venerdì 23 agosto 2024

Meknes - Chefchauen

Dopo il volo tranquillo, ad attenderci a Casablanca c’è il nostro autista Yussef. Lucia, la capogruppo, lo ha accuratamente scelto basandosi sulle recensioni che lo dipingono come uno tra i migliori.

Carichiamo i bagagli e ci dirigiamo verso la prima tappa che è Meknes, dove dormiremo.

Alla prima sosta due coppie di ragazzi marocchini ci salutano in spagnolo. Noi rispondiamo subito:

No espaniol!!!

De donde?

Italia!

Ah Italia.

E pensiamo subito che ci prendano in giro. Poi tornano con una bottiglia di spumante, analcolico, che ci regalano e se ne vanno contenti come se avessero incontrato delle celebrità.

In un paio d’ore siamo a Meknes, ci distribuiamo nelle camere. Questa notte io e Cassandra ci sacrifichiamo separandoci perché non ci sono abbastanza doppie, così io dormirò con Lorenzo e Giorgio.

Alloggeremo in un riad, ovvero l’hotel marocchino. È particolare perché non è proprio un hotel anche se molto bello e intricato: praticamente un giardino labirintico che si complica ad ogni rampa di scale e porta che attraversiamo, come se avessero aggiunto delle parti a caso unendo più case su più livelli. Escher andrebbe in sollucchero.


La nostra stanza, praticamente in piccionaia, non è il massimo, ma tanto siamo abbastanza stanchi.

La mattina ci svegliamo e facciamo colazione, quindi impacchettiamo i bagagli e li carichiamo sul pulmino di Yussef, così siamo liberi di girare Meknes con il padrone del riad dove abbiamo dormito che ci farà da guida.

Prima ci porta in alto a vedere la città dal belvedere, poi alle porte della medina, ovvero il quartiere antico o centro storico della città, attraverso la quale ci inoltriamo sulle sue viuzze strette.

Meknes prende il nome dalla tribù Meknasar che la fondò nell’ottavo secolo.

Come ogni città dalla lunga storia, sono più città sovrapposte o che si intersecano. Qui ce ne sono tre: quella antica dell’ottavo secolo, quella imperiale del 1600, quella moderna di oggi.

Qui visse Mulay Ismail, governatore della città fino al 1672, quando divenne sultano di tutto il Marocco rimanendovi fino al 1727. Conosciuto dagli europei come il re sanguinario, sotto di lui la dinastia alawide raggiunse la sua massima potenza.

A Meknes fece costruire il grande palazzo, le grandi mura che dal belvedere abbiamo visto circondare la città con i suoi quaranta chilometri, nonché giardini e moschee.

Meknes è la terza delle quattro città imperiali, oltre a Marrakech, Fes e Rabat.

Al momento in Marocco c’è una monarchia costituzionale ereditaria ed è la seconda monarchia più antica nel mondo dopo il Giappone.

Io avrei detto che la prima era l’Inghilterra, ecco perché viaggiare è cultura, per conoscere tutta la storia, non solo quella del tuo paese. Gli inglesi infatti sono solo la quarta monarchia, in terza posizione c’è la Danimarca.

Mentre attraversiamo la medina, la guida racconta che è ovviamente una zona pedonale, composta da ben quattordicimila vicoli dove risiedono quattromila abitanti. Si trovano al suo interno ben centoventi quartieri, ognuno con una moschea, un hammam, un forno ed una scuola.

Il forno è molto importante perché, non è come il nostro panettiere: qui le persone impastano il pane in casa e lo vanno a cuocere al forno di quartiere.

Questi sono numeri solo per la medina in quanto tutta Meknes conta ottocentocinquantamila abitanti, la guida non ha specificato se anche gli altri portano il pane a cuocere al forno di quartiere...

A Meknes ci sono i minareti a pianta quadrata, diversi a quelli turchi ottomani che sono tondi.

Altra cosa che tiene a dire è il canto del muezzin per la preghiera: qui è dal vivo, in Turchia è registrato.

Camminiamo nei vicoli quasi deserti, è mattina e quasi tutte le attività sono ancora chiuse. Pochissime le persone che incrociamo. Nonostante ciò la guida ci ricorda di non fotografare le persone perché alcune temono ancora gli si rubi l’anima. Pensavo fosse un aspetto da considerare in paesi molto più arretrati, evidentemente mi sbagliavo di grosso.

Il nostro gruppo non è numeroso ma in questa mattinata incontreremo più gatti che persone. Non pensavo di vedere così tanti gatti in Marocco, saranno una presenza constante nelle città.

Mentre attraversiamo i vicoli, la guida ritorna su Ismail dicendo che la leggenda racconta abbia generato ottocento figli durante i suoi cinquantacinque anni di regno… Perché aveva cinquecento mogli!

