incontrato delle celebrità.
In un paio d’ore siamo a Meknes, ci
distribuiamo nelle camere. Questa notte io e Cassandra ci sacrifichiamo
separandoci perché non ci sono abbastanza doppie, così io dormirò con Lorenzo e
Giorgio.
Alloggeremo in un riad, ovvero l’hotel marocchino. È particolare perché non è proprio un hotel anche se molto bello e intricato: praticamente un giardino labirintico che si complica ad ogni rampa di scale e porta che attraversiamo, come se avessero aggiunto delle parti a caso unendo più case su più livelli. Escher andrebbe in sollucchero.
La mattina ci svegliamo e facciamo colazione, quindi impacchettiamo i bagagli e li carichiamo sul pulmino di Yussef, così siamo liberi di girare Meknes con il padrone del riad dove abbiamo dormito che ci farà da guida.
Meknes prende il nome dalla tribù Meknasar che la fondò nell’ottavo secolo.
Qui visse Mulay Ismail, governatore della città fino al 1672, quando divenne sultano di tutto il Marocco rimanendovi fino al 1727. Conosciuto dagli europei come il re sanguinario, sotto di lui la dinastia alawide raggiunse la sua massima potenza.
Meknes è la terza delle quattro città imperiali, oltre a Marrakech, Fes e Rabat.
Io avrei detto che la prima era
l’Inghilterra, ecco perché viaggiare è cultura, per conoscere tutta la storia,
non solo quella del tuo paese. Gli inglesi infatti sono solo la quarta
monarchia, in terza posizione c’è la Danimarca.
Mentre attraversiamo la medina, la guida racconta che è ovviamente una zona pedonale, composta da ben quattordicimila vicoli dove risiedono quattromila abitanti. Si trovano al suo interno ben centoventi quartieri, ognuno con una moschea, un hammam, un forno ed una scuola.
Questi sono numeri solo per la medina in
quanto tutta Meknes conta ottocentocinquantamila abitanti, la guida non ha
specificato se anche gli altri portano il pane a cuocere al forno di
quartiere...
A Meknes ci sono i minareti a pianta
quadrata, diversi a quelli turchi ottomani che sono tondi.
Altra cosa che tiene a dire è il canto del muezzin per la preghiera: qui è dal vivo, in Turchia è registrato.
Il nostro gruppo non è numeroso ma in
questa mattinata incontreremo più gatti che persone. Non pensavo di vedere così
tanti gatti in Marocco, saranno una presenza constante nelle città.
Mentre attraversiamo i vicoli, la guida
ritorna su Ismail dicendo che la leggenda racconta abbia generato ottocento
figli durante i suoi cinquantacinque anni di regno… Perché aveva cinquecento
mogli!
Come sultano poteva permetterselo. La
maggior parte si dice che fossero vedove di guerra e lui aveva il dovere di
consolare.
In ogni caso tiene a ricordare che non
erano tutte rose e fiori: oltre alle cinquecento mogli, aveva ereditato anche
cinquecento suocere…
Nei rari casi in cui incrociamo qualcuno, a volte si vedono donne con tatuaggi su fronte, naso, guance. Sono donne berbere.
Camminare nella medina deserta dà la
sensazione di essere in un grande museo abbandonato, conserva un fascino senza
tempo.
Andiamo a visitare la moschea del Palazzo Reale, circondato da quattro cinte murarie fatte di terra, paglia e acqua. Prima di entrare noto subito una cicogna che ha nidificato su un piccolo minareto. Sarà la prima di una lunga lista.
Dopo un po' di foto ci tocca la visita
dell’artigiano di fronte alla moschea.
È un decoratore di oggetti metallici con
il filo di ferro che batte con un martelletto sugli oggetti finché del filo non
rimane che il disegno voluto dall’artigiano.
Mentre ce ne andiamo dalla medina la
guida afferma che Meknes, la sua città, secondo lui è la più bella delle città
imperiali, ma se parleremo con gli abitanti delle altre città imperiali,
ovviamente diranno il contrario. Anzi, affermeranno che Meknes è la più brutta.
Questo anche a causa dei molti cantieri aperti che secondo i maligni rendono la
città invisitabile.
A lui queste rivalità non interessano e
ci lascia con un’impeccabile frase filosofica con cui vorrebbe chiudere la
questione:
“Il treno della loro cattiveria scivola
sui binari della nostra indifferenza”.
Proprio bella, da utilizzare e riutilizzare in più occasioni.
In perfetto stile Avventure nel mondo iniziamo a fare molti chilometri. C’è da dire che il pulmino è comodo. Siamo all’inizio di questo viaggio express, per cui arriviamo ancora freschi a Volubilis.