Come sultano poteva permetterselo. La maggior parte si dice che fossero vedove di guerra e lui aveva il dovere di consolare.

In ogni caso tiene a ricordare che non erano tutte rose e fiori: oltre alle cinquecento mogli, aveva ereditato anche cinquecento suocere…

Nei rari casi in cui incrociamo qualcuno, a volte si vedono donne con tatuaggi su fronte, naso, guance. Sono donne berbere.

I Berberi erano il popolo marocchino prima dell’arrivo dell’islam. Al giorno d’oggi rappresentano una minoranza etnica del Marocco.

Camminare nella medina deserta dà la sensazione di essere in un grande museo abbandonato, conserva un fascino senza tempo.

Andiamo a visitare la moschea del Palazzo Reale, circondato da quattro cinte murarie fatte di terra, paglia e acqua. Prima di entrare noto subito una cicogna che ha nidificato su un piccolo minareto. Sarà la prima di una lunga lista.

Oltre alla moschea, molto bella per le sue decorazioni con moltissimi motivi differenti, c’è anche il mausoleo del sultano Ismail.

Dopo un po' di foto ci tocca la visita dell’artigiano di fronte alla moschea.

È un decoratore di oggetti metallici con il filo di ferro che batte con un martelletto sugli oggetti finché del filo non rimane che il disegno voluto dall’artigiano.

Mentre ce ne andiamo dalla medina la guida afferma che Meknes, la sua città, secondo lui è la più bella delle città imperiali, ma se parleremo con gli abitanti delle altre città imperiali, ovviamente diranno il contrario. Anzi, affermeranno che Meknes è la più brutta. Questo anche a causa dei molti cantieri aperti che secondo i maligni rendono la città invisitabile.

A lui queste rivalità non interessano e ci lascia con un’impeccabile frase filosofica con cui vorrebbe chiudere la questione:

“Il treno della loro cattiveria scivola sui binari della nostra indifferenza”.

Proprio bella, da utilizzare e riutilizzare in più occasioni.

In perfetto stile Avventure nel mondo iniziamo a fare molti chilometri. C’è da dire che il pulmino è comodo. Siamo all’inizio di questo viaggio express, per cui arriviamo ancora freschi a Volubilis.


Prima di andare in esplorazione ci gustiamo il panino preparato dalla padrona del riad di ieri sera, quindi seguiamo la nostra guida tra i ruderi di quel che resta di questa città romana.

Ad un primo approccio mi ricorda lontanamente Hierapolis, in Turchia, più che altro per la posizione degradante sulla collina.

Volubilis era una città molto grande, circa ventimila abitanti, molti per quei tempi.

A testimonianza della dimensione si possono ancora vedere i resti del foro e il Capitolium, nonché molte case con ricchi mosaici colorati.

C’è anche un arco trionfale attribuito a Caracalla molto bello su cui sono ancora visibili due tondi. Le figure ovviamente non sono riconoscibili, anzi una non c’è neanche più ma la decorazione della cornice è ancora pregevole. In ogni caso rendono l’idea del monumento che doveva essere.


In realtà la città scavata non è molto grande da visitare, rispetto a quelle che ho visto in Turchia o in Giordania. 
È più piccola perfino di Hierapolis e Afrodisa, per non parlare di Jerash o Epheso…

Sorprendono alcuni particolari fregi che si possono trovare qua e là. Prestando attenzione alle basi di pilastri e colonne, sono visibili anche lì. Molto belli. Secondo Cassandra sono medievali. Osservandoli bene mi sento di avvalorare la sua tesi.

Entriamo in quel che resta di una ricca domus. Colonne tortili denotano la ricchezza del padrone di casa assieme a grandi mosaici colorati. Sono diversi da quelli visti finora, più che altro per come sono stati restaurati. Non essendo un archeologo, non saprei dire con certezza se il restauro sia stato fatto bene o male, però si vede chiaramente che non sono completi.

Sotto un sole molto caldo, siamo nell’orario peggiore per una visita di questo genere, incontriamo una domus con un grande impluvium rotondo e tre tipi di colonne, uno semplice, una a mezza colonna e due colonne tortili. Anche i bordi della vasca sono mosaicati.

Le case con mosaici sono molte di più. Potrei stare a Volubilis fino a sera senza sentire il caldo che di solito patisco molto. Quando mi trovo in luoghi come questi non sento più nulla.

Sfortunatamente il gruppo non è animato dalla mia stessa passione, così dopo un altro paio di domus ci si incammina lentamente verso l’uscita.


Io però non ci sto e scappo all’esplorazione, molto veloce, di altre domus dove trovo ulteriori mosaici e vasche mosaicate che avrebbero meritato molto più tempo.

Del resto siamo in un viaggio express, avevo messo in conto ci saremmo persi qualcosa lungo il percorso…

Ci si rimette in auto per la prossima tappa, la città blu di Chefchaouen.

La strada è lunga e un po' tortuosa. Il paesaggio è diverso da quello che mi aspettavo per l’entroterra marocchino: colline pianeggianti coltivate per decine e decine di chilometri, letteralmente fino all’orizzonte.

Moltissimi ulivi, tantissima cipolla, grano e altre colture che ancora non riconosco.

Un panorama sconfinato a toni verdi con giallo grano e qualche campo di girasole spunta qua e là.

Il clima non è caldo, se non c’è il sole fa fresco proprio come a casa nostra in primavera.

Colline, colline e paesini. Mi ricorda qualcosa. Al posto dei campanili ci sono i minareti e le case sono squadrate e non sempre fatte di mattoni. Mi sembra proprio di essere in una regione del centro Italia.

Arriviamo verso sera a Chefchauen, la città blu. Vista da lontano sembra bianca, rossa e blu, ma prevalentemente bianca.

Lasciamo i bagagli in camera e andiamo a vedere i vicoli che salgono verso l’alto. È dai vicoli che capisco il perché del suo soprannome: le case che si affacciano alle stradine sono tutte dipinte di blu fino ad una certa altezza. Pochissime sono le parti bianche, pare siano state dipinte così solo per far risaltare i toni blu azzurro che ci circondano. Nonostante i tanti turisti, negozianti e venditori ambulanti, sembra di camminare nel riflesso del cielo oltre i tetti delle case.

È quasi ora del tramonto ma i negozi sono ancora aperti. Il flusso dei turisti è attratto verso l’alto dai colori e dai profumi che salgono lungo le rampe dei vicoli e si arrampicano tra gli stretti muri blu.

Dopo una ventina di minuti sbuchiamo in quella che sembra la piazza principale dove si affacciano molti ristoranti per turisti.

Al centro un grande cedro del libano si staglia davanti da un castello di colore ocra/terra cotta.

Sul fondo la piazza, sulla sinistra, la strada continua a salire nei vicoli blu, a destra invece si apre verso le montagne illuminate dal sole morente. A qualche centinaio di metri si staglia la moschea spagnola, sul cui prato si vedono molte persone salite giusto in tempo per ammirare il tramonto.

Anche volendo sarebbe troppo tardi per arrivarci, così cerchiamo un ristorante per mangiare.

Per quanto mi riguarda il piatto vegetariano non era un granché, anzi...ero consapevole di quello che avrei potuto trovare.

Ciò che non mi aspettavo è stato il freddo sentito subito dopo cena.

Nonostante indossassi felpa con cappuccio, sono dovuto tornare a casa di corsa per non congelare.

Assieme a me sulla strada del ritorno si uniscono Giorgio e Lorenzo, sconsolati dal fatto di non poter continuare la serata con qualcosa di alcolico, del resto siamo pur sempre in un paese islamico.

Ma ecco che interviene in soccorso del turista la proloco di Chefchauoen, pronta a decantare la qualità dei prodotti tipici locali, atti a dare quel giusto grado di intrattenimento: il fumo.

Un “simpatico” tizio ci si appiccica iniziando a raccontare che conosce duemila persone che sono state tutte soddisfatte dai suoi servizi e che, se vogliamo, ci porta a casa sua per vedere come coltivano e come fumano tutti assieme.

Ci offre anche un bel pezzo di fumo gratis per verificarne la qualità, rinomata in tutto il mondo, a quanto pare. Lo testimoniano 2000 persone, tutte ormai arruolate in uno studio scientifico commissionato dall’associazione “amici di maria”. A discapito del nome non credo siano religiosi.

Cerco silenziosamente di declinare l’invito a questa degustazione sativa con semplici gesti il più neutri possibili, poi Lorenzo fa l’errore di rispondere e il tizio si rivolge a lui ricominciando ad enunciare le qualità psichedeliche del suo prodotto.

In ogni caso fa troppo freddo e siamo stanchi per la giornata intensa. Inoltre perché dovremmo seguire un losco figuro in una comunità di fattoni dove ce stanno n’omo e ‘na donna, ‘na donna e n’omo, n‘omo e n’omo, ‘na donna e ‘na donna, n’omo, n’omo, ecc…

Sta di fatto che proprio appena riusciamo a scrollarcelo di dosso, per un soffio non andiamo a sbattere contro un poliziotto. Pensa che scena: lei ha vinto un soggiorno gratis in una cella marocchina?! No vaselin? Ahi ahi ahi ahi!

L’ho sempre detto che il fumo fa male.

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