Volubilis era una città molto grande,
circa ventimila abitanti, molti per quei tempi.
A testimonianza della dimensione si possono ancora vedere i resti del foro e il Capitolium, nonché molte case con ricchi mosaici colorati.
Sfortunatamente il gruppo non è animato
dalla mia stessa passione, così dopo un altro paio di domus ci si incammina
lentamente verso l’uscita.
Del resto siamo in un viaggio express, avevo messo in conto ci saremmo persi qualcosa lungo il percorso…
Ci si rimette in auto per la prossima tappa, la città blu di Chefchaouen.
La strada è lunga e un po' tortuosa. Il
paesaggio è diverso da quello che mi aspettavo per l’entroterra marocchino:
colline pianeggianti coltivate per decine e decine di chilometri, letteralmente
fino all’orizzonte.
Moltissimi ulivi, tantissima cipolla,
grano e altre colture che ancora non riconosco.
Un panorama sconfinato a toni verdi con
giallo grano e qualche campo di girasole spunta qua e là.
Il clima non è caldo, se non c’è il sole
fa fresco proprio come a casa nostra in primavera.
Colline, colline e paesini. Mi ricorda qualcosa. Al posto dei campanili ci sono i minareti e le case sono squadrate e non sempre fatte di mattoni. Mi sembra proprio di essere in una regione del centro Italia.
Arriviamo verso sera a Chefchauen, la
città blu. Vista da lontano sembra bianca, rossa e blu, ma prevalentemente
bianca.
Lasciamo i bagagli in camera e andiamo a vedere i vicoli che salgono verso l’alto. È dai vicoli che capisco il perché del suo soprannome: le case che si affacciano alle stradine sono tutte dipinte di blu fino ad una certa altezza. Pochissime sono le parti bianche, pare siano state dipinte così solo per far risaltare i toni blu azzurro che ci circondano. Nonostante i tanti turisti, negozianti e venditori ambulanti, sembra di camminare nel riflesso del cielo oltre i tetti delle case.
Dopo una ventina di minuti sbuchiamo in
quella che sembra la piazza principale dove si affacciano molti ristoranti per
turisti.
Al centro un grande cedro del libano si
staglia davanti da un castello di colore ocra/terra cotta.
Sul fondo la piazza, sulla sinistra, la
strada continua a salire nei vicoli blu, a destra invece si apre verso le
montagne illuminate dal sole morente. A qualche centinaio di metri si staglia
la moschea spagnola, sul cui prato si vedono molte persone salite giusto in
tempo per ammirare il tramonto.
Anche volendo sarebbe troppo tardi per
arrivarci, così cerchiamo un ristorante per mangiare.
Per quanto mi riguarda il piatto
vegetariano non era un granché, anzi...ero consapevole di quello che avrei
potuto trovare.
Ciò che non mi aspettavo è stato il
freddo sentito subito dopo cena.
Nonostante indossassi felpa con
cappuccio, sono dovuto tornare a casa di corsa per non congelare.
Assieme a me sulla strada del ritorno si
uniscono Giorgio e Lorenzo, sconsolati dal fatto di non poter continuare la
serata con qualcosa di alcolico, del resto siamo pur sempre in un paese
islamico.
Ma ecco che interviene in soccorso del
turista la proloco di Chefchauoen, pronta a decantare la qualità dei prodotti
tipici locali, atti a dare quel giusto grado di intrattenimento: il fumo.
Un “simpatico” tizio ci si appiccica
iniziando a raccontare che conosce duemila persone che sono state tutte
soddisfatte dai suoi servizi e che, se vogliamo, ci porta a casa sua per vedere
come coltivano e come fumano tutti assieme.
Ci offre anche un bel pezzo di fumo gratis per verificarne la qualità, rinomata in tutto il mondo, a quanto pare. Lo testimoniano 2000 persone, tutte ormai arruolate in uno studio scientifico commissionato dall’associazione “amici di maria”. A discapito del nome non credo siano religiosi.
In ogni caso fa troppo freddo e siamo
stanchi per la giornata intensa. Inoltre perché dovremmo seguire un losco
figuro in una comunità di fattoni dove ce stanno n’omo e ‘na donna, ‘na donna e
n’omo, n‘omo e n’omo, ‘na donna e ‘na donna, n’omo, n’omo, ecc…
Sta di fatto che proprio appena riusciamo
a scrollarcelo di dosso, per un soffio non andiamo a sbattere contro un
poliziotto. Pensa che scena: lei ha vinto un soggiorno gratis in una cella
marocchina?! No vaselin? Ahi ahi ahi ahi!
